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La nuova normativa in materia di espulsioni

Scheda a cura di Pietro Fanesi

A seguito dell’applicazione diretta della Direttiva Rimpatri e a fronte dell’accertata incompatibilità tra questa e la normativa interna da parte della Corte di Giustizia (sentenza El Dridi), il legislatore italiano è stato costretto a modificare l’aspetto della disciplina sulle espulsioni.
Con la legge n. 129/2011 è stato convertito il decreto legge n. 89/2011 con il quale il Governo ha ridefinito alcuni tratti salienti dell’intera normativa sulle espulsioni, inserendo alcuni elementi nuovi come il rimpatrio volontario o il rimpatrio volontario assistito ed irrigidendone altri, come la massima estensione del trattenimento fino a 18 mesi presso i C.I.E., prevista dalla direttiva comunitaria.

Alcune importanti modifiche si sono verificate anche sotto il profilo penale, con la modifica della sanzione di cui all’art. 14, c.5-ter nella pena (dalla reclusione alla multa) e con l’ampliamento del novero dei reati.
Un aspetto rilevante che pone alla luce le prime modifiche apportate al Testo Unico in materia di espulsioni, è certamente l’eliminazione dell’automatismo espulsivo dello stesso provvedimento di allontanamento.
Nel testo previgente il provvedimento di espulsione è sempre stato il risultato vincolato di un procedimento finalizzato non tanto all’accertamento della irregolarità e all’eventuale scelta ponderata ed individualizzata del rimpatrio, bensì alla nevrotica spinta all’allontanamento coatto e violento dello straniero irregolare e clandestino, vittima di un vortice di provvedimenti a suo carico slegati e privi di qualsiasi criterio logico di scelta e di prospettiva ragionevole.

Espulsioni a confronto: con o senza il rischio di fuga. La partenza volontaria
A parte l’ampliamento delle categorie di soggetti espellibili di cui all’art. 13 T.U., occorre preliminarmente dare risalto alla nuova “espulsione amministrativa” voluta dal legislatore comunitario, cioè alla nuova “valutazione degli interessi in gioco” di cui si fanno carico le Prefetture quando accertano lo stato di irregolarità del cittadino extra-comunitario.
Con l’espressione “L’espulsione è disposta dal Prefetto, caso per caso, (…)” il legislatore ha attuato (seppur lasciando margini più indefiniti rispetto all adirettiva) le linee guida comunitarie, definendo astrattamente un nuovo incipit dal quale si susseguono le fasi che porteranno al trattenimento e all’eventuale rimpatrio dello straniero.

Per comprendere a fondo la modifica “indotta”, si legga il considerando n.6 della direttiva rimpatri nella parte in cui recita che “le decisioni di rimpatrio dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare”.
L’introduzione di questo nuovo “tipo” di provvedimento espulsivo rappresenta certamente un elemento positivo e di novità, frutto di un atteggiamento del tutto proveniente dalle istituzioni comunitarie e volto a bilanciare due opposte esigenze, l’efficienza del rimpatrio e il rispetto dei diritti fondamentali.

Altra novità degna di nota, è costituita da un nuovo divieto di espellere che non considera una caratteristica soggettiva dello straniero, come lo è sempre stato il divieto di espulsione di determinate categorie vulnerabili, bensì un atteggiamento del soggetto espulso il quale fa spontaneamente ritorno alla frontiera.
Il novellato articolo 13 T.U., al neovigente comma 2-ter prevede che l’espulsione amministrativa non è disposta né eseguita coattivamente qualora il provvedimento sia stato già adottato nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli di polizia alle frontiere esterne.
Questo arretramento punitivo nei confronti dello straniero comunque irregolare, rappresenta un’altra particolare novità che ha mosso il legislatore verso un ulteriore disciplinamento dell’attività di polizia.
Infatti, per nulla logica appariva la possibilità di accanirsi nei confronti di coloro che, convinti di tornare nel proprio Paese di origine, rischiavano di essere sottoposti a controllo dei documenti alla frontiera fino ad essere espulsi con il divieto di reingresso sino a dieci anni e magari, anche trattenuti presso un centro di identificazione ed espulsione.

