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La Corte di giustizia dichiara incompatibile con la direttiva rimpatri il reato di clandestinità previsto nell’ordinamento francese

Corte di Giustizia dell'Unione europea, Grande Sezione, sent. 6 dicembre 2011, Achughbabian, causa C-329/11

Con la sentenza pronunciata in data odierna, la Grande Sezione della Corte di Giustizia UE si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale con il quale la Corte d’appello di Parigi aveva sollevato la questione della compatibilità con la direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva rimpatri) dell’art. L. 621-1 del Codice francese dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo, ove è prevista la pena di un anno di reclusione a carico dello straniero che sia entrato o soggiorni illegalmente in Francia (cfr. sull’ordinanza di rinvio pregiudiziale i contributi i contributi di Luca D’Ambrosio e Francesco Viganò già pubblicati su penalecontemporaneo.it).
La Corte, dopo avere dato conto della normativa comunitaria e francese rilevante per la soluzione della questione, ribadisce il principio, già affermato nella sentenza El Dridi, per cui la direttiva “non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di un reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione” (§ 28), fermo restando che Stati membri “non possono applicare una normativa penale tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da tale direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile” (§ 33).
Sulla base di questa premessa, la Corte ritiene che la possibilità di applicare una pena detentiva allo straniero nel corso della procedura di rimpatrio, in luogo di applicare la misure coercitive previste dalla direttiva, che sono volte a superare gli ostacoli che si frappongono all’esecuzione della decisione di rimpatrio, costituisca una violazione del principio dell’effetto utile, comportando un ritardo nell’esecuzione del rimpatrio (§ 39).
Quando invece tutte le misure coercitive previste dalla direttiva siano state infruttuosamente esperite, e ciononostante lo straniero continui a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, non è esclusa la possibilità per lo Stato di ricorrere a sanzioni penali, anche detentive, posto che in questo caso esse non ostacolano una procedura di rimpatrio che si è ormai esaurita (§ 46); l’irrogazione di tali sanzioni è comunque subordinata al pieno rispetto dei diritti fondamentali, in particolare di quelli garantiti dalla CEDU (§ 49).
Per tali motivi, la Corte statuisce che “la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, dev’essere interpretata nel senso che essa:

osta alla normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante sanzioni penali, laddove detta normativa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo che, pur soggiornando in modo irregolare nel territorio di detto Stato membro e non essendo disposto a lasciare tale territorio volontariamente, non sia stato sottoposto alle misure coercitive di cui all’art. 8 di tale direttiva, e per il quale, nel caso in cui egli sia stato trattenuto al fine di preparare e realizzare il suo allontanamento, la durata massima del trattenimento non sia stata ancora superata; e

– non osta a siffatta normativa laddove essa consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo cui sia stata applicata la procedura di rimpatrio stabilita da tale direttiva e che soggiorni in modo irregolare in detto territorio senza che sussista un giustificato motivo che preclude il rimpatrio”