Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La cessazione dello status di rifugiato

Aggiornamento anche in seguito alle modifiche apportate al Decreto qualifiche dal D.lgs n. 18 del 21.02.2014

La cessazione dello status di rifugiato è disciplinata dall’art. 1 sezione C paragrafi 1 – 6 della Convenzione di Ginevra, dall’art. 11 della Direttiva 83/2004/CE e le successive integrazioni, nonché dall’art. 9 D.lgs. 251/07 e le successive modifiche.

La cessazione dello status di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra

Le clausole disciplinate dall’art. 1, sezione C, paragrafi da 1 a 6 della Convenzione di Ginevra del 1951 sono definite clausole di cessazione. Esse indicano le circostanze nelle quali un rifugiato perde lo status di rifugiato e cessa di essere riconosciuto come tale, ai sensi della sezione A della Convenzione di Ginevra. Sono fondate sulla considerazione che la protezione internazionale non deve essere accordata quando non è necessaria o giustificabile.
Le clausole di cessazione costituiscono eccezioni rispetto alla regola generale e, al pari delle clausole di esclusione, debbono, dunque, essere interpretate in modo restrittivo. La loro applicazione, pertanto, richiede valutazioni complesse ed accurate del singolo caso, con particolare attenzione alla situazione personale dell’interessato.
Lo status di rifugiato è mantenuto fino a quando l’interessato non si trovi in uno dei sei casi di cessazione dello status previsti dall’art.1 sezione C, paragrafi da 1 a 6 della Convenzione di Ginevra. I primi quattro casi di cessazione dello status si riferiscono a cambiamenti nella situazione personale del rifugiato e di cui è stato l’interessato a prenderne iniziativa. Le ultime due invece riguardano i casi in cui la protezione internazionale non è più necessaria o giustificabile, in base ai cambiamenti che si sono verificati nel paese in cui il rifugiato temeva di essere perseguitato, tali per cui sono venute meno le ragioni in forza delle quali l’interessato era stato riconosciuto rifugiato.

La clausola di cessazione dello Status prevista dall’art.1 – C paragrafo 1 prevede che la Convenzione di Ginevra cesserà di essere applicata ad una persona in possesso dei requisiti contemplati dalla sezione A qualora abbia usufruito nuovamente e volontariamente della protezione del paese di cui ha la cittadinanza.
Secondo il Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato elaborato dall’UNHCR, la clausola di cessazione dello Status prevista dall’art.1 – C paragrafo 1), riguarda i rifugiati che hanno una cittadinanza. E’ il caso del rifugiato che ritorna a stabilirsi nel paese di cui ha la cittadinanza

Questa condizione di cessazione dello status dipende da tre requisiti:

  • a) la volontà – il rifugiato deve aver reagito volontariamente;
  • b) l’intenzione – il rifugiato deve aver reagito con intenzione cioè deve aver inteso di avvalersi della protezione del paese di cui ha la cittadinanza;
  • c) il risultato – il rifugiato deve aver effettivamente ottenuto la protezione del paese di cui è cittadino.

La clausola di cessazione dello Status prevista dall’art.1 – C paragrafo 2 prevede che la Convenzione di Ginevra cesserà di essere applicata ad una persona in possesso dei requisiti contemplati dalla sezione A qualora, avendo perduto la sua cittadinanza, la riacquisisca volontariamente.
Secondo il Manuale UNHCR la clausola di cessazione dello Status, prevista dall’art.1 – C paragrafo 2), è identica a quella prevista dal paragrafo 1) e si applica nei casi in cui il rifugiato riacquista volontariamente la cittadinanza del paese in cui temeva di essere perseguitato per i ragioni disciplinati nella Convezione di Ginevra. Anche questa condizione, quindi, dipende dai tre requisiti sopracitati, la volontà, l’intenzione e il risultato.