A fronte di queste importanti modifiche di sistema il legislatore interno ha tuttavia ricostruito l’intera impalcatura fornendola di anticorpi comunque restrittivi.
Va premesso che il nuovo impianto del Testo Unico nel disciplinare i casi e i modi con i quali far fronte all’espulsione dello straniero, ha disposto una divisione principale tra coloro che potrebbero beneficiare della partenza volontaria e coloro che, sussistendo il rischio di fuga, sarebbero destinatari invece solo dell’accompagnamento coattivo.
Secondo il disposto della Direttiva comunitaria, il rimpatrio volontario rappresenterebbe la regola mentre l’accompagnamento coattivo, con le sue graduali e progressive forme di limitazione della libertà personale, l’eccezione. Questo ordine era dimostrato anche dalla tecnica normativa del legislatore comunitario, laddove prevedeva all’art. 7 del dettato normativo la partenza volontaria e poi all’art. 8 l’allontanamento.
Il nuovo disposto dell’articolo 13 T.U. invece, al comma 4 disciplina i casi in cui l’espulsione è eseguita dal Questore con accompagnamento coattivo, al comma 4 bis le circostanze in cui si perfeziona il rischio di fuga e solo poi, al comma 5, “qualora non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera di cui al comma 4” (che ricomprende altresì il comma 4 bis), i casi “residuali” in cui lo straniero può “chiedere al prefetto, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria”.
Detto questo, appare evidente come il portato potenzialmente garantista del dettato comunitario sia venuto meno con l’attuazione interna del legislatore italiano.
< La novità principale della novella sarebbe stata proprio la nuova forma di adempimento spontaneo e volontario di lasciare il territorio dai sette ai trenta giorni, con il beneficio conseguente rappresentato dall’assenza del divieto di reingresso per chi avesse adempiuto all’intimazione.
Il carattere premiale di questo istituto si è scontrato con la sua preoccupante attuazione interna, che ha innovato se non stravolto il procedimento disegnato dal legislatore comunitario.

Il primo contraccolpo subito dall’istituto della partenza volontaria è costituito dalla necessaria richiesta che l’interessato deve avanzare per poterne beneficiare. Va detto che anche la Direttiva Rimpatri offre allo Stato membro la facoltà di poter anteporre la necessaria richiesta alla partenza volontaria. Com’era prospettabile, il legislatore interno ha attuato il beneficio in via attenuata, non tenendo presente la fondamentale importanza rivestita dall’informazione di attivare una simile garanzia in capo allo straniero irregolare da parte degli organi competenti, in quanto un simile dovere informativo risulta assente nella novella.

Altro elemento rilevante che ha intaccato lo spirito garantista dell’istituto è ravvisabile nel rischio di fuga, la cui comprovata presenza in relazione agli indici tassativamente indicati dall’art. 13, c.4 bis T.U. preclude la possibilità per lo straniero di chiedere la partenza volontaria.
Il legislatore, nello stresso articolo ha indicato gli indici di sussistenza del rischio di fuga, che sussiste in presenza “del pericolo che lo straniero possa sottrarsi alla volontaria esecuzione del provvedimento di espulsione” , così elencati:
– mancato possesso del passaporto, o di altro documento equipollente, in corso di validità;
– mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio ove possa essere agevolmente rintracciato;
– avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità;
– non aver rispettato i termini per la partenza volontaria; essere rientrato nel territorio prima della scadenza del divieto di reingresso e senza una speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno (caso di ricongiungimento familiare); non aver ottemperato ai provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 14 T.U..
– avere violato una delle misure coercitive disposte automaticamente dal questore a garanzia del rimpatrio volontario (consegna del passaporto; obbligo di dimora; obbligo di firma).

Pertanto, al venire in essere di una sola di queste condizioni, lo straniero verrebbe inserito automaticamente nel binario dell’allontanamento coattivo.
Quando invece non sia perfezionato il rischio di fuga e percorribile pertanto la strada della partenza volontaria, nonostante prima facie ci si trovi innanzi ad una dimensione più garantista rispetto a quella che potrebbe condurre il cittadino extra-comunitario al trattenimento presso i C.I.E. fino a 18 mesi, il legislatore ha posto comunque limiti alla libertà di circolazione dello straniero.

