Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Verso una rivoluzione copernicana in materia di espulsioni?

La direttiva 2008/115/CE (direttiva rimpatri) e le sue ricadute sull’attuale normativa italiana in materia di espulsioni e trattenimento nei C.I.E.

a cura dell'Avv Guido Savio

Breve relazione introduttiva sulle differenze tra la direttiva rimpatri e la normativa italiana in materia di espulsioni amministrative.

Scarica in formato pdf
Relazione Guido Savio

Delimitazione dell’indagine
Illustrare le differenze tra l’assetto della Direttiva rimpatri e il sistema delle espulsioni amministrative italiane e della loro esecuzione costituisce lo scopo di questa relazione introduttiva al seminario di studi, che, lungi dall’essere esaustiva, vuole essere uno stimolo per la discussione. Altre relazioni valuteranno i riflessi della direttiva sui reati connessi alle espulsioni, dando atto delle prime applicazioni,(1) nonché gli effetti del diritto UE sul diritto interno, atteso lo spirare del termine massimo di recepimento della direttiva stessa, senza che lo Stato italiano abbia provveduto a darvi attuazione(2).

Scopi della direttiva
Le finalità della direttiva sono espresse in trenta considerando, tra i quali mi preme ricordare:
1) L’istituzione di “un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità” (considerando n. 3): quindi efficacia dei rimpatri congiunta al rispetto dei diritti fondamentali delle persone costituiscono le linee guida della direttiva. Si apprezzi questa prospettiva rispetto alla normativa italiana dove la cronica inefficacia del sistema espulsivo è inutilmente fronteggiata da un’assurda proliferazione di fattispecie espulsive1, ed al rispetto appena formale dei diritti fondamentali delle persone: si pensi alle proroghe dei trattenimenti senza contraddittorio delineate dalla legge 94/092 e opportunamente corrette dalla Suprema Corte di Cassazione a partire dalla sentenza 4544 del 24/2/2010.
2) La necessità di stabilire “una procedura equa e trasparente (con) decisioni adottate caso per caso … non limitandosi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare” (considerando n. 6). Pensiamo alla dimensione seriale dei nostri decreti espulsivi, dove dietro lo schermo dell’attività non discrezionale ma vincolata spesso si nega di fatto rilevanza a situazioni personali fondamentali, sia pure con le rilevanti eccezioni dettate dall’art. 13, co. 2 bis (in tema di espulsione dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto), dall’art. 9, co. 10 e 11 (inerente l’espulsione dei lungo soggiornanti), e dall’art. 9 bis, co. 6 e 7 ( riguardante i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro dell’UE), ipotesi, quest’ultime, derogatorie dell’automatismo espulsivo, che impongono ponderazione dei diversi interessi contrapposti.
3) La conseguente necessità di stabilire garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al rimpatrio per l’efficace protezione degli interessi delle persone interessate” ( considerando n. 11). Interessi che nel diritto italiano non trovano alcuna tutela se non coincidenti con i divieti di espulsione di cui all’art. 19 T.U. e con le peculiari situazioni dei lungo soggiornanti e dei ricongiungimenti familiari; garanzie giuridiche minime, nel senso che gli Stati membri possono introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli, purchè compatibili con le norme della direttiva (art. 4).
4) La previsione che il “ricorso al trattenimento … dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti … se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente” (considerando n. 16): mentre l’ordinamento interno è incentrato su forme di allontanamento immediato e coattivo, con la sola eccezione del permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato nei successivi 60 gg. Inoltre, il ricorso all’ordine del questore, lungi dall’essere subordinato al principio di proporzionalità, è dettato unicamente dall’impossibilità di eseguire coattivamente l’espulsione o dalla carenza di disponibilità dei C.I.E. Occorrerà verificare se e in che modo sia possibile fornire un’interpretazione “comunitariamente conforme “ all’art. 14 co. 5 bis, in modo da utilizzare questo istituto in mancanza dei requisiti del trattenimento previsti dalla Direttiva.
5) Quante volte abbiamo sentito i nostri politici invocare l’intervento dell’U.E. per politiche comuni di contrasto all’immigrazione irregolare, tant’è che finalmente il considerando n. 20 recepisce questa richiesta prevedendo che l’obiettivo della direttiva … non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri … e può essere realizzato meglio a livello comunitario. La comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 del trattato.” L’art. 5 del trattato istitutivo della Comunità europea prevede che “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi della misura prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. Ebbene, nonostante l’U.E. venga incontro alle richieste reiteratamente formulate dai governi e dai politici italiani, costoro non solo non recepiscono nei termini previsti la direttiva, ma addirittura introducono il reato di ingresso e soggiorno illegale – al fine dichiarato di eludere la direttiva – dopo l’entrata in vigore della stessa, contravvenendo ai principi di effetto utile e di leale collaborazione.

L’ambito di applicazione della Direttiva
Ai sensi dell’art. 2, par. 2, è data facoltà agli stati membri di non applicare la Direttiva alle espulsioni giudiziali e nei casi di respingimento (salvo che i respinti non possano ottenere un titolo di autorizzazione al soggiorno), oltre che nelle procedure di estradizione.

Le relazioni tra la Direttiva e il reato di cui all’art. 10 bis TU 286/98 (brevi cenni)
Com’è stato da più parti rilevato, l’introduzione del reato di cui all’art. 10 bis parrebbe finalizzata ad eludere l’applicazione della Direttiva perché, dovendo ( o potendo, secondo le differenti interpretazioni degli artt. 16 T.U. e 62 bis D. Lg. 274/2000) il giudice di pace sostituire l’ammenda con l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva, questa diventerebbe conseguenza di una sanzione penale e rientrerebbe nell’ambito delle espulsioni giudiziali in presenza delle quali è consentita la deroga applicativa in questione. Tuttavia, è da escludersi che questa opzione sia praticabile poiché “l’interpretazione estensiva dell’art. 2, par. 2, lett. b), violerebbe il principio generale dell’effetto utile, rendendo residuale o addirittura escludendo l’ambito di applicazione della direttiva. Si impone dunque una interpretazione restrittiva della disposizione nel senso di permettere al legislatore nazionale di escludere l’applicazione della direttiva solo a quei casi nei quali essa è conseguenza di fattispecie penali diverse dall’ingresso o dal soggiorno irregolare che invece è la condotta che presuppone l’irregolarità dello straniero e quindi il rimpatrio ai sensi dell’art. 2, par. 1. A rigor di logica infatti l’espulsione è la conseguenza dell’ingresso e del soggiorno irregolare e non del reato o della sanzione penale che è invece a sua volta conseguenza dell’ingresso e del soggiorno irregolare” (3).

