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L’acquisto o il riconoscimento della cittadinanza italiana per gli apolidi

. La procedura del riconoscimento
. Gli apolidi possono essere espulsi?
. Il caso dei bambini stranieri nati in Italia e non riconosciuti dai genitori
. La cittadinanza italiana si acquista anche in caso di adozione
. Il caso dei cittadini maggiorenni

Si premette che lo status di apolide si riconosce a quelle persone che non possono dimostrare di possedere la cittadinanza di uno Stato o che non sono più trattate come cittadini dalle autorità competenti del Paese d’origine e che, conseguentemente, non fruiscono più di alcuna assistenza amministrativa, come il rilascio di documenti essenziali quali quelli d’identità o di stato civile. In questi casi è necessario distinguere tra una situazione di mera difficoltà, da quella di vero e proprio disconoscimento della cittadinanza originaria.

Prendiamo spunto da un quesito che viene messo in rete dal Comitato solidarietà immigrati di La Spezia, particolarmente rappresentativo delle domande che sempre più frequentemente vengono poste relativamente agli apolidi e a cui non sempre è semplice dare una risposta.

Nel quesito si chiede se il fatto di non riuscire ad ottenere un certificato di nascita nel proprio Paese – episodio sempre più frequente ad esempio tra la popolazione Rom – e, di conseguenza, la circostanza di non riuscire ad ottenere un passaporto, sia motivo sufficiente per richiedere il riconoscimento dello status di apolide. Ci viene chiesto quali procedure debbano essere attivate per ottenere il riconoscimento di questo status e se gli apolidi possano essere espulsi dal territorio italiano.

Segue poi l’esempio specifico dei figli di cittadini cubani che non sono considerati cittadini cubani fin dalla nascita, come succede ad esempio ai figli dei cittadini italiani nati all’estero. Si pone il problema di capire se in questo caso i bambini nati in Italia da cittadini cubani, che all’atto della nascita non ottengono automaticamente il riconoscimento della cittadinanza cubana, possano ottenere lo status di apolide o piuttosto la cittadinanza italiana.
Si chiede poi se nel caso in cui la cittadinanza italiana fosse riconosciuta al neonato, la madre senza pds possa ottenere il pds per cure mediche (art. 36 T.U.
sull’Immigrazione) oppure come convivente con cittadino italiano (il figlio – art. 30 T.U.sull’Immigrazione). Questi sono solo alcuni esempi di come nella pratica si pongano spesso problemi che riguardano persone particolarmente vulnerabili come i bambini o i neonati.

Sulla questione ci sono diverse considerazioni preliminari da fare e, come Melting Pot, siamo più volti intervenuti sul problema dell’identificazione dello status di apolide.

Esempi pratici – Accade spesso che persone lontane da anni dal proprio Paese, non riescano più ad ottenere il rinnovo del passaporto presso l’ambasciata e, di conseguenza, non ottengano il rinnovo del pds. Si può, inoltre, verificare che le autorità consolari del Paese d’origine rifiutino di rinnovare il passaporto semplicemente perché le persone interessate hanno l’obbligo di assolvere il servizio militare nel proprio Paese e sono, quindi, invitate a rientrarvi per assolvere allo stesso.

Naturalmente non vogliamo in questa sede entrare nel merito della giustizia o meno di norme previste da ordinamenti stranieri che impongono in modo più o meno pressante la prestazione del servizio militare anche nei confronti di chi si trattiene all’estero per lungo tempo; così come non vogliamo affrontare nel merito la questione se sia giusto o meno prestare obiezione di coscienza. Si tratta di questioni disciplinate dall’ordinamento giuridico interno di Stati esteri, a meno che non vi siano le condizioni per la richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato che consente di riconoscere una particolare dignità all’obiezione di coscienza in quanto collegata ad una situazione di possibile persecuzione o ad esigenze di tipo umanitario come si sono verificate, ad esempio, nel caso della guerra nella ex Yugoslavia (quando diverse persone hanno deciso di fare obiezione di coscienza per non uccidere i propri fratelli).
La sola violazione dell’obbligo di prestazione del servizio militare e le conseguenti sanzioni previste, ossia il “boicottaggio” operato dalle autorità del proprio Paese d’origine, non costituiscono pacificamente una forma di disconoscimento della cittadinanza tale da poter dar luogo al riconoscimento dello status di apolide.