Infatti, in questi casi il Questore chiede allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse lecite, per un importo proporzionato al termine concesso per la partenza volontaria, compreso tra una e tre mensilità dell’assegno sociale annuo. Inoltre dispone nei suoi confronti una misura coercitiva a garanzia dell’ adempimento del termine fissato per la partenza volontaria (consegna del passaporto; obbligo di dimora; obbligo di firma) la cui inosservanza riconduce lo straniero all’accompagnamento coattivo.
Nuova disposizione a cappello delle modifiche di cui all’art. 13 T.U. è l’ultimo periodo comma 5.2, il quale prevede tre reati che puniscono l’inosservanza delle misure coercitive suddette. Si tratta di tre delitti puniti con la pena pecuniaria e la cui competenza è deferita al Giudice di Pace. Questi traggono un elemento comune all’art.10 bis T.U. (c.d. reato di clandestinità), che dispensa le Questure dall’obbligo di chiedere nullaosta per l’espulsione all’Autorità competente all’accertamento del reato.
L’espulsione seguente alla loro inosservanza sarà eseguita nelle forme dell’accompagnamento coattivo, seguendo il binario delle espulsioni di cui all’art. 13, 4 T.U..

L’Art. 14 T.U.: misure esecutive del provvedimento di espulsione. I nuovi reati.
Tra le misure esecutive del provvedimento di espulsione, al di fuori dell’eccezione della partenza volontaria, sono annoverate sostanzialmente le stesse modalità previste dal Testo Unico previgente, con una novità importante.
Ricordiamo che tra quelle previste dalla normativa adottata dal legislatore precedentemente l’applicazione del D.L. n.89/2011 poi convertito con L. n.129/2011, l’art. 14 T.U. prevedeva la sequenza oramai nota:
– accompagnamento coattivo;
– trattenimento presso i centri di identificazione ed espulsione;
– ordine di allontanamento;
– inosservanza dell’ordine di allontanamento e arresto obbligatorio per il delitto di cui al previgente art. 14, c.5-ter T.U.;
– nullaosta all’espulsione;
– nuova espulsione eseguibile nelle forme dell’accompagnamento coattivo;

Nel novellato articolo 13 T.U. sono comprese tutte le ipotesi per le quali l’espulsione è eseguibile nelle forme dell’accompagnamento coattivo, così elencate:
– espulsioni ministeriali e per pericolosità sociale;
– casi in cui risulta integrato il rischio di fuga;
– quando la domanda di permesso di soggiorno è stata respinta perché manifestamente infondata o fraudolenta;
– inosservanza del termine per la partenza volontaria;
– inosservanza delle misure disposte a garanzia della partenza volontaria e delle misure disposte dal questore in alternativa al trattenimento;
– espulsioni disposte dall’autorità giudiziaria;
– in caso di mancata richiesta del termine per la partenza volontaria;

Come risulta evidente, il catalogo dei casi in cui l’espulsione è disposta in via coattiva contempla altresì le ipotesi in cui si ritiene sussiste il rischio di fuga.
Questa circostanza ci offre una chiave di lettura per comprendere l’impianto della nuova disciplina che contempla due binari principali, la partenza volontaria e l’accompagnamento coattivo, dei quali quest’ultimo costituisce l’inevitabile conclusione dell’intero procedimento allorquando non si osservino le prescrizioni imposte per la partenza volontaria.
L’accompagnamento coattivo, per dirla in breve, rappresenta la via del rimpatrio per coloro che non sono meritevoli – a detta del legislatore – di esercitare la facoltà di rimpatriarsi autonomamente e per coloro che, nonostante l’abbiano avuta, non ne hanno usufruito oppure non hanno rispettato quegli i limiti imposti dal legislatore.
Lasciando invariato il presupposto del trattenimento consistente nell’impossibilità di eseguire con immediatezza l’espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera o il respingimento, il legislatore ha ampliato il novero delle sue condizioni utilizzando la locuzione delle “situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento”.
Importante novità giunta a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina è prevista per coloro che, congiuntamente:
– sono in possesso del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità;
– non sono espulsi per motivi di pericolosità sociale o per presunta appartenenza ad organizzazioni terroristiche;