Anche la recente sentenza n. 359/2010 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, co. 5 quater, TU, nella parte in cui non prevede il giustificato motivo quale elemento negativo della fattispecie ( a differenza dell’ipotesi finitima di cui all’art. 14, co. 5 ter, TU), offre utili spunti di riflessione per il tema che ci occupa. Infatti si è al proposito sostenuto che “appare evidente a questo punto come, una volta ribaltato il rapporto tra espulsione con invito a lasciare il territorio ed espulsione con accompagnamento forzato, operato per effetto della applicazione diretta della direttiva sui rimpatri 2008/115/CE, a partire dal 24 dicembre 2010, termine di scadenza per l’attuazione della direttiva, le stesse considerazioni utilizzate dalla Corte per escludere la responsabilità penale qualora ricorra un “giustificato motivo” nei confronti di chi risulti inottemperante ad un ordine di lasciare il territorio dello stato, dovrebbero portare alla incostituzionalità del reato di immigrazione clandestina, almeno nella parte in cui questo reato si configura con il semplice soggiorno irregolare della persona. Inoltre se nella direttiva rimpatri si impone agli stati di valutare caso per caso le situazioni degli stranieri che sono trovati nel territorio nazionale privi di documenti di soggiorno, questa previsione assume oggi valore vincolante anche per il giudice interno che dovrà disapplicare le norme che risultino in conflitto con il diritto comunitario, o rimettere la questione alla Corte costituzionale, per il contrasto evidente della disciplina recata dagli articoli 13 e 14 del Testo Unico sull’immigrazione che prevedono misure sanzionatorie a carattere automatico e generalizzato, con il dettato ormai vincolante della Direttiva 2008/115/CE”(4).

Le relazioni tra la Direttiva e i respingimenti (brevi cenni)
Poiché gli Stati membri hanno una mera facoltà di non applicare la Direttiva nei confronti di quanti vengano respinti alla frontiera, essendo inutilmente trascorso il termine per il recepimento della stessa, non è dato sapere – allo stato – la posizione italiana al riguardo. Tuttavia, poiché ai respinti continua ad essere applicato il trattenimento, è fuor di dubbio che agli stessi debbano essere applicate le garanzie previste dalla Direttiva concernenti il trattenimento. Ci si riferisce alle disposizioni di cui all’art. 8, par. 4 e 5 ( ricorso in ultima istanza alle misure coercitive e uso proporzionato delle stesse; rispetto degli orientamenti comuni sulle disposizioni di sicurezza applicabili all’allontanamento congiunto per via aerea), al rispetto dei casi di rinvio obbligatorio dell’allontanamento (art. 9 par. 1), al rispetto delle garanzie che debbono precedere il rimpatrio (art. 14), al rispetto delle condizioni di trattenimento.(5)

Le fondamentali differenze – più favorevoli per lo straniero – del sistema espulsivo delineato dalla direttiva rispetto al diritto interno
Lo schema delineato dalla Direttiva è articolato così:
1. decisione di rimpatrio
2a. rimpatrio volontario
2b. provvedimento di allontanamento coercitivo
3. trattenimento in CIE (o altrove)

1. La decisione di rimpatrio
Ai sensi dell’art. 6, la “Decisione di rimpatrio” è l’atto con cui gli Stati membri decidono il rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di Paese terzo il cui soggiorno sia irregolare.
Fermo restando che in qualsiasi momento gli Stati membri possono astenersi dall’emettere la decisione di rimpatrio se intendono rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari o ad altro titolo, sono previste alcune deroghe, tra le quali merita attenzione la seguente:
se lo straniero il cui soggiorno sia irregolare ha iniziato una procedura di rinnovo del permesso di soggiorno, o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare, lo Stato membro valuta l’opportunità di astenersi dall’emettere la decisione di rimpatrio, fino al completamento della procedura.

Il T.U. 286/9
Volendo equiparare il decreto prefettizio di espulsione alla decisione di rimpatrio, nel T.U non sempre l’inizio di una procedura di rinnovo del permesso di soggiorno è idonea a determinare l’astensione dall’adozione dell’espulsione . È solo grazie alla giurisprudenza della Cassazione a sezioni unite che “la spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine … non consente l’espulsione automatica dello straniero, la quale potrà essere disposta solo se la domanda sia stata respinta per la mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti … mentre la sua tardiva presentazione potrà costituire solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva in cui versa l’interessato” (6).
Ma né il TU né la giurisprudenza prevedono una deroga all’espulsione in caso di presentazione tardiva di domanda di primo rilascio del permesso di soggiorno, o altra autorizzazione. I casi sono numerosi e rilevanti: autorizzazione ex art. 31, co. 3 TU, decreto flussi, permesso di soggiorno per motivi familiari quando lo straniero non sia già regolarmente soggiornante ad altro titolo, art. 18 …(salvo le eccezioni dei soggetti inespellibili, per motivi umanitari, e in tema di ricongiungimenti familiari).
In tutti questi casi si può solo cercare di ottenere la tutela cautelare da parte del giudice, previa proposizione del ricorso avverso l’espulsione, in attesa dell’esito della domanda di rilascio di permesso di soggiorno.

2a. La partenza volontaria
Ai sensi del considerando n. 10 e dell’art. 7 la decisione di rimpatrio privilegia la partenza volontaria fissando un termine tra 7 e 30 gg. (eventualmente solo su richiesta dell’interessato, ma previa informazione). Tale termine può essere prorogato per un periodo congruo, tenendo conto delle esigenze specifiche del caso individuale.