La procedura del riconoscimento

Lo status di apolide può essere riconosciuto mediante una procedura amministrativa che si attiva nei confronti del Ministero dell’Interno, anche tramite la questura che ha rilasciato il pds in corso di validità, esponendo tutte le circostanze che potrebbero comprovare che l’interessato non è più considerato cittadino di un determinato Paese. Nell’ambito di questa procedura amministrativa il Ministero dell’Interno attiva una verifica presso il Ministero degli Esteri– con tempi burocratici di norma molto lunghi – nei confronti del Paese stesso, al fine di stabilire se effettivamente il soggetto non è più considerato cittadino di quello Stato.

Nei casi cui si accennava prima (violazione dell’obbligo di prestazione del servizio militare), il Paese d’origine risponderà confermando che si tratta di un cittadino dello stesso e, proprio per questo, rivendicherà l’obbligo di prestazione del servizio militare.

La procedura prevista è piuttosto semplice in quanto non richiede l’assistenza di un avvocato perché si tratta di una semplice istanza da presentare al Ministero dell’Interno. L’esito della procedura dipenderà poi dalla valutazione della situazione oggettiva.

In alternativa alla procedura amministrativa – o a seguito di diniego da parte del Ministero dell’Interno – è possibile instaurare un vero e proprio contenzioso giudiziario e, quindi, iniziare una causa civile per l’accertamento dello status di apolide rivolgendosi al Tribunale civile ordinario del luogo dove si ha la residenza. In questo caso siamo in un ambito specificamente disciplinato dalla legge in materia di status civile (compreso lo status di cittadinanza o lo status di apolide).

E chiaro che il semplice fatto di non riuscire ad ottenere un semplice certificato nel proprio Paese non implica necessariamente che l’interessato non è più trattato come cittadino, anche se sappiamo che circostanze come queste molto spesso sono il sintomo del disconoscimento della cittadinanza da parte delle autorità del Paese di provenienza.

Nella ex Yugoslavia, ad esempio, molte persone che pur non essendo di etnia croata (nate in Croazia, ma che si sono trattenute all’estero per diverso tempo) a causa del sopravvenire della legge croata sulla cittadinanza, non sono poi più state considerate cittadine o mantenute negli elenchi dei cittadini di quel paese. Ciò si è verificato anche in Serbia e, in maniera più grave, in Bosnia Erzegovina. Cosa diversa è invece non essere più considerati cittadini perché si appartiene ad un’etnia non più ben accetta da un determinato governo, o soffrire la normale inefficienza burocratica e avere difficoltà ad ottenere un certificato.

Per fare un altro esempio, le ambasciate dei Paesi di provenienza non sono in grado di garantire una completa assistenza amministrativa, in altre parole non sono in grado di funzionare come un terminale degli uffici amministrativi del Paese di provenienza, fornendo su richiesta all’interessato tutti i certificati che potrebbe ottenere nel proprio Paese presso gli uffici competenti. In questi casi è purtroppo indispensabile il rientro temporaneo nei propri Paesi di origine per curare da vicino il ritrovamento delle registrazioni talvolta non reperibili, specialmente allorché sono sopravvenute delle guerre, e, quindi, tentare di ottenere direttamente presso l’ufficio di competenza la documentazione necessaria. In questo caso raccomandiamo agli interessati di controllare la scadenza del proprio pds perché una volta scaduto mentre ci si trova all’estero, il rientro in Italia è particolarmente difficile e può dar luogo ad esclusioni dal territorio.

Gli apolidi possono essere espulsi?