per queste due categorie di soggetti, qualora non sia possibile eseguire l’accompagnamento ai sensi dell’art. 14, c.1 T.U., il legislatore ha disposto la possibilità da parte delle competenti questure di applicare, in luogo del trattenimento e nelle more delle “situazioni transitorie”, le medesime misure coercitive che, differentemente, ha l’obbligo di applicare a garanzia della partenza volontaria, e quindi:
– consegna del passaporto;
– obbligo di dimora;
– obbligo di firma;

L’inosservanza delle stesse comporta il perfezionamento di tre diversi delitti puniti allo stesso modo delle inosservanze alle misure coercitive disposte in pendenza dei termini per la partenza volontaria.
L’art. 14, c.1 bis T.U. infatti punisce entrambe le categorie con la pena pecuniaria da euro 3.000 a 18.000 euro.
Ciò premesso, non può che osservarsi la presenza fin’ora di sei delitti simili, posti a tutela dell’esecuzione dell’espulsione; queste fattispecie presuppongono tuttavia delle situazioni giuridiche di partenza differenti.
Per le prime (le inosservanze alle misure disposte durante la partenza volontaria) il legislatore descrive la circostanza iniziale dell’assenza del rischio di fuga, come presupposto della concessione – su richiesta – del termine per la partenza volontaria.
A garanzia del rispetto del termine concesso, quindi, impone alle questure competenti di disporre una o più delle misure coercitive le cui inosservanze configurano i relativi reati.
Per le seconde, allo stesso modo, conferisce la facoltà alle questure di applicare le medesime misure le cui inosservanze sono punite con sanzioni, nei confronti di coloro che tuttavia sono risultati positivi all’accertamento del rischio di fuga, purché in possesso del passaporto e non destinatari di una espulsione per pericolosità sociale ovvero per presunta appartenenza ad organizzazioni terroristiche.
E’ importante sottolineare la discriminazione di fondo operata dal nuovo Testo Unico, che da un lato concede allo straniero la possibilità di auto – rimpatriarsi imponendo contestualmente alle Autorità di P.S. di applicare misure coercitive, e dall’altro concede alle stesse questure la facoltà di applicare una misura coercitiva nei confronti di chi non è ammesso alla partenza volontaria.

A parte l’allungamento del termine previsto per il trattenimento presso i C.I.E. nella sua estensione massima concessa dalla Direttiva Rimpatri, il legislatore non ha rivisto la materia del trattenimento fornendola delle relative garanzie previste dal legislatore comunitario in tema di riesame della posizione del trattenuto.
Infatti, nonostante le udienze di convalida e proroga che nella stragrande maggioranza dei casi sono meri adempimenti burocratici della Giurisdizione onoraria, data l’estensione lunghissima del periodo massimo di trattenimento, la posizione del cittadino extracomunitario trattenuto dovrebbe essere vagliata anche secondo nuovi e più calzanti criteri.
Occorre prendere atto che in questa parte la Direttiva Rimpatri non ha ricevuto attuazione.
Da un lato, quest’ultima prevede che “in ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d’ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria” (art.15, p.3).
Congiuntamente, la direttiva comunitaria contempla un principio basilare nell’ordinamento sovranazionale che più volte è stato richiamato dalla Corte di Giustizia, per il quale non possono essere attribuite al cittadino le conseguenze dell’inadempienza della Pubblica Amministrazione, rispetto all’assenza di una ragionevole prospettiva di allontanamento.
Infatti, allo stesso articolo 15, p.4 della Direttiva 2008/115/CE è previsto che “quando risulta che non sussiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni del rischio di fuga e/o della condotta ostativa al rimpatrio, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”.
Questo disposto naturalmente non richiama alle circostanze per cui sia scaduto il termine massimo di trattenimento dello straniero presso i C.I.E., poiché per queste situazioni – come vedremo in seguito – è tassativamente indicato dallo stesso legislatore interno lo strumento dell’intimazione ad allontanarsi ex art. 14, c.5 bis T.U.; e neppure si considerino esclusivamente i casi per cui sono venute in essere circostanze legittimanti il rilascio del permesso di soggiorno nei confronti del trattenuto, poiché queste erano ancor prima prospettabili secondo il Testo Unico previgente.
Pare che il dettato comunitario, con la formula del “non sussiste più alcuna prospettiva ragionevole di trattenimento” indichi al legislatore interno una sorta di contraltare alla estensione massima dei termini previsti per il trattenimento giustificato da una “impossibilità” sorta in capo alla Pubblica Amministrazione; questa circostanza legittimerebbe l’eventuale liberazione del trattenuto anche al di fuori dei casi tassativamente indicati ed a seguito del riesame da parte dell’Autorità Giudiziaria competente.