La clausola di cessazione dello Status prevista dall’art.1 – C paragrafo 3 prevede che la Convenzione di Ginevra cesserà di essere applicata ad una persona in possesso dei requisiti contemplati dalla sezione A qualora abbia acquisito una nuova cittadinanza e goda della protezione del paese di cui ha acquisito la cittadinanza.
Come specificato nel Manuale dell’UNHCR questa clausola deriva dal principio secondo cui una persona che gode della protezione internazionale non ha più bisogno di essa perché ha acquisito una nuova cittadinanza. Di solito la cittadinanza che si acquisisce è quella del paese ospitante, ma a volte una persona può acquisire anche la cittadinanza di uno stato terzo. In questo caso comunque per la cessazione dello status di rifugiato è necessario che la persona interessata, oltre ad aver acquisito la cittadinanza del paese ospitante o di uno stato terzo, abbia anche effettivamente ottenuto la protezione del paese di cui è diventata cittadino.

La clausola di cessazione dello Status prevista dall’art.1 – C paragrafo 4 prevede che la Convenzione di Ginevra cesserà di essere applicata ad una persona in possesso dei requisiti contemplati dalla sezione A qualora l’interessato sia tornato volontariamente a stabilirsi nel paese che aveva lasciato o fuori del quale viveva per timore di essere perseguitato.
Questa clausola si applica sia ai rifugiati cittadini di uno stato sia ai rifugiati apolidi. Il Manuale dell’UNHCR specifica che la clausola prevede il ristabilimento volontario nel paese di cui si ha la cittadinanza o si aveva la residenza abituale, il che vuole dire che il soggiorno temporaneo in tale paese non vale come condizione per la cessazione dello status di rifugiato.

La clausola di cessazione dello Status prevista dall’art.1 – C paragrafo 5 prevede che una persona cessa di essere riconosciuta come rifugiato qualora, essendo venute meno le circostanze in seguito alle quali è stata riconosciuta come rifugiato, non può continuare a rifiutare di avvalersi della protezione del paese di cui ha la cittadinanza.
Secondo la definizione del Manuale dell’UNHCR per circostanze si intendono mutamenti radicali nel paese in cui si aveva fondato timore di persecuzione, tali da presumere che siano venute meno le condizioni di tale timore di persecuzione. Il mutamento transitorio non è una condizione di cessazione dello status di rifugiato. Pertanto, il rifugiato non deve essere sottoposto ad esami circa la continuità di esistenza delle condizioni in base ai quali è stato riconosciuto come tale, a scapito del senso di sicurezza per il rifugiato, che costituisce la base della protezione internazionale.

La clausola di cessazione dello Status prevista dall’art.1 – C paragrafo 6 prevede che una persona senza nazionalità cessa di essere riconosciuta come rifugiato qualora, essendo venute meno le circostanze in seguito alle quali ha ottenuto il riconoscimento della qualifica di rifugiato, è in grado di tornare nel Paese in cui aveva la residenza abituale.
Questa clausola secondo il Manuele dell’UNHCR riguarda i rifugiati apolidi ed è equivalente a quanto previsto dalla quinta clausola per i rifugiati in possesso di una cittadinanza, e pertanto, i mutamenti nel paese di precedente residenza abituale devono essere radicali e duraturi.

La cessazione dello status di rifugiato secondo il D.lgs. 251/07 e successive modifiche

Le ipotesi di cessazione dello status di rifugiato sono disciplinate anche dall’art. 9 D.lgs. 251/07 e successive modifiche, in attuazione della Direttiva 83/2004/CE e successive integrazioni.
La norma sovranazionale, e al pari di essa, anche la disposizione normativa nazionale, si basa su quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra, e pertanto, comprende sia ipotesi di cessazione dello status di rifugiato dipendenti da un cambiamento della situazione personale del rifugiato dovuto ad azioni compiute dallo stesso, sia ipotesi dipendenti da un mutamento della situazione nel paese di provenienza che si è verificato per fatti indipendenti dalla volontà del titolare di protezione internazionale. Le ipotesi di cessazione dello status di rifugiato per fatti individuali sono quelli previste dalle lettere a – d del comma 1 dell’art. 9 D. lgs. 251/07, mentre le ultime due ipotesi, previste dalle lettere e – f della stessa disposizione normativa riguardano cambiamenti nel paese di provenienza del rifugiato che si verifichino per fatti indipendenti dalla volontà dell’interessato.