Se un soggetto è veramente riconosciuto o considerato come apolide, o comunque se non è possibile accertarne la cittadinanza di origine per mancanza di qualsiasi documentazione di identificazione, è tecnicamente impossibile procedere all’espulsione. Ciò non vuol dire che lo status di apolide garantisca “vita facile”, ma certo è che l’espulsione non è eseguibile fino a quando non sia possibile dimostrare la cittadinanza.
Questo perché la polizia di frontiera del paese di destinazione non è tenuta a prendere in consegna la persona fino a quando non sia dimostrato che questa non ha più la cittadinanza di quel paese. E’ per questo che, più in generale, grazie agli accordi di cooperazione in materia di immigrazione e di lotta all’immigrazione clandestina la collaborazione tra gli uffici consolari è sempre più intensa: proprio per accelerare le procedure di identificazione degli espellendi e quindi, attraverso il rilascio del certificato di identità consolare per chi è privo di passaporto, è possibile consentire tecnicamente l’esecuzione del provvedimento di espulsione.
Si aggiunge che non è possibile eseguire l’espulsione anche nel caso in cui non sia tecnicamente attuabile per altri motivi. Per fare un esempio, i cittadini somali non possono essere espulsi sia per il fatto che non esiste più uno Stato somalo, ma soprattutto perché non vi è la possibilità fisica di inviare direttamente nel territorio somalo un cittadino che proviene da quella zona, non essendoci collegamenti diretti e non essendovi alcuna forma di cooperazione con lo stesso.

Nei confronti degli apolidi esistono precise distinzioni per l’acquisto della cittadinanza.
L’art. 1, comma 1, lett. A) della legge 91/92 ( norme sulla cittadinanza) prevede che sia cittadino per nascita “il figlio di padre o di madre cittadini”. Quindi per la legge italiana qualsiasi soggetto nato, anche fuori dal territorio nazionale, da padre o da madre italiana è automaticamente cittadino italiano.
La situazione che stiamo trattando si chiarisce invece facendo riferimento all’art. 1,comma 1, lett. b), dove si prevede che sia cittadino italiano per nascita “chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato cui questi appartengono”.

Il figlio di apolidi, in altre parole, proprio perché i genitori non hanno alcuna cittadinanza e non possono trasmetterne una ai propri figli, è automaticamente cittadino italiano come se fosse nato da genitori italiani. Sappiamo però che tale previsione non scioglie tutti i problemi che si verificano in tali situazioni; spesso infatti si tratta di dover stabilire quale sia la cittadinanza dei genitori sussistendo il dubbio se si tratti di apolidi o cittadini di qualche Paese, non sapendo, quindi, quale cittadinanza attribuire al figlio. Si precisa che nel dubbio – proprio perché la legge e la normativa sullo stato civile favoriscono il possesso di una qualsivoglia cittadinanza e considerano il riconoscimento dello status di apolide come una categoria assolutamente residuale – quando non si ravvisi una soluzione alternativa, al neonato figlio di apolidi si dovrebbe riconoscere immediatamente la cittadinanza italiana e, quindi, iscriverlo all’anagrafe come italiano, salvo poi verificare se non sia cittadino di qualche altro Paese in ragione dell’accertata cittadinanza di uno o dell’altro dei due genitori.

Il caso dei bambini stranieri nati in Italia e non riconosciuti dai genitori
Talvolta si verifica che un bambino al momento della nascita non viene riconosciuto da nessuno dei genitori e, a questo riguardo, anche nell’ambito dell’attività dei funzionari degli uffici di stato civile sorgono dei dubbi, tanto è vero che ci aiuta a risolvere tale questione una risposta ad un quesito inoltrato al Ministero dell’Interno da un ufficiale degli uffici di stato civile del comune di Riccione.

L’ufficiale di stato civile del comune di Riccione si chiede come si possa regolare l’accertamento della cittadinanza di un minore nato in Italia da genitori ignoti e successivamente riconosciuto da una madre, cittadina straniera.
Ci si chiede se sia corretto attribuire al neonato la cittadinanza italiana perché al momento della nascita i genitori sono ignoti e se il successivo riconoscimento da parte della madre, cosa che in qualsiasi momento può essere fatta, comporti degli effetti sulla cittadinanza italiana già acquisita.
Infatti l’ufficiale di stato civile del comune di Riccione espone quanto segue:

“Questo comune ha ricevuto l’atto di nascita di un bambino figlio di genitori ignoti, nascita denunciata dall’ostetrica nei dieci giorni previsti dalla legge. Il giorno dopo la dichiarazione di nascita da parte dell’ostetrica si è presentata una donna dichiarando di volerlo riconoscere come suo figlio. La madre è di cittadinanza yugoslava, è stato formalizzato l’atto di riconoscimento e annotato a margine dell’atto di nascita dal bambino. Si chiede ora quale sia la cittadinanza da attribuire al bambino.”