Andando oltre, il nuovo art. 14 T.U. mantiene lo stampo penalistico della sua formulazione previgente, accostando alle ipotesi di trattenimento quelle dell’ordine di allontanamento entro sette giorni (non più cinque) dal territorio nazionale.
Allo scopo di porre fine al soggiorno illegale dello straniero e di adottare le misure necessarie per eseguire immediatamente il provvedimento di espulsione o di respingimento, lo straniero è intimato ad allontanarsi spontaneamente dal territorio, qualora:
– non è stato possibile trattenerlo in un C.I.E.;
– la sua permanenza all’interno della struttura non ne abbia più consentito l’allontanamento dal territorio nazionale (scadenza dei termini).

L’inottemperanza al nuovo ordine di allontanamento è sanzionata con la multa da 10.000 a 20.000 euro per coloro che sono stati espulsi o respinti, e per coloro che si sono sottratti ad un programma di rimpatrio volontario assistito.
Unitamente al delitto di cui all’art. 14, c.5-ter, grazie al quale l’intera impalcatura previgente del Testo Unico era crollata per via della pena della reclusione fino a quattro anni, il legislatore ha inserito una nuova fattispecie in vista della nuova modalità esecutiva dell’espulsione della partenza volontaria.
“Si applica la multa da 6.000 a 15.000 euro se l’espulsione è disposta in base all’art. 13, c.5 T.U.” (Art. 14, c.ter secondo periodo T.U.).
Mentre nella disciplina previgente il legislatore distingueva il trattamento sanzionatorio previsto tra coloro che erano sempre stati irregolari e coloro che, invece, non avevano rinnovato il permesso di soggiorno o gli era stato rifiutato (oltre al caso del trattenimento in violazione dell’art. 1, c.3 L. n.68/07) applicando ai primi una pena compresa tra uno a quattro anni di reclusione e ai secondi una pena compresa tra sei mesi e un anno di reclusione, ora i parametri sono nettamente mutati.