Il TU 286/98
Com’è noto tutte le espulsioni sono immediatamente esecutive, anche se sottoposte a gravame o impugnativa (art. 13, co. 3 T.U.), e sono eseguite dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ex art. 13, co. 4 TU., salva l’ipotesi di cui al comma 5 della stessa norma, allorché si debba procedere all’espulsione dello straniero che si è trattenuto in Italia oltre 60 gg. dalla scadenza del titolo di soggiorno, senza averne chiesto il rinnovo. In tal caso l’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro i 15 gg. successivi alla sua notifica: questa è l’unica ipotesi paragonabile all’istituto della partenza volontaria.
A parte questa ipotesi marginale, la partenza volontaria non nel diritto interno, né è prevista alcuna forma di adeguamento del decreto di espulsione alle esigenze specifiche del caso individuale.
È prevista la forma, residuale per legge ( art. 14, co. 5 bis T.U. ), – ma nei fatti maggioritaria – dell’ordine di allontanamento del questore, quale modalità esecutiva delle espulsioni. Il termine per l’ottemperanza al predetto ordine è tuttavia di soli 5 gg., inferiore al termine minimo previsto dalla direttiva. L’ordine questorile non è comunque paragonabile alla partenza volontaria, non fosse altro che per le pesanti sanzioni penali che ne puniscono l’inottemperanza, per la previsione di arresto obbligatorio (art. 14, co. 5 ter, quater e quinquies) e per l’impossibile valutazione delle esigenze specifiche del caso individuale, non sempre riconducibili al giustificato motivo quale delineato nella sentenza n. 5/2004 della Corte costituzionale. Peraltro il giustificato motivo è di norma rilevato dal giudice e assai raramente dalla P.A.

– 1. Come fronteggiare il pericolo di fuga prima della partenza volontaria (e prima dell’allontanamento)
L’art. 7, par. 3 della Direttiva prescrive che, per la durata del periodo fissato per la partenza volontaria, possano essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, quali l’obbligo di presentazione periodica all’autorità, la costituzione di adeguata garanzia finanziaria, la consegna dei documenti, l’obbligo di dimora.

Il TU 286/98
Nell’ipotesi residuale in cui l’espulsione contenga l’intimazione a lasciare il T.N. entro 15 gg. (art. 13, co. 5 TU), il questore dispone obbligatoriamente l’accompagnamento immediato alla frontiera , qualora il prefetto abbia ritenuto sussistente un concreto pericolo di fuga. In tal caso, ove non si possa eseguire coattivamente l’espulsione per le ragioni indicate al comma 1 dell’art. 14 TU, il questore emette il decreto di trattenimento nei C.I.E.
È pertanto evidente che nell’ordinamento interno, anche nell’unica ipotesi di espulsione non immediata e coattiva, il pericolo di fuga è fronteggiato esclusivamente con misure fortemente restrittive della libertà personale, senza alcuna possibilità di graduazione degli obblighi in relazione al caso specifico.

– 2. Le deroghe alla fissazione di un periodo congruo per la partenza volontaria
L’art. 7, par. 1, della Direttiva prevede due deroghe alla fissazione del termine tra 7 e 30 gg. per la partenza volontaria:
1. ai sensi del par. 2 dello stesso art. 7, è data facoltà di proroga del termine per la partenza volontaria, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale quali, a titolo esemplificativo, la durata del soggiorno, l’esistenza di bambini che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali;
2. ai sensi del par. 4, sempre dell’art. 7, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria, o concederne uno inferiore ai 7 gg., quando:
sussiste il rischio di fuga,
la domanda di soggiorno è stata respinta perché manifestamente infondata o fraudolenta,
l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

Il TU 286/98
Per quanto concerne la proroga del periodo di partenza volontaria, l’ordinamento italiano vigente non prevede alcuna proroga nell’unico caso in cui l’espulsione è attuata con l’intimazione a lasciare il territorio entro 15 gg (art. 13, co. 5,TU). Non può considerarsi proroga dell’espulsione l’ipotesi della donna in gravidanza e del marito convivente, rientranti nelle ipotesi d’inespellibilità di cui all’art. 19, per cui deve essere rilasciato un pds ex art.28 DPR 394/99. Le gravi situazioni di salute possono essere valutate ai fini della sospensione dell’espulsione ma tale previsione è frutto della giurisprudenza costituzionale (7) che – valorizzando l’art. 35 Cost. – impedisce il rimpatrio di chi necessiti delle cure urgenti,essenziali, ancorchè continuative, di cui all’art. 35, co. 3 TU.
Nemmeno il giustificato motivo – elemento negativo delle fattispecie criminose di cui all’art.14, co. 5 ter e quater (quest’ultimo dopo la sentenza n. 359 del 13/12/2010 della Corte costituzionale) – può essere paragonato ad una proroga del termine per l’allontanamento, posto che tale elemento opera in sede penale, e quand’anche comportasse l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato, la P.A. adotterebbe un nuovo decreto espulsivo ai sensi dell’art. 14, co. 5 ter TU: dunque una reiterazione dell’espulsione, altro che proroga del termine per allontanarsi!
Quanto poi alla possibilità di non riconoscere il periodo per la partenza volontaria, ovviamente tale previsione non è prevista nel diritto interno, posto che non è nemmeno prevista la partenza volontaria. È da segnalare che, nella prassi italiana, il rigetto della domanda di soggiorno comporta l’adozione del decreto espulsivo ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b) TU ( anche se tale norma non prevede espressamente tale ipotesi espulsiva), qualora lo straniero non ottemperi all’invito al c.d. “volontario esodo” ai sensi dell’art. 12 D.P.R. 399/94, indipendentemente dalle ragioni del rigetto ( quindi indipendentemente dal fatto che la domanda sia stata respinta perché manifestamente infondata o fraudolenta. Si pensi ai rigetti di regolarizzazione colf e badanti per i condannati ex art. 14co. 5 ter TU).
Poiché tale espulsione può essere eseguita con le modalità dell’ordine di allontanamento del questore, in caso di violazione del predetto ordine da parte di chi si sia visto rifiutare il rilascio del permesso di soggiorno, si applica la pena della reclusione da 6 mesi ad 1 anno(art. 14, co. 5 ter TU, come modificato dalla L. 94/09).
Va comunque precisato che l’invito a lasciare il TN di cui all’art. 12 D.P.R. 394/99 (regolamento di attuazione del TU) non ha nulla a che vedere con l’istituto della partenza volontaria, anche perché è previsto da una norma regolamentare, mentre la condizione giuridica dello straniero è soggetta alla riserva di legge(8). Tale invito costituisce un avviso della questura, contenuto nel provvedimento di rigetto della domanda di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, con cui si comunica allo straniero che la sua permanenza in Italia non è più consentita e lo si invita ad allontanarsi entro 15 gg. Pena l’espulsione e la denuncia per il reato di cui all’art. 10 bis TU. È atto proprio del provvedimento di diniego dell’istanza di permesso di soggiorno ( quindi non si applica a chi non lo richiede) e non ancora della disciplina espulsiva (che sarà solo eventuale, qualora l’interessato rimanga in Italia nonostante tale invito), tant’è vero che il diniego è atto del questore, mentre l’espulsione è adottata dal prefetto.
C’è invece il concreto rischio che si intenda utilizzare la deroga prevista dalla Direttiva relativamente al pericolo di fuga e per l’ordine pubblico, per sussumere sotto tali categorie la generalità degli espellendi, aggirando così la normativa europea. Oggi tuttavia tale situazione potrebbe verificarsi solo per le espulsioni ministeriali (art. 13, co. 1, TU e art. 3, L. 155/2005) e per quelle indicate all’art. 13, co. 2, lett. c), relative a persone rientranti nell’ambito delle fattispecie delle misure di prevenzione. Si segnala, inoltre, il rischio che taluno, nelle more di un incertus an et quando recepimento della Direttiva, possa oggi contrabbandare la partenza volontaria con l’invito al cd. “volontario esodo” di cui alla citata norma regolamentare, al fine di sostenere la sostanziale conformità del diritto italiano a quello europeo.

