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L’innominabile

Flore Murard-Yovanovitch*, comune-info - 1 novembre 2016

Foto: Pio D'Emilia

C’è un abisso, una faglia tra Africa ed Europa, dove migliaia di migranti stanno scomparendo ieri e oggi. “Fatti sparire”, presi a tenaglia tra due fronti: le detenzioni e gli abusi in Libia e i muri spinati e armati europei. Circa duecento persone sono annegate in solo tre giorni, dal 25-27 ottobre, in vari “naufragi” come si chiamano eufemisticamente. Nessuno osa parlare di eliminazione, eppure la scomparsa di massa è il frutto di una linea politica dell’Ue – il blocco del flusso migratorio a tutti costi, alla partenza e in viaggio -, non il frutto delle onde.

Uomini e donne, molte incinte, imbarcati su gommoni già sgonfi alla partenza, che imbarcano acqua e benzina, e corpi ustionati e feriti per non parlare delle torture di massa nei lager libici. Ragazzi denutriti che non riescono a camminare sulla banchina del porto e tanti che hanno visto morire un compagno in celle o in mare. Guardate i loro occhi non sono “migranti economici”.

E nessun intellettuale o giornalista, osa ancora parlare di eliminazione. Sì il termine “eliminazione” disturba, ci renderebbe tutti complici di questa odierna fossa comune, eppure come nominare diversamente un connubio di politiche che per risultato ha la scomparsa dei migranti, – perché migranti?
Una miscela letale di politiche migratorie mirate al respingimento di massa e politiche neoliberiste di devastazione delle autonomie e risorse africane, di esternalizzazione delle frontiere e di Migration Compact – una foglia di fico per nascondere controllo violento dei confini da polizie o paramilitari locali, rimpatri e deportazioni – nelle dittature come Eritrea, Sudan, Etiopia, Gambia ecc… – con tutti gli abusi e i rischi di sparizioni che comporta; senza elencare la censura sulla reale operazione militare con pattuglie di navi Nato nell’Egeo e nel Mediterraneo centrale.

Come analizzava perspicacemente Daniel J. Goldhagen in Peggio della guerra. Lo sterminio di massa nella storia dell’umanità, una politica eliminazionista è una strategia politica (per la redistribuzione del potere) un programma di morte pianificato a tavolino. Come lo è, nel caso nostro, la strategia europea di “blocco dei migranti” a tutti costi, inclusa l’uso della forza sul corpo dei migranti, alla partenza o in viaggio. Le criminali scelte come l’interruzione di Mare Nostrum, i Processi di Khartoum e di Rabat, gli accordi bilaterali di controllo dei confini e di riammissione con regimi terzi, i pattugliamenti armati di Frontex, le deportazioni e i respingimenti verso dittature di origine, possono produrre lo stesso effetto letale. 4.383 morti e dispersi a mare e 416 a terra, per un totale di 4.799 vittime nel solo 2016 (fonte Nuovi Desaparecidos).

Però in questo tassello innominabile, ora dopo le precedenti prove di omissione di soccorso della tragedia del 3 e 11 ottobre (ora indagine dalla Procura di Roma), del rapporto Death by Rescue (va letto) dei ricercatori Lorenzo Pezzani e Charles Heller, abbiamo ora un’ennesima prova che il blocco dei migranti non esclude l’eliminazione fisica.

I fatti del 21 ottobre. Pestati e fatti naufragare a mare. Alle ore 3 della notte del 21 ottobre, vi è stato un attacco da parte di un motoscafo della guardia costiera libica a un gommone con circa 150 migranti a bordo, mentre era in corso un’operazione di soccorso da parte dell’Ong tedesca Sea-Watch. L’operazione SAR, in coordinamento con la centrale operativa della guardia costiera italiana, era in atto a 14 miglia dalle coste libiche, quando agenti libici sono saliti a bordo del gommone e hanno a colpito violentemente i migranti con bastoni. «L’attacco da parte dei libici ha creato una situazione di panico a bordo, uno dei tubolari del gommone è collassato provocando la caduta in mare della maggior parte delle persone», riporta il comunicato dell’Ong tedesca.