Il trattamento sanzionatorio distingue chi ha beneficiato della partenza volontaria da chi, compreso nella categoria di cui all’art. 13, c.4 T.U., è stato destinatario dell’accompagnamento coatto.
Entrambi i reati sono di competenza del Giudice di Pace, il quale non deve concedere il nullaosta alla successiva espulsione disposta direttamente dalle Autorità competenti. La disciplina processuale applicabile è quella innanzi alla stessa Autorità Giudiziaria competente per l’accertamento del reato di ingresso e soggiorno “illegale” (c.d. reato di clandestinità), con una sequenza procedimentale che attinge dall’esperienza del rito direttissimo innanzi al Tribunale monocratico, in ricordo dell’art. 14, c.5-ter T.U. di vecchio conio.
A questo punto arriviamo ad una questione controversa dell’intera novella. Come ricordiamo bene, una delle ultime modifiche al Testo Unico in materia di espulsioni riguardavano il tipo di espulsione da adottare a seguito della inottemperanza a precedenti ordini di allontanamento.
In dottrina e giurisprudenza era sorto un rilevante dibattito per giustificare un modo di agire delle Autorità di Pubblica Sicurezza, le quali adeguavano alla finalità di espellere ogni principio cardine dell’intero ordinamento. Ciò trovò una soluzione con l’approvazione della L. n.94/2009, la quale legittimò la catena infinita di ordini di allontanamento, creando l’apposita categoria dell’espulsione per inottemperanza all’ordine di allontanamento, grazie alla quale le Questure potevano dormire sonni tranquilli e al riparo da ogni accusa di lesione del principio del ne bis in idem.
Ad oggi, con la trasformazione delle sanzioni previste per i medesimi delitti di cui agli art. 14, c.5 ter T.U. e seguenti, ci accorgiamo che il legislatore ha conservato la medesima tecnica di tutela penale.
Infatti, al penultimo paragrafo dell’art. 14, c.5 ter T.U. è proprio indicato che si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione per violazione dell’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi dell’art. 14, c .5 bis T.U..
E a questo punto l’articolo introduce nuovamente la locuzione del “valutato il singolo caso”, al fine di non inciampare per l’ennesima volta contro l’incompatibilità della direttiva comunitaria, tuttavia con una particolarità. Si dovrà tener conto degli articoli 13, c.4 e 5, i quali – lo ricordiamo – disciplinano i due binari principali della nuova impalcatura amministrativa. Da un lato l’accompagnamento coattivo e dall’altro, la partenza volontaria.
Ci si chiede come sia possibile l’applicazione di quest’ultima strada, a seguito di un precedente provvedimento espulsivo.

Spieghiamo meglio.
L’inosservanza del termine previsto per la partenza volontaria costituisce il presupposto per l’applicazione dell’allontanamento coattivo.
Non esiste altra modalità se non quella dell’accompagnamento coattivo, in alternativa alla partenza volontaria.
Ora, non si comprende come sia possibile indicare, tra i criteri di scelta delle modalità esecutive dell’espulsione per inosservanza dell’ordine di allontanamento, anche l’art. 13, c.5 T.U. (Partenza volontaria). Non si comprende, poiché in realtà il percorso di chi non ne aveva i requisiti e quindi, accertato il rischio di fuga, poteva essere destinatario unicamente dell’accompagnamento coattivo è lo stesso percorso di chi, una volta concesso il termine per la partenza volontaria non lo abbia osservato.

Anche se il cittadino extracomunitario abbia maturato successivamente uno dei requisiti che escluda il rischio di fuga, come per esempio sia venuto in possesso del passaporto o di titolo equipollente, sarebbe comunque compreso nella categoria di cui all’art. 13, c.4 bis T.U. per non aver ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità ai sensi dell’art.14 (l’ordine del questore). Quest’ultima condizione è compresa nei requisiti per i quali si presume il rischio di fuga e per questo, chi viene da una espulsione a mezzo di accompagnamento coattivo non potrà mai sperare in una futura partenza volontaria.
Per concludere, la violazione dell’ordine disposto ai sensi del 14, c. 5-ter T.U., in esecuzione all’espulsione prevista per l’inosservanza ad un precedente ordine di allontanamento è punita con la multa da 15.000 a 30.000 euro.
Questa fattispecie è l’erede del vecchio delitto che puniva la nuova inottemperanza sino a cinque anni di reclusione.