Dall’esame del testo elaborato dal Ministero dell’Interno, direzione centrale per i diritti civili, risulta (si veda p. 22) che il riconoscimento successivo non comporta la perdita della cittadinanza italiana acquisita al momento della nascita, quando il bambino era figlio di ignoti. Ne discende che nel caso in cui al momento della nascita un neonato sia figlio di ignoti, acquisisce la cittadinanza italiana e il successivo riconoscimento da parte di madre straniera non comporterebbe la perdita della stessa. Tuttavia il medesimo ufficiale dello stato civile si pone qualche problema perché giustamente sottolinea che una precedente circolare del Ministero dell’Interno (n. k601 dell’11 novembre 1992) dice l’esatto contrario e cioè che il soggetto investito della cittadinanza italiana al momento della nascita perché figlio di genitori ignoti risulta essere privato della medesima fin dall’origine, qualora sia successivamente riconosciuto da un genitore che gli trasmetta la sua cittadinanza.

Quindi, come si vede nell’ambito dello stesso Ministero dell’Interno, sono state in proposito prospettate due opinioni diametralmente opposte. Nella risposta fornito all’ufficiale dello stato civile, si precisa che nel caso in oggetto non si tratta di un’ipotesi che si può ricondurre alla previsione dell’articolo 1 comma 1 lettera b della legge sulla cittadinanza, in quanto la cittadinanza viene ricostruita con effetto retroattivo.
In altre parole il riconoscimento successivo crea una situazione che agisce fin dalla nascita e che produce la trasmissione della cittadinanza da parte della madre. In questo caso essendoci una cittadinanza straniera trasmessa dalla madre non opererebbe l’acquisto fin dalla nascita in maniera automatica della cittadinanza italiana.

Si considera dunque che la previsione contenuta nella legge n. 91/1992 – che prevede che sia cittadino italiano chi nasce da genitori ignoti – non opererebbe nel caso in cui questi genitori non rimangano ignoti nel corso del tempo.

Per la verità questa risposta data dal Ministero dell’Interno suscita qualche perplessità in quanto la formulazione letterale della norma non sembra lasciare una porta aperta a un riconoscimento che potrebbe avvenire anche dopo decenni, perché questo non è vietato almeno per quanto riguarda la legge italiana. Quindi uno o entrambi i genitori potrebbero agire in qualsiasi momento per riconoscere il figlio.

Di conseguenza resta un dubbio che non riteniamo che il Ministero dell’Interno abbia sciolto adeguatamente anche se l’ufficiale di stato civile del comune di Riccione, come tutti gli ufficiali di stato civile, sono tenuti a rispettare l’osservanza delle indicazioni date dal Ministero dell’Interno che li coordina proprio per quanto riguarda gli atti di stato civile.

Resta quindi una questione aperta che, per il momento, non ha trovato ancora una soluzione da parte della giurisprudenza che non si è ancora occupata di casi simili.

A questo riguardo, e con particolare riferimento al problema della cittadinanza per i cubani, è intervenuto in rete il collega Enrico Varali che conferma che i figli dei cittadini cubani nati all’estero non conseguono automaticamente la cittadinanza cubana, salvo che i genitori risiedano all’estero con l’autorizzazione del governo cubano. In questo caso la cittadinanza sarebbe riconosciuta automaticamente. Il collega scrive “Mi risulta che, decorsi sei mesi di residenza all’estero, senza alcuna proroga dell’autorizzazione, il cittadino cubano non possa nemmeno rientrare nel Paese se non con visto rilasciato dal suo Consolato, e, comunque, per un tempo limitato (alla stregua di un turista)”. Di fatto il cittadino cubano che si trattiene all’estero senza l’autorizzazione del proprio governo, entra in una specie di limbo per cui non verrebbe più trattato come cittadino del proprio Paese, al punto che si potrebbe sospettare l’esistenza delle condizioni per il riconoscimento allo stesso dello status di apolide.

Il collega prosegue: “i figli, come dicevo, non acquistano la cittadinanza cubana e, pertanto, se nati in Italia, sono cittadini italiani fin dalla nascita (art. 1, 1° comma, lett. b, ultimo periodo, legge 91/1992)”. I figli, quindi, conseguono automaticamente la cittadinanza italiana nel caso in cui non seguano la cittadinanza dei genitori, secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.