2b. L’allontanamento
Nelle ipotesi di mancata concessione del periodo per la partenza volontaria, ovvero di omesso adempimento entro il termine concesso, ai sensi dell’art. 8 della Direttiva gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio. Se è stato concesso il periodo per la partenza volontaria, la decisione di rimpatrio può essere eseguita solo alla scadenza di tale termine, salvo che non insorga, nelle more, uno degli elementi che avrebbero comportato la deroga di cui al paragrafo precedente. Il ricorso a misure coercitive è ammesso in ultima istanza per eseguire l’allontanamento di chi oppone resistenza, tali misure devono essere proporzionate e non eccedere un uso ragionevole della forza.

Il TU 286/98
Tutte le modalità di esecuzione delle espulsioni prevedono il ricorso (diretto o eventuale) a misure coercitive, senza alcuna limitazione allo straniero che oppone resistenza, essendo sufficiente la difficoltà nell’identificazione, la mancanza di documenti per il viaggio o del vettore (fattori estranei alla volontà dello straniero e non riconducibili a condotte “resisistenti”).
Infatti, per pacifica giurisprudenza costituzionale (sent. 105/2001 ex pluribus), sia l’accompagnamento coattivo alla frontiera che il trattenimento comportano una restrizione della libertà personale: quindi sono per definizione misure coercitive.
L’ordine di allontanamento del questore comporta, in caso di inottemperanza senza giustificato motivo, l’arresto obbligatorio e pesanti sanzioni detentive (art. 14, co. 5 ter, quater e quinquies), evidente è quindi il ricorso quantomeno alla più classica delle misure precautelari, sia pure in via eventuale.
Anche il mancato rispetto del termine di 15 gg. contenuto nell’espulsione con intimazione di cui all’art. 13, co. 5, TU, comporta l’esecuzione coattiva, fermo restando che è data facoltà alla P.A. – anche in questo caso – di disporre il trattenimento. Difetta, nell’ordinamento interno, il rispetto del criterio della proporzionalità nell’esecuzione dell’allontanamento.

Casi di rinvio dell’allontanamento
L’art. 9 della Direttiva prevede alcune ipotesi in presenza delle quali gli Stati membri rinviano (pare obbligatoriamente) l’allontanamento. Ciò deve accadere non solo in caso di violazione del principio di non refoulement o di concessione della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione di rimpatrio, ma pure tenendo conto delle condizioni fisiche o mentali del cittadino di Paese terzo, ovvero di ragioni tecniche quali l’assenza del vettore o dell’identificazione. In tali casi possono essere imposti gli obblighi di cui al par. 3 dell’art. 7 (presentazione periodica, garanzia finanziaria, consegna dei documenti, obbligo di dimora).

Il TU 286/98
Anche per il diritto interno l’assenza del vettore o dell’identificazione comporta un rinvio dell’allontanamento (art. 14, co. 1, TU), tuttavia tali “incidenti di percorso” determinano il trattenimento obbligatorio o l’ordine di allontanamento del questore solo nel caso in cui la misura restrittiva non possa essere disposta ad es. per carenza di posti disponibili, e non la sottoposizione agli obblighi indicati nella Direttiva.
Occorre invece sottolineare come la sospensione dell’allontanamento non è prevista dalla legge italiana (ad eccezione dei richiedenti asilo ex art. 37, co. 6, D. Lg. 25/2008), ma è frutto di interpretazione giurisprudenziale(9) e pertanto trova applicazioni non omogenee sul territorio, solo in caso di ricorso giurisdizionale. Quindi, situazioni analoghe a quelle descritte nella Direttiva, quali la violazione del principio di non refoulement, ovvero le condizioni di salute dello straniero – idonee al rinvio dell’allontanamento – non sono valutate preventivamente dall’amministrazione ma solo dal giudice in sede di eventuale proposizione di ricorso dello straniero. Peraltro,la prassi costantemente seguita dalle questure italiane è che, se è in atto il trattenimento nei C.I.E., la tutela cautelare accordata in sede di ricorso non è idonea a determinare la cessazione della restrizione della libertà personale, perché il “titolo” del trattenimento è l’ordinanza di convalida dello stesso (art. 14, co. 5, TU ), ma determina solo la sospensione dell’esecuzione dell’espulsione e non anche del trattenimento che gode (si fa per dire) di un autonomo titolo che costituisce il suo fondamento giuridico e perdura fino alla scadenza del termine, salvo proroga.

Divieto d’ingresso
L’art. 11 della Direttiva prescrive che le decisioni di rimpatrio siano corredate obbligatoriamente di un divieto di ingresso successivo quando:
– non sia stato concesso il periodo di partenza volontaria,
– non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio.

È data facoltà di corredare le decisioni di rimpatrio di un divieto d’ingresso anche in altri casi.
La durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i 5 anni. La durata può essere superiore a 5 anni se lo straniero costituisce grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale: in tali casi non è determinato il termine massimo.
Gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto d’ingresso se lo straniero dimostra di avere lasciato il territorio di uno Stato membro in ottemperanza alla decisione di rimpatrio.
Dalla lettura della norma si evince agevolmente che la partenza volontaria non è corredata del divieto d’ingresso, come pure la successiva resipiscenza: emerge chiaramente l’elemento premiale che connota la partenza volontaria.