Le prime due ipotesi previste dall’art. 9 del D.lgs. 251/07 riguardano il caso di chi abbia volontariamente scelto di avvalersi della protezione dello stato di cui e cittadino ovvero, dopo averla persa, ne abbia riacquistato la cittadinanza di tale stato (art. 9 co. 1 lett. a – b D.lgs. 251/07).
A tal proposito, per come osservato da UNHCR, ai fini della cessazione dello status di rifugiato è necessario che l’interessato abbia agito volontariamente, ossia con la specifica intenzione di riavvalersi della protezione dello stato di cui ha la cittadinanza o di riacquistare la cittadinanza di quest’ultimo, ed inoltre, egli debba aver effettivamente ottenuto la protezione idonea ovvero la cittadinanza di tale stato.
Pertanto, contatti occasionali o sporadici con le autorità dello stato di cittadinanza o forme marginali di collaborazione prestate da queste ultime, come il rilascio di passaporto, certificati anagrafici o altri documenti, non costituiscono di per se una protezione ai sensi della Convenzione di Ginevra (cfr. Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato elaborato dall’UNHCR).
La richiesta del passaporto, o di un altro documento, è pertanto qualificabile, in determinati casi, quale atto necessitato ai fini dell’ingresso, reingresso o soggiorno nel paese ospitante, e il semplice rilascio di tali documenti non può essere considerato quale forma di protezione da parte dello stato d’origine.

– Analogamente non necessita più dello status di rifugiato chi abbia acquistato una nuova cittadinanza e goda della protezione dello stato di cui ha acquistato la nazionalità (art. 9 co. 1, lett. c) D.lgs. 251/07).
Quest’ipotesi si realizza solo quando entrambe le condizioni richieste (aver acquistato una nuova cittadinanza e poter godere della protezione dello Stato di cui si è diventato cittadino) siano effettivamente soddisfatte, e riguarda principalmente il caso del rifugiato che, per effetto della naturalizzazione abbia acquistato la cittadinanza dello stato di accoglienza.
Secondo la legge italiana sulla cittadinanza – per come previsto dal combinato disposto dell’art. 9 co. 1 lett. e) e dell’art. 16 co. 2 della legge 91/92 – questa condizione si realizza in caso di soggiorno e residenza regolare da cinque anni sul territorio italiano.

Il bisogno di protezione cessa anche quando l’interessato si sia volontariamente ristabilito nel paese di provenienza ove temeva di essere perseguitato (art. 9 co. 1 lett. d) D.lgs. 251/07).
In questo caso è necessario che il ristabilimento nel paese di origine sia volontario e non sia determinato da obblighi giuridici.
Inoltre, l’interessato deve essere rientrato nel paese di origine allo scopo di farvi ritorno stabile. Pertanto, rientri brevi e sporadici non sono sufficienti per realizzare quest’ipotesi di cessazione dello status di rifugiato.
Il semplice fatto di recarsi occasionalmente nel paese d’origine o di dimora abituale non significa che l’interessato si sia avvalso della protezione dello stato in questione.
Pertanto, deve esludersi un qualsiasi tipo di automatismo tra il rientro nel paese di origine e la cessazione dello status di rifugiato.

La cessazione dello status di rifugiato per mutamento delle circostanze nel paese d’origine o di dimora abituale che siano indipendenti dalla volontà dell’interessato riguarda il caso del rifugiato o dell’apolide che possa rientrare nel paese di origine o di dimora abituale ed avvalersi della protezione di tale stato (art. 9, co. 1 lett. e – f D. lgs. 251/07).
Purché si possa dare luogo alla cessazione dello status di rifugiato ai sensi dell’art 9 co. 1 lett. e – f D.lgs. 251/07 è necessario che il cambiamento delle circostanze che avevano inizialmente determinato il riconoscimento dello status sia effettivo e duraturo.