Sempre il collega Varali scrive: “Documentalmente, l’interessato dovrà recarsi al Consolato cubano in Italia e farsi rilasciare una dichiarazione dalla quale risulti che il minore non è cittadino cubano. Con detta dichiarazione consolare, sarà sufficiente proporre una istanza all’ufficiale di stato civile del comune di residenza o domicilio per l’attribuzione della cittadinanza italiana al neonato. Nel caso che ho affrontato un anno fa, solo il padre era irregolare, mentre la madre aveva un permesso di soggiorno per lavoro. In ogni caso, nel giro di un anno il Ministero ha risposto riconoscendo la cittadinanza italiana”.

“Quanto al padre, mi ero posto il problema se, nelle more del procedimento amministrativo, si potesse ricorrere all’art. 19, comma 2, lett. c), d.l.vo 286/1998”. Si tratta della norma speciale che prevede il divieto di espulsione per lo straniero che sia convivente con il coniuge o parente entro il quarto grado di cittadinanza italiana. Il figlio è parente di primo grado, quindi la convivenza con un figlio di cittadinanza italiana comporterebbe il divieto di espulsione e il diritto di ottenere un pds per motivi di famiglia valido per lavoro.
Anche nel caso qui considerato, del padre irregolare di un minore che ha acquisito la cittadinanza italiana perché non gli è stata trasmessa – secondo la legge cubana – la cittadinanza dei genitori, è possibile regolarizzare la posizione del genitore in ragione della convivenza con cittadino italiano, parente entro il quarto grado.

Nonostante ciò, il collega ci riferisce che “La Questura di Verona, però, si era rifiutata (verbalmente) di rilasciare un permesso di soggiorno di questo tipo. Nel frattempo, la regolarizzazione prevista dal d.l.195/2002 ha consentito di superare altrimenti il problema”.

Anche questa ipotesi interpretativa, per quanto trovi il suo diretto sostegno in espresse previsioni di norme di legge, non trova facile riconoscimento da parte delle questure che ritengono di dover contenere una applicazione troppo estesa di questa norma eccezionale (art. 19 T.U.) che, in altre parole, garantisce il soggiorno a tutti coloro che convivono con parenti o coniuge italiani.

La cittadinanza italiana si acquista anche in caso di adozione

L’art. 3, comma 1, della legge 91/92 prevede che Il minore straniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza. In altre parole il minore straniero acquista automaticamente la cittadinanza italiana come se fosse figlio di madre o padre cittadini fin dalla nascita, equiparando totalmente il minore adottato al cittadino italiano. Si evidenzia che vi è una differenza di trattamento nel caso in cui l’adozione riguardi un maggiorenne.

L’art. 9, comma 1, lettera b) prevede infatti che la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno, allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione.
Come si vede in questi casi non si consegue automaticamente la cittadinanza italiana, ma c’è solo la possibilità di chiederla avendo i requisiti richiesti.

Il caso dei cittadini maggiorenni

A questo riguardo è nato un contenzioso relativo ad un caso paradossale che ha portato fino alla Corte Costituzionale. Si trattava di una cittadina albanese maggiorenne, adottata da genitori italiani, che, a causa della adozione, e in base ad una specifica previsione in tal senso della legge albanese, non era più registrata nei registri dello stato civile, perdendo la cittadinanza albanese.

A causa dell’avvenuta cancellazione dai registri dello stato civile, la persona non è più riuscita a rinnovare il passaporto albanese e, di conseguenza, si è bloccato anche il rinnovo del pds. Si è quindi creata una situazione assurda di “limbo” ovvero di una fase in cui non essendo ancora decorsi i 5 anni di adozione, non si può chiedere la cittadinanza italiana e non si può nemmeno soggiornare serenamente in Italia.

A seguito di questa situazione piuttosto kafkiana è stato proposto ricorso al Tribunale di Savona, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, chiedendo di stabilire se sia conforme ai principi di eguaglianza, la differenza operata nel trattamento tra adottati minorenni o maggiorenni.