Inoltre, gli equipaggi delle due imbarcazioni di Sea Watch 2 sono stati violentemente minacciati impedendo loro di lanciare altri salvagenti. Anche se il team di Sea-Watch 2 è riuscito a mettere in salvo 120 persone.

Quattro cadaveri recuperati, sarebbero quindi altri circa 25 morti (totale circa 30 morti). Sulla stampa italiana, oltre al grave silenzio, a differenza della stampa internazionale, si è fatto filtrare il dubbio che non fosse la guardia costiera libica ma un motoscafo rubato con le sue insegne; nonostante il portavoce della guardia costiera libica abbia riconosciuto l’abbordaggio (in foto) anche se nega di aver bastonato i migranti e i documenti inoppugnabili, come il log book della nave tedesca dove si conferma che la nave era in effetti in acque internazionali.

Lo staff umanitario ribadisce invece l’accusa alla Guardia costiera libica, e quest’ennesima violazione del diritto internazionale del mare. Sea-Watch chiede anche all’Ue di rivalutare l’addestramento di 80 agenti libici su navi militari dell’Ue, tra cui la San Giorgio e poi prossimamente a terra, iniziato il 27 ottobre scorso, nell’ambito dell’operazione Sophia di EuNavforMed.

Dicono, per facilitare i soccorsi, in realtà si tratta e si tratterà di respingimenti e di attacchi camuffati da operazioni di controllo in mare, al limite delle acque internazionali, un limite sempre più incerto, ma portati con mezzi tali da mettere in pericolo la vita dei migranti.

Nell’ora dove emergono prove dell’uso di armi da fuoco contro i rifugiati da parte della guardia costiera nell’Egeo e di Frontex nel 2014-15, come dimostrava l’inchiesta “Shoot first! di The Intercept, uno può logicamente aver il dubbio che si stia replicando ora nel Mediterraneo quel modello di deterrenza, usato in acque greco-turche che ha avuto per conseguenza un calo delle partenze. Invece di diminuzione delle morti nel Mediterraneo centrale, infatti dall’operazione Eunavfor Med, che ha per mandato di “intercettare, identificare e distruggere le imbarcazioni usate degli scafisti”, il 2016 risulta l’anno più letale. E da quando è partito l’addestramento ai libici, mai sono stati cosi numerosi i cadaveri, in catena. Il 25-27 ottobre, 29 cadaveri sono stati recuperati in fondo ad un gommone dalla nave Bourbon Argos di Msf), 97 sono dati per dispersi senza alcuna speranza di ritrovarli via dopo il naufragio (davanti al largo di Tajoura a est di Tripoli), 51 quelli indicati da alcuni superstiti dopo lo sbarco a Augusta, più alcuni “sparsi” (2 salme trasbordate sulla nave Vos Hestia di Save the Children e un giovane profugo recuperato dal mercantile danese Maersk Edward).

Odio i bilanci, ma sono necessari, circa 200 esseri umani sono stati uccisi nelle acque libiche in soli 72 ore, e oltre 4.000 morti a mare nel 2016 che tutti gli organismi internazionale Unhcr e Iom, certificano l’anno più letale, senza spiegarci le vere ragioni; non solo la violenza degli scafisti ma anche le intercettazioni violente a mare: si può ancora parlare di strage o dobbiamo cambiare terminologia – e livello di coscienza – e iniziare a nominare?

I pontili vuoti, le onde dove galleggiano i salvagenti vuoti, le centinaia di cadaveri che riaffiorano ogni giorno scomposti sulle coste libiche, le sparizioni nei lager libici, e tutti quelli che non vediamo, respinti e detenuti nelle celle dei “paesi terzi”, le migliaia di desaparecidos prodotti dalla nuova Barbarie-Europa, perché non nominarla? Non aspettiamo la Storia.