La cessazione dello status di rifugiato secondo la Corte di Giustizia

Questo principio è stato ribadito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) nella sentenza Salahadin + altri c. Bundesrepublik Deutschland, del 2 marzo 2010. (Cause riuniti C-175/08, C-176/08, C-178/08 e C-179/08).
Secondo l’interpretazione data dalla Corte di Giustizia, infatti, si ha cessazione dello status di rifugiato quando la situazione nel paese d’origine o di provenienza dell’interessato sia cambiata in misura significativa e in modo duraturo, e che pertanto non via sia più un fondato timore di persecuzione né per i motivi originari né per altri motivi in quanto – in caso di rimpatrio – l’interessato potrebbe effettivamente godere della protezione di tale stato. In particolare, precisa la Grande Camera della Corte di Giustizia “ai fini della valutazione di un cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione (…) abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione”.

Inoltre, dato il carattere necessariamente individuale della valutazione riguardante la cessazione del bisogno di protezione (art. 9, co. 3 D. Lgs. 251/07), occorre verificare, di volta in volta, se il paese in questione, eventualmente divenuto sicuro e capace di garantire protezione alla generalità dei suoi cittadini o residenti, non sia eventualmente ancora insicuro in relazione al soggetto interessato.

Ne consegue che, anche quando un cambiamento della situazione generale nel paese di provenienza sia stato accertato, prima di dichiarare la cessazione dello status di rifugiato di un singolo individuo, occorre comunque comparare il mutamento di circostanze verificatosi con le specifiche ragioni che fondavano il suo timore di persecuzione.

Infine, nel caso in cui l’interessato sia stato, nel paese di origine, testimone o vittima di atrocità eccezionali, si dovrebbe comunque decidere per il mantenimento del suo status di rifugiato, nonostante siano intervenuti cambiamenti rilevanti nel paese in questione, tali da escludere ogni futuro rischio di persecuzione.
In questo senso deve essere interpretato il riferimento ai “gravi motivi umanitari” – tali da escludere comunque il rimpatrio – contenuto nell’art. 9, co. 2 D. lgs. 251/07.

La novità introdotta dal decreto legislativo n. 18 del 21.02.2014

Nel senso appena delineato, viene in rilevo anche il richiamo ai “motivi imperativi derivanti da precedenti persecuzioni” – che possono essere addotti dal rifugiato e che sono tali da giustificare il suo rifiuto di avvalersi della protezione del paese di cui ha la cittadinanza ovvero, se si tratta di apolide, del paese nel quale aveva la dimora abituale – inserite al comma 2 bis dell’art. 9 D.lgs. 251/07 dal recente decreto legislativo n. 18 del 21.02.2014, in attuazione della nuova Direttiva europea qualifiche 2011/95/CE.

Nella sopracitata sentenza della Corte di Giustizia la Grande Camera aveva già al tempo dato stabilito che l’art. 4, n. 4 della Direttiva 83/2004 può essere applicato quando le autorità competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce precedenti di persecuzione i quali sono collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase.
Pertanto, deve esludersi un qualsiasi tipo di automatismo tra il mutamento generico delle condizioni nel paese d’origine e la cessazione dello status di rifugiato.

A tal proposito infatti, ai sensi dell’art. 33 co. 1 lett. b) D.lgs. 25/08, nel procedimento di revoca o di cessazione dello status di protezione internazionale, l’interessato deve avere la possibilità di esporre in un colloquio personale a norma degli articoli 10, 11 e 12 o in una dichiarazione scritta, i motivi per cui il suo status non dovrebbe essere revocato o cessato.

Le altre schede in materia di protezione internazionale