Purtroppo la Corte costituzionale non si è pronunciata sulla domanda di accertamento di legittimità costituzionale del diverso trattamento normativo riconosciuto agli adottati maggiorenni rispetto ai minorenni, perché ha dovuto sottolineare che, dal punto di vista procedurale, la diversa soluzione normativa non avrebbe comunque avuto influenza diretta sulla situazione che la signora aveva sofferto, e per conseguenza non vi erano i presupposti processuali per una pronuncia che affrontasse la questione del diverso trattamento. Infatti, il problema sofferto dalla signora in questione non dipendeva tanto dalla normativa applicabile agli adottati maggiorenni ma piuttosto dall’interpretazione adottata dalla questura, circa la pretesa impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno nei confronti di una persona che ad un certo momento è divenuta apolide; in altri termini, il problema avrebbe dovuto essere affrontato valutando se il mancato rinnovo del passaporto potesse giustificare automaticamente il rifiuto del rinnovo del pds.
Rimane comunque il fatto che il problema rimane insoluto, considerato che la Corte Costituzionale non si è pronunciata, avendo dichiarato inammissibile la questione proposta.

Ciò naturalmente non implica che il maggiorenne o la maggiorenne adottati non possano avere nel frattempo una regolare posizione di soggiorno perché si tratta pur sempre di persone conviventi con cittadini italiani. Quindi in questo caso – sempre in base alla regola generale dell’art. 19 – c’è il diritto al permesso di soggiorno, anche se, come abbiamo visto, il pds è rimasto bloccato a causa del mancato rinnovo del passaporto.

Cosa fare in questo caso? Si può intendere il mancato rinnovo del passaporto come un disconoscimento della cittadinanza originaria da parte delle autorità del Paese di provenienza?

Probabilmente, in questo caso, lo si potrebbe intendere così proprio perché – secondo la prassi albanese – interviene addirittura la cancellazione dai registri dello stato civile e questo è un segno eloquente del venir meno del riconoscimento dello status di cittadini da parte delle autorità di quel Paese.
Di conseguenza dovremmo immaginare che in una situazione di questo genere e fin tanto che non sarà possibile presentare la domanda di acquisto della cittadinanza italiana – dopo 5 anni dalla adozione – si debba addirittura attivare una procedura per il riconoscimento dello status di apolide.
Procedura che sembra eccessivamente complicata se si considera che in realtà il problema pratico che si era inizialmente posto era semplicemente il rinnovo del passaporto. Si precisa che tutt’oggi nessuna legge – sia italiana che straniera – prevede espressamente che un passaporto scaduto non sia più valido ai fini della identificazione di uno straniero.
È vero che esiste quella norma del Testo Unico sull’Immigrazione (art. 5, comma 5) che prevede che al momento del rinnovo del pds debbano essere verificati i requisiti per l’ingresso nel territorio italiano; ed è anche vero che tra questi è previsto che lo straniero debba dimostrare di avere un passaporto in corso di validità.
È sempre il caso del cane che si morde la coda, anche se non è ancora stato chiarito da nessuna sentenza che il sopravvenuto problema del mancato rinnovo del passaporto possa automaticamente – e senza valutare nessun altra circostanza particolare come casi di questo genere meriterebbero – comportare il rifiuto del rinnovo del pds.
Sia pure in mancanza di precedenti specifici al riguardo, ci permettiamo comunque di sollevare qualche dubbio sulla legittimità di un automatismo che faccia venir meno il rinnovo del pds in ogni caso di mancato rinnovo del passaporto, se non altro perché la scadenza del passaporto non fa venir meno automaticamente il valore identificativo del documento stesso; non bisogna confondere infatti il tempo di utilizzazione del documento autorizzato dallo stato di appartenenza con l’idoneità di quello stesso documento a garantire l’identificazione a livello internazionale di una persona. In altre parole, si può distinguere tra una validità per così dire “amministrativa” del documento di fronte alle autorità del paese d’origine ed una validità ai fini dell’identificazione che va ben oltre il termine indicato dal governo del paese di provenienza.Una conferma in questo senso la troviamo, guarda caso, quando si tratta di eseguire con la forza l’espulsione: se l’interessato ha un passaporto scaduto non si considera necessario richiedere l’assistenza del consolato del suo paese per il rilascio del tesserino di identità consolare e si dà per scontato che lo stesso sarà ricevuto senza obiezioni dalla polizia di frontiera del suo paese, come normalmente avviene.