Il TU 286/98
La legge italiana prescrive per tutte le espulsioni ordinariamente un divieto di reingresso di 10 anni, salva facoltà del prefetto di disporre un termine più breve, in ogni caso non inferiore a 5 anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia (art. 13, co. 14, TU). Tale divieto decorre dal giorno dell’effettivo allontanamento dal territorio italiano.
A parte il diverso dato temporale (la normativa italiana sul punto sarebbe conforme a quella europea se non fosse intervenuta la Bossi – Fini), rileva la natura premiale insita nella partenza volontaria, che non consente l’apposizione di un termine di divieto di reingresso. È assai probabile che una delle ragioni del mancato tempestivo adeguamento del governo italiano alla Direttiva rimpatri sia la convinzione che la partenza volontaria non sarebbe rispettata dagli espellendi: se nemmeno la minaccia di gravi sanzioni dissuade dal non ottemperare all’ordine del questore, figurarsi la partenza volontaria non sorretta da sanzioni penali! La resistenza a valorizzare elementi premiali, confidando esclusivamente nell’eterna illusione repressiva, svela una concezione del rapporto istituzioni – migranti in termini esclusivamente di ordine pubblico, senza considerare che i costi elevati e l’inefficacia conclamata del sistema vigente, potrebbero essere ridotti (i primi) e migliorata (l’efficacia) puntando sul concreto interesse ad ottemperare alla decisione di rimpatrio da parte del destinatario che – se non fosse obbligatoriamente corredata da un consistente divieto di reingresso – gli consentirebbe di poter rientrare in Italia con il successivo decreto flussi, quindi in condizioni di regolarità.

3. Trattenimento
La Direttiva (art. 15) considera il ricorso al trattenimento solo se nel caso concreto non possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, in particolare quando:
– sussiste il rischio di fuga o
– il cittadino del Paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.

Quindi, il rischio di fuga può comportare la mancata concessione del periodo per la partenza volontaria o il riconoscimento di un periodo inferiore a 7 gg. (art. 7, par. 4), ma non comporta automaticamente il trattenimento che potrà essere attuato solo se non possano essere applicate altre misure con un potenziale coercitivo inferiore. Consegue il carattere residuale del trattenimento.
Il trattenimento è disposto con atto scritto e motivato, se è disposto dall’autorità amministrativa deve essere previsto un riesame giudiziario o accordato il diritto a presentare ricorso.
L’illegittimità del trattenimento determina l’immediata liberazione del trattenuto.
In ogni caso il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta dell’interessato o d’ufficio; nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto a controllo dell’autorità giudiziaria.
Quando non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o non sussistono più le condizioni che avevano consentito l’adozione del trattenimento, questo non è più giustificato e la persona trattenuta è rilasciata immediatamente.
Il trattenimento è mantenuto per il periodo necessario ad assicurare l’esecuzione dell’allontanamento. Ciascun Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi.
Tale termine può essere prorogato per un periodo limitato non superiore ad altri 12 mesi, nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione rischia di durare più a lungo a causa:
– della mancata cooperazione dell’interessato
– dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

Il TU 286/98
La natura residuale del trattenimento disciplinato dalla Direttiva costituisce certamente il punto di frizione più alto con il diritto italiano, dove il trattenimento – conseguenza dell’immediata esecutività dell’espulsione – è la regola (o almeno una delle regole, affatto residuale).
Le cause tassative del trattenimento previste nel TU sono:
– necessità di procedere al soccorso
– necessità di accertamenti supplementari in ordine alla identità o nazionalità
– necessità di acquisire documenti per il viaggio
– indisponibilità del vettore
– attesa nulla osta dell’A.G.
– attesa convalida dell’accompagnamento da parte del GdP
– attesa di esame della domanda di asilo

Le cause di trattenimento – probabilmente non tassative – indicate all’art. 15 Direttiva sono evidentemente diverse da quelle previste dal diritto interno: ostacolare o evitare la preparazione del rimpatrio è cosa che non coincide con l’accertamento dell’identità o nazionalità che può essere al più una conseguenza dell’attività di resistenza da accertarsi caso per caso, ma che può anche dipendere da fattori esterni alla volontà del trattenuto. Nemmeno il reperimento di vettore e biglietti è riconducibile alle linee europee.
Il trattenimento italiano non prevede alcun riesame periodico, men che meno a richiesta del trattenuto. Questo è un punto decisamente rilevante ai fini dell’illegittimità comunitaria dell’art. 14 TU. Occorre infatti considerare che il trattenimento perdura in forza del provvedimento giudiziale di convalida, come già detto poc’anzi la “convalida” costituisce il “titolo” del trattenimento, titolo che vale automaticamente per 30 gg. e che può essere prorogato alle scadenze di legge: trattasi dunque di proroga del medesimo titolo. Occorre rammentare che con la convalida del trattenimento il giudice compie una duplice attività: da un lato sana la restrizione della libertà personale operata dalla polizia prima del suo intervento e, dall’altro, autorizza la stessa a trattenere lo straniero per 30 gg. perché manca il vettore, oppure per un altro dei motivi previsti. Il punto è che se il vettore manca per 10, 20 o effettivamente 30 gg. il giudice non lo può sapere: semplicemente si fida della PA che se gli dice che manca il vettore sarà senz’altro vero, perché al giudice italiano è inibito ogni potere di determinare la durata del trattenimento in funzione delle ragioni addotte dalla PA in ogni singolo caso. A fronte di una siffatta mortificazione della riserva di giurisdizione, la possibilità di riesaminare il trattenimento ricondurrebbe lo stesso nell’alveo delle garanzie costituzionali in materia di libertà personale. Né può confondersi il riesame periodico del trattenimento con le proroghe dello stesso: non solo perché la proroga è finalizzata all’allungamento della durata del trattenimento ed è richiesta dalla PA e non certo dall’interessato, ma anche perché le funzioni e i poteri del giudice della proroga sono identici a quelli della convalida, con la differenza che la terza e la quarta proroga comportano la permanenza per 60 gg. l’una: continua ad essere inibita al giudice la valutazione della durata effettiva del trattenimento, ragion per cui la proroga non può essere confusa con il riesame che, secondo la Direttiva, dovrebbe servire a verificare il perdurare delle ragioni che avevano determinato il trattenimento, anche al fine di verificare l’esistenza di prospettive ragionevoli di allontanamento in difetto delle quali il cittadino di Paese terzo deve essere immediatamente rilasciato.
Infine, va detto che l’unica parte della Direttiva che è stata recepita dall’Italia ben prima della scadenza del termine ultimo sono le condizioni legittimanti la proroga del trattenimento, introdotte nell’art. 14 co. 5 TU con la L. 94/09.

