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La permanenza protratta in Libia per lavoro e la buona integrazione in Italia giustificano la protezione umanitaria

Tribunale di Venezia, ordinanza del 26 giugno 2018

Il Tribunale di Venezia accoglie la domanda di protezione umanitaria di un cittadino della Costa d’Avorio nonostante che “il racconto del richiedente non sia credibile ed adeguatamente articolato e preciso e che il ricorrente non abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la propria domanda e fornire tutti gli elementi pertinenti in suo possesso, come sul punto effettivamente in modo corretto rilevato dalla Commissione Territoriale opposta”.

Il Giudice veneziano motiva la propria decisione alla luce delle “evidenti difficoltà che il ricorrente incontrerebbe per un nuovo radicamento territoriale … e tenuto conto altresì conto del fatto che il ricorrente, dopo essersi trasferito in Libia, è qui vissuto per un lungo periodo di tre anni, trovando lavoro come muratore e, così, di fatto sradicandosi del tutto dal proprio paese di origine, e dovendolo lasciare solo per motivi legati al conflitto nel frattempo insorto anche in questo paese, dove è stato incarcerato senza motivo per sette mesi, elementi questi che, unitamente considerati, renderebbero del tutto precaria la condizione di vita dell’istante ove lo stesso fosse costretto a tornare in Costa d’Avorio, così da rendere la medesima certamente persona vulnerabile”.
Aggiunge il Giudice che “non può non valorizzarsi il concreto tentativo del ricorrente di integrarsi nel miglior modo possibile nel tessuto sociale del nostro paese” riferendosi nello specifico al rapporto di lavoro in essere del RA e alla frequenza delle scuole medie.

In altre parole il Giudice ha ritenuto di dover concedere la protezione umanitaria al RA, a prescindere dalla veridicità del suo racconto, in ragione dello sradicamento dalla Costa d’Avorio comprovato dai tre anni trascorsi in Libia a lavorare (di cui sette mesi trascorsi in carcere) e alla luce della sua buona integrazione in Italia.

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Tribunale di Venezia, ordinanza del 26 giugno 2018