Conclusioni
Non si potrebbe chiedere alla presente analisi di offrire al lettore una chiave di lettura adeguata alla comprensione dell’intera novella che ha interessato una delle parti più intricate del Testo Unico sull’immigrazione.
A seguito dell’applicazione diretta della Direttiva Rimpatri e successivamente alla pubblicazione della storica sentenza El Dridi, al legislatore non è rimasto che attuare nell’ordinamento interno le linee guida comunitarie – purché sufficientemente chiare e precise – al fine di neutralizzare ogni tentativo di interpretazione che avrebbe potuto demolire ulteriormente il Testo Unico.
Dopo la caduta degli artt. 14, c.5-ter e quater T.U. uno spiraglio di luce ha animato quel discorso tanto lontano e velleitario, di rendere compatibile con la tutela dei diritti fondamentali una materia così crudele che vede la persona al centro di un procedimento finalizzato all’espulsione dal territorio.
Nel considerando n. 2 della Direttiva si legge che “Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità”.
Il previgente procedimento volto al rimpatrio dello straniero irregolare vedeva una sequenza reale di percorsi distinguibili in due opzioni: da un lato, constatata l’impossibilità di eseguire tramite l’accompagnamento coattivo lo straniero irregolarmente soggiornante, lo si tratteneva sino a quando non veniva identificato o non si recuperava il suo titolo di viaggio e il vettore con il quale sarebbe stato tradotto presso il Paese di origine. In questo caso ci ricordiamo di molti che, venuti a conoscenza della disposizione, non portavano con sé il passaporto per paura di essere rimpatriati. Dall’altro, se non vi erano posti disponibili all’interno dei centri di detenzione amministrativa o erano scaduti i termini massimi previsti per il trattenimento, lo straniero riceveva un c.d.“foglio di via” allo scadere del quale se scoperto impattava con il sistema penale. Una volta intercettato dalle Autorità di Polizia veniva arrestato per la prima volta, processato per direttissima e condannato ad una pena a cavallo di un anno di reclusione con la concessione della sospensione condizionale. La seconda volta, ricevuto un nuovo foglio di via veniva nuovamente arrestato e ristretto in carcere in via cautelare, poiché incline alla disobbedienza verso i provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale.
Ogni volta che veniva arrestato, il questore chiedeva il rilascio del nullaosta all’espulsione, così la catena infinita delle inosservanze prendeva il via e gli istituti di pena erano sovraffollati di casi tutti simili tra loro.
Detto questo, il parametro con il quale oggi va letta l’intera disciplina è quello della detenzione amministrativa.
La finalità del legislatore italiano, leggendo le disposizioni concernenti le modalità esecutive del provvedimento espulsivo, a parte la irrisoria apertura della partenza volontaria, battono comunque nella strada dell’accompagnamento coattivo come allora.
Sennonché, l’estensione sino a 18 mesi del trattenimento presso i centri di identificazione ed espulsione rappresenta inequivocabilmente il bilanciamento per l’assenza di una pena detentiva.
Essendo il trattenimento il miglior strumento in mano al Governo per operare il rimpatrio dei cittadini irregolari, pur dovendo il legislatore attuare l’istituto del rimpatrio volontario in attuazione degli obblighi comunitari, lo stesso ha visto bene di incanalare verso il binario dell’accompagnamento coattivo ogni prospettiva di rimpatrio, volontario o coattivo.
Come si è tentato di dimostrare poc’anzi infatti, lo straniero beneficiario della partenza volontaria ma inottemperante al termine o alle misure disposte a garanzia della stessa, si troverebbe immesso inevitabilmente nel canale dell’accompagnamento coattivo.
Allo stesso modo, coloro che non richiedano la partenza volontaria sarebbero automaticamente espulsi con l’accompagnamento coattivo; ricordiamoci che in questo senso il legislatore non impone obblighi di informazione in capo alla Pubblica Amministrazione riguardo alla facoltà di proporre l’eventuale richiesta.
Chi, oltretutto, se sussistente il rischio di fuga, abbia ricevuto un ordine di allontanamento in quanto risultava impossibile un suo trattenimento presso i C.I.E., sarebbe nuovamente espulso con l’accompagnamento coattivo una volta inottemperato alla precedente intimazione.
In tutto questo, il ruolo dei reati è ancora una volta strumentale alla funzione amministrativa dell’espulsione a dimostrazione dell’oramai antico asserto della funzione ancillare di un diritto penale debole innanzi all’apparato burocratico amministrativo.
All’art. 13, c.4 bis T.U. infatti, sono proprio le inottemperanze che configurano il rischio di fuga.
Infine, l’esenzione dal dovere di chiedere il nullaosta all’espulsione unitamente alla previsione della stessa a titolo di sanzione sostitutiva sono cartina al tornasole di un sistema che fa di tutto, pur di eludere l’impianto della direttiva comunitaria.
E visto che per l’esecuzione del trattenimento è necessario l’accompagnamento coattivo, allora questa sarà l’unica via “consigliata” dalla nuova disciplina sui rimpatri.