La circolare prot. 400/B/2010 diramata dal Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza il 17/12/2010
Approssimandosi la data del 24 dicembre scorso, il Capo della polizia ha ritenuto opportuno diramare una circolare a questori e prefetti affinché adeguassero le motivazioni dei decreti espulsivi al nuovo che avanza.
Infatti, nel delineare lo “scenario futuro”, il Prefetto osserva che
“decorso il termine del prossimo 24 dicembre, lo straniero attinto da un provvedimento finalizzato al suo rimpatrio potrebbe impugnarlo e chiedere, alla competente autorita’ giudiziaria, di eccepirne la difformita’ rispetto ai contenuti della normativa comunitaria; il ricorso dello straniero potrebbe essere accolto poiche’ il giudice, in applicazione dei principi di diritto comunitario, e’ obbligato ad interpretare il diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della Direttiva.

In previsione di tale situazione:
– assumeranno una rilevanza strategica le motivazioni su cui si fonderanno i provvedimenti propedeutici al rimpatrio che codesti Uffici proporranno per l’adozione alle competenti Prefetture o adotteranno direttamente;
– tali motivazioni, per essere idonee a neutralizzare gli effetti del ricorso, dovranno essere articolate, in modo che emerga con chiarezza la conformità dell’azione di rimpatrio rispetto ai contenuti della normativa comunitaria.”

L’incipit merita attenzione.
Siccome il tempo sta per scadere e l’Italia non si è adeguata alla direttiva, poiché è intuibile che i destinatari di provvedimenti espulsivi faranno ricorso, siccome i ricorsi potrebbero pure essere accolti – non potendo i giudici ignorare la direttiva – , si rende necessario motivare i decreti espulsivi in modo tale da “neutralizzare gli effetti del ricorso” e cioè facendo sembrare i provvedimenti conformi alla norma UE.
Sia consentito incidentalmente osservare che molti cittadini, italiani e non, si sarebbero sentiti più garantiti e protetti se, invece di cercare di neutralizzare gli effetti dei ricorsi, – che saranno pur sempre valutati da giudici – il dicastero degli interni si fosse preoccupato di adeguare tempestivamente le norme interne al diritto UE ( si rammenta che la Direttiva in esame è entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla GUUE avvenuta il 24/12/2008).
Come possa un decreto espulsivo apparire conforme alla direttiva, nonostante le evidenti e radicali difformità prima evidenziate, è questione che viene risolta con le seguenti direttive operative, corredate da commenti in neretto.

“Da quanto illustrato, emerge in particolare che:
– la posizione di ogni straniero che soggiorna illegalmente sul territorio nazionale deve essere attentamente valutata;
(raccomandazione ultronea, posto che l’attenta valutazione dei casi dovrebbe costantemente informare l’attività di polizia diretta a incidere su diritti fondamentali)

– a tale proposito, nell’intervista cui lo straniero e’ sottoposto prima di avviarlo al rimpatrio, volontario o coatto, andrà verificato se sussistono le condizioni affinché allo stesso sia possibile rilasciare un permesso di soggiorno umanitario o ad altro titolo;
( previsione, questa, già dettata dal vigente art. 5, co. 6, TU)

– qualora sia esclusa tale possibilità, si dovrà accertare se sussistano motivi che impediscono di concedere allo straniero un termine per la partenza volontaria;
(è curioso che il Capo della polizia suggerisca di accertare la sussistenza di motivi ostativi all’applicazione di un istituto che non esiste nel diritto italiano – e di cui nemmeno fornisce indicazioni per la sua applicazione diretta) -, ma è ancor più curioso che nulla si dica nel caso in cui – per avventura – tali motivi impeditivi non sussistessero e dovesse concedersi il termine per la partenza volontaria)]

– tali motivi impeditivi sono configurabili qualora lo straniero:
abbia presentato una domanda di soggiorno che e’ stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta, o
(in caso di rigetto della domanda di permesso di soggiorno la norma italiana prevede il termine per il volontario esodo, art. 12 DPR 399/94, e il Ministero non fornisce indicazioni alle questure al riguardo)
sia pericoloso per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale,
( in questi casi si procede alle espulsioni ministeriali o giudiziali o amministrative ex art. 13, co. 2 lett. c), ma il Ministero nulla dice se ritenga possibile disporre espulsioni anche per taluno delle altre numerose ipotesi non determinate da motivi di pericolosità)
ovvero
sia a rischio di fuga, ossia ricorra il pericolo che egli possa sottrarsi al rimpatrio, qualora venisse a lui concesso un termine per la partenza volontaria;

– in linea generale, per ritenere se sussiste o meno il rischio di fuga potrà essere utile chiedere allo straniero di dimostrare, mediante la consegna di apposito carteggio:
. a disponibilità di adeguate garanzie finanziarie provenienti da fonti lecite, idonee allo scopo;
. il possesso di un documento utile all’espatrio, in corso di validità;
. l’utilizzabilità’ di un alloggio stabile non precario, ove egli possa essere rintracciato senza alcuna difficoltà;
. la linearità della sua condotta pregressa;
. il proprio concreto interesse a tornare quanto prima nel Paese d’origine o in un altro Paese terzo, senza più prolungare la permanenza irregolare sul territorio italiano;
. ogni altro elemento utile ad evidenziare la presenza o meno del pericolo che egli si sottragga volontariamente al rimpatrio, qualora gli venisse concesso un termine per la partenza volontaria;
(com’era facilmente prevedibile il Ministero punta sul pericolo di fuga per evitare di dover adottare atti che la normativa italiana non prevede e che renderebbero il provvedimento contrastante con la direttiva. La dimostrazione “con apposito carteggio” della linearità della condotta pregressa farebbe sorridere se non fosse tragicamente reale, così come la dimostrazione del “concreto interesse a tornare quanto prima nel Paese di origine” è formula vuota di contenuti, affermabile da chiunque. Senza contare che questi elementi idonei a scongiurare il rischio di fuga dovrebbero essere dimostrati in sede di “intervista amministrativa”, cioè subito dopo essere finiti nelle camere di sicurezza a seguito di una retata o di un controllo del territorio – senza avvocato e senza interprete – . È noto, infatti, che ogni irregolare porta con sé la documentazione attestante la disponibilità di adeguate garanzie finanziarie!
Pare evidente che le motivazioni idonee a “neutralizzare gli effetti del ricorso” si tradurranno nella apposizione della particella “NON” davanti alle singole proposizioni dell’intervista proposta dal ministero; la modulistica sarà predisposta al fine di dimostrare che l’interessato dichiara – con atto facente fede sino a querela di falso – che non si trova in alcuna situazione per cui possa escludersi il pericolo di fuga, né può essere adottata altra misura meno coercitiva del trattenimento … non fosse altro perché la legge non la prevede, ma questa risposta non sarà prevista dalla modulistica, c’è da scommetterci!
)

– il trattenimento e’ possibile per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, a condizione che non possano essere applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive. Pertanto, detta misura:
. potrà essere adottata nei casi attualmente consentiti dalla legislazione nazionale;
( i casi previsti dall’art. 14, co. 1, TU, non hanno nulla a che fare con quelli delineati dall’art. 15 Direttiva! Basta leggere le norme! )
. tuttavia, dalla lettura del provvedimento di trattenimento dovrà emergere che, nel caso concreto, non risulti possibile applicare altre misure meno coercitive, proprio a causa della particolare situazione che caratterizza la posizione dello straniero;
(e non forse a causa che le altre misure non esistono?)
. dovrà essere idonea a soddisfare la finalità dell’allontanamento, che e’ da perseguire con tutte le misure necessarie”

L’epilogo non delude le premesse:
“In considerazione della compatibilità della Direttiva 2008/115/CE rispetto alla legislazione nazionale,(e dire che avremmo sempre pensato il contrario: che fosse la legge nazionale a dover essere compatibile con la norma UE) nelle more del suo recepimento codesti Uffici vorranno adeguatamente motivare i provvedimenti da proporre alle competenti Prefetture per l’adozione o da adottare, in modo tale da far emergere, in caso di contenzioso, che:
– la posizione dello straniero sia stata oggetto di approfondita valutazione;
(ovviamente, senza alcun incremento della dotazione di risorse in capo agli uffici immigrazione delle questure italiane)
– le decisioni discrezionali (come, ad esempio, la mancata concessione allo straniero del termine per la partenza volontaria, la durata del divieto di ingresso o il suo trattenimento nel CIE) siano corredate da adeguata motivazione e non siano state adottate in virtù di meccanismi automatici di rimpatrio;
– sia stato osservato il principio introdotto dalla Direttiva, che e’ quello di effettuare il rimpatrio dello straniero progressivamente, mediante l’adozione di provvedimenti “ad intensità graduale crescente”. (non importa se “l’intensità graduale crescente” il nostro ordinamento non sa cosa sia: l’importante è dare l’impressione formale che quel principio, anche se non esiste in Italia, l’Italia l’ha rispettato)]

Dall’esame della circolare 17/12/2010 del Capo della polizia emergono due dati incontrovertibili:
1. il Dicastero dell’interno ritiene la Direttiva 115 dotata di efficacia diretta, ( e in tal senso paiono orientate le prime decisioni giurisprudenziali in tema di violazione delle disposizioni di cui all’art. 14, co. 5 ter e quater TU), diversamente non avrebbe alcun senso la circolare.
2. Il Ministero, su cui incomberebbe l’obbligo di applicare direttamente le disposizioni della Direttiva anche per il tramite dei suoi organi periferici (questure e prefetture),al posto di quelle difformi previste dal T.U., si preoccupa esclusivamente di emanare una circolare “antiricorsi” il cui dichiarato scopo è quello neutralizzarne gli effetti. Tale opera di neutralizzazione preventiva non si esplica – come sarebbe corretto – attuando il più possibile la Direttiva (quindi selezionando le modalità di espulsione sulla base di oggettive condotte dei singoli) ma facendo apparire come conformi allo strumento normativo europeo i consueti provvedimenti tramite una modifica meramente formale della modulistica.
La conseguenza di tale opzione è che ricadrà –ancora una volta – sulla giurisdizione (nella specie per lo più onoraria) un onere di supplenza dell’esecutivo: sarà l’autorità giurisdizionale a doversi assumere il compito di conformare l’ordinamento interno agli obblighi derivanti dalla Direttiva, con il necessario e auspicato contributo della classe forense.

L’efficacia dei provvedimenti di espulsione adottati prima del 24/12/2010
Ulteriore questione riguarda la validità ed efficacia dei provvedimenti espulsivi adottati anteriormente alla scadenza del termine di recepimento della Direttiva. Gli studi che fino ad ora sono stati elaborati riguardano le prime applicazione delle sanzioni penali per violazione dell’art. 14, co. 5 ter e quater TU: alcuni giudici hanno assolto gli imputati per insussistenza del fatto a causa di illegittimità sopravvenuta dell’ordine questorile, altri ritengono che non si verta in ipotesi di successione di leggi extrapenali integratrici del precetto, qualche PM ha disposto l’immediata liberazione dell’arrestato, ma insomma la questione si sta ponendo solo con riferimento all’ambito penale.
Volendo porsi il problema prioritario della legittimità delle espulsioni anteriori al 24 dicembre, occorre partire dalla considerazione che forse non conviene ragionare come se si trattasse di abrogazione e successioni di leggi nel tempo, quanto piuttosto, partendo dal rapporto tra legge nazionale e legge comunitaria, verificare in che modo le disposizioni contenute in una direttiva che siano sufficientemente chiare, dettagliate e non condizionate, intervengono sul diritto interno, una volta che sia scaduto invano il termine per il loro recepimento.
Senza volermi sovrapporre alla relazione della Prof.ssa Chiara Favilli, provo ad esporre sinteticamente la mia opinione.
Un primo dato va rammentato con forza: il 24 dicembre scorso non è entrata in vigore la Direttiva 115, è semplicemente decorso il termine massimo di recepimento da parte degli Stati membri ( con l’eccezione dell’art. 13, par. 4, il cui termine di attuazione scadrà il 24/12/2011): la Direttiva in esame è entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla GUUE, avvenuta il 24/12/2008.
La questione dei rapporti tra diritto UE e diritto interno è stata affrontata in più occasioni dalla giurisprudenza, ma i commentatori sono concordi nell’attribuire fondamentale rilevanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 5/6/1984 e da altre successive(10).
Occorre premettere che la sentenza richiamata riguardava gli effetti su diritto interno di un regolamento CEE e non di una direttiva, tuttavia par di comprendere che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, una volta scaduto il termine di attuazione, l’efficacia delle disposizioni chiare, dettagliate e incondizionate contenute in una direttiva siano paragonabili a quelle dei regolamenti, quanto a diretta efficacia.
Richiamando la sentenza n. 183/1973, secondo cui “Esigenze fondamentali di eguaglianza e certezza giuridica postulano che le norme comunitarie – , non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di diritto straniero, né di diritto interno -, debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari”, la Consulta afferma che “l’accoglimento di tale principio, come si è costantemente delineato nella giurisprudenza della Corte, presuppone che la fonte comunitaria appartenga ad altro ordinamento, diverso da quello statale. Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell’art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così è, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento.”
La conclusione pare pertinente col caso che ci occupa: “L’effetto connesso con la sua vigenza è perciò quello, non già di caducare, nell’accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. In ogni caso, il fenomeno in parola va distinto dall’abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le norme all’interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti.”
L’insegnamento del Giudice delle leggi consente – ad avviso di chi scrive – di affrontare il tema della legittimità delle espulsioni (e dei trattenimenti, e dei reati connessi) anteriori al 24 dicembre scorso non già in termini di ius superveniens rispetto all’assetto del diritto interno, per cui – trattandosi di atti amministrativi – trova applicazione il principio del tempus regit actum , quanto piuttosto in termini di disapplicazione della norma interna incompatibile con quella comunitaria nella definizione della controversia davanti al giudice nazionale. Il che comporta che se un decreto espulsivo adottato legittimamente prima del 24 dicembre giunge all’esame del giudice successivamente a tale data, il giudice – nella definizione della controversia – lo valuta al metro del diritto europeo. E analoga valutazione farà il giudice penale che – dovendo giudicare l’inottemperante all’ordine questorile – debba conoscere incidentalmente della legittimità degli atti amministrativi presupposti.

Vedi anche:
Direttiva rimpatri e stato di diritto – Un commento alla luce della circolare Manganelli del 17 dicembredi Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Direttiva rimpatri e contrasti con la normativa italiana in materia di reati collegati alle espulsioni
a cura di Lorenzo Miazzi, Giudice del Tribunale di Rovigo
Ancora sull’impatto della direttiva comunitaria 2008/115/CE sui reati di cui all’artt. 14 co. 5-ter e 5-quater d.lgs. 286/1998
a cura di Filippo Focardi, Sostituto Procuratore della Repubblica di Firenze
Direttiva rimpatri e delitti di inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore
a cura di Francesco Viganò, Professore ordinario di Diritto Penale
Direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, del 16 dicembre 2008
Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare
Circolare del Ministero dell’Interno del 17 dicembre 2010
a firma del Capo della Polizia Manganelli

Note:
1) Ad oggi il nostro ordinamento annovera ben 13 diverse tipologie di espulsioni amministrative: due espulsioni “ministeriali” ex art. 13, co. 1 TU e art. 3 L. 155/2005, e 11 espulsioni prefettizie:
a) conseguente ad ingresso illegale, art. 13, co. 2, lett. a) TU;
b) conseguente ad irregolarità del soggiorno, art. 13, co. 2, lett. b) TU;
c) conseguente a divieto di rinnovo di permesso di soggiorno, artt. 13, co. 2, lett. b) TU e art. 12 DPR 394/09;
d) conseguente a pericolosità sociale, art. 13, co. 1, lett.c) TU;
e) conseguente ad ingresso illegale e irregolarità di soggiorno di chi ha esercitato il diritto all’unità familiare, art. 13, co. 2 bis TU;
f) espulsione del titolare di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, art. 9, co. 10 TU;
g) espulsione del titolare di permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro paese membro dell’UE, art. 9 bis co. 7, TU;
h) espulsione titolare di permesso di soggiorno o altro titolo equipollente rilasciato da altro paese dell’UE, art. 5, co. 7, TU;
i) espulsione dell’inottemperante all’ordine del questore, art. 14, co. 5 ter TU;
l) espulsione conseguente alla perdita dei crediti derivanti dall’accordo di integrazione, art. 4 bis, co. 2, TU;
m) espulsione conseguente a condanna irrevocabile per violazione della normativa sul diritto d’autore e commercio di prodotti con marchi contraffatti, art. 26, co. 7 bis TU.
A ciò si aggiungano le 7 espulsioni giudiziali: a titolo di misura di sicurezza (artt. 235 e 312 c.p.; art. 86 DPR 309/90; art. 15 TU), a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione (art. 16 TU), a titolo di sanzione sostitutiva dell’ammenda ( artt. 16 TU e 62 bis D. Lg. 274/2000), a titolo di sanzione alternativa alla detenzione (art. 16 TU), per un numero complessivo di 18 differenti tipologie di espulsione di stranieri (senza annoverare le tipologie di allontanamento dei cittadini comunitari che esulano dal nostro campo d’indagine).

2) Che ha modificato il co. 5 dell’art. 14 TU.

3) C. Favilli, La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzazione dell’espulsione dei cittadini di paesi terzi in Osservatoriosullefonti , fasc. 2/2009

4) Così F. Vassallo Paleologo, “Direttiva rimpatri e stato di diritto – un commento alla luce della circolare Manganelli del 17 dicembre” , reperibile sul sito www.meltingpot.org

5) V. P. Bonetti, “la proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la Direttiva sui rimpatri” in “Dir. imm. e cittadinanza” 4709, pag. 92.

6) Cass. Civ. SSUU, 20/5/2003, n. 7892.

7) Corte cost. sent. n. 252/2001

8) Art. 10, co. 2 Cost.

9) Cfr. Corte cost. sent. 161/2000

10) Corte cost. sent. n. 389/1989