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La sentenza della Corte d’Assise di Milano riconosce le condizioni disumane nei campi libici

Il memorandum Libia-Italia ora va cancellato

Photo credit: Patrizia Cortellessa (Roma, 16 dicembre 2017 - Fight/Right - Diritti senza confini)

La sentenza della Corte d’Assise di Milano, pronunciata il 1 ottobre 2017 e depositata il 1 Dicembre 2017, è una pietra miliare per la difesa dei diritti umani e la lotta agli scafisti ed allo sfruttamento dell’immigrazione.

Quanto successo, infatti, è una meravigliosa pagina della giurisprudenza italiana che, però, adesso lo Stato Italiano ha il dovere di non far cadere nel vuoto.

Quanto pronunciato dal Giudice, infatti, non può che aprire gli occhi alle miopi politiche promosse dallo Stato per quanto concerne il tema dell’immigrazione.

Osman Matammud, infatti, è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni: accusato di stupri, torture e almeno tredici omicidi. I fatti sono risalenti a quando l’imputato risiedeva, ed è qui la straordinarietà, in territorio libico, precisamente nel campo di Bani Whalid, circa 150 km da Tripoli.

Matammud è stato riconosciuto da immigrati somali residienti in un centro di accoglienza di Milano: le vittime si sono quindi rivolte alla Polizia denunciando l’aguzzino.

La forza straordinaria della sentenza sta nel riconoscere, esplicitamente, le condizioni disumane che avversano nei campi libici e nell’aver incriminato uno scafista per reati commessi nell’altra sponda del Mediterraneo: letta oltre le righe (.pdf), ma non troppo, vengono tolte le bende dagli occhi su quanti hanno appoggiato e continuano ad appoggiare il memorandum Libia-Italia che, di fatto, ha bloccato e blocca gli immigrati in territorio libico.

La sentenza ha scoperchiato gruppi criminali con a capo Matammud, colpevoli di aver “sequestrato alcune centinaia di cittadini somali al fine di ottenere, per sé e per gli altri componenti della sua organizzazione, come prezzo della liberazione, l’ingiusto profitto della somma di 7000 dollari pattuita per l’ingresso clandestino di ciascun cittadino somalo nel territorio dello Stato italiano.”

Le vittime venivano quindi bloccate illegalmente, torturate, seviziate e in molti casi ammazzate. I potenziali rifugiati politici, che in Europa avrebbero potuto ottenere lo status desiderato, erano somali.

La Somalia, giusto per sottolinearlo, ha il primato delle violenze e delle vittime in azioni terroristiche, come sottolineato da ACLED (Armed conflict location and event data project). Gli scontri armati, ad ottobre 2017, avevano causato il 56% dei decessi nel paese. Una situazione insostenibile, nella sostanza, che porta il futuro migrante politico a scappare da una morte praticamente certa.

In Libia, una volta imprigionati, “i familiari de cittadini somali provvedevano al trasferimento della somma di 7000 dollari in contante, con il sistema della “Hawala”, versata ad esponenti dell’organizzazione” e, in una terza fase, venivano trasportati in un campo situato a Sabratah, sulla costa della Libia.

Qui, “Matammud personalmente e i suoi uomini, con frequenza quotidiana, si recavano all’interno dove picchiavano con pugni e calci, con bastoni, con spranghe di ferro i cittadini somali ivi presenti, cagionando agli stessi fratture agli arti ed in alcuni casi (come sub B) specificato) anche la morte nonché cagionando gravi ustioni incendiando sacchetti di plastica che venivano posti sulla schiena delle vittime facendo colare la plastica liquefatta e incandescente sul corpo” e, “con frequenza quotidiana, prelevava cittadini somali di sesso maschile dal capannone per portarli in una vera e propria “stanza delle torture” sita all’interno del campo, ove venivano torturati attraverso scariche elettriche, frustate, colpi di bastone e di spranghe di ferro, o lasciandoli per ore disidratati sotto il sole“.

Quanto lascia trasparire la sentenza è una violenza brutale ed inaudita verso gli immigrati bloccati in territorio libico: vengono infatti denunciati i crimini avvenuti nel campo di Sani Walid.

Qui, Matammud costringeva “Ayan Mohamud e Hassan Ido Mohammed, minorenni all’epoca dei fatti, a subire violenze sessuali, con frequenza anche quotidiana, abusando delle loro condizioni di inferiorità fisica e psichica, e mediante minacce di morte e violenza consistita nel picchiarle (con pugni, calci, con una cinghia e con bastoni), nel legarle per impedir ogni possibilità di movimento e, trattandosi di ragazze infibulate, nell’aprire loro la vagina con strumenti metallici a fine di poterle per la prima volta penetrare.”

Un film dell’orrore, una realtà più orrenda di un incubo, una malvagità che va oltre i confini della più macabra immaginazione.

La sentenza è incredibilmente importante perché la giurisprudenza italiana riconosce le atrocità che vengono commesse in Libia e, grazie all’ausilio dell’articolo 10 Codice Penale, ha potuto incriminare il soggetto in questione, Matammud appunto.

L’articolo 10 c.p., infatti, afferma “lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.
Se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia.

E’ stata riconosciuta l’esistenza dei campi libici che, come sottolineato dal PM Marcello Tatangelo nelle requisitoria antecedente la sentenza, hanno la sembianza di “campi di concentramento nazista“: adesso lo Stato Italiano ha il dovere di allinearsi a quanto ufficialmente ed esplicitamente affermato nella sentenza milanese.

Il primo passo da compiere, sembra cosa assai chiara, sarebbe quello di rivalutare il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia, firmato nel Gennaio 2017.

L’accordo col governo di Al-Sarraj prevede:

– rafforzamento del controllo sulle frontiere con annesse attività di training alla Guardia Costiera Libica;

– riconoscimento del comune patrimonio storico e culturale e il forte legame di amicizia tra i due popoli che costituisce “la base per affrontare i problemi derivanti dai continui ed elevati flussi di migranti clandestini.”;

– “soluzioni urgenti alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia per recarsi in Europa via mare, attraverso la predisposizione dei campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi di origine, lavorando al tempo stesso affinché i paesi di origine accettino i propri cittadini ovvero sottoscrivendo con questi paesi accordi in merito.”

Chiaramente è evidente come il memorandum non ha di per sé più credibilità poichè i fantomatici campi di accoglienza temporanei sono, e la sentenza li smaschera, prigionie durissime dove vige la soppressione cruenta dei diritti umani.

Inoltre, nel memorandum l’immigrato viene di continuo etichettato come clandestino: ciò ha sfumature quantomeno ingiustificatamente aggressive. Sfogliando nel vocabolario, infatti, il termine clandestino viene utilizzato per qualcuno o qualcosa “che ha carattere di segretezza in quanto difforme dalla legge o dalle norme sociali e quindi perseguibile giudizialmente o condannabile moralmente.

Non sembra che il somalo che sfugge da Al-Shabab o il nigeriano che lascia il proprio paese per colpa di Boko Haram sia etichettatile come persona “condannabile moralmente“.

E non sembra che sia possibile neanche che sia “perseguibile penalmente” visto che, potenzialmente, ha lo status di rifugiato. O comunque un tipo di protezione, che sia sussidiaria o umanitaria.

Perché è chiaro che chi si trova in Libia sono persone che fuggono dalla guerra. Lo Stato ha il dovere di riconoscere una situazione di protezione internazionale, non di concederla. Ma di riconoscere, è molto diverso.

Le persone sbarcate in Italia nel 2018 ad oggi sono assai di meno degli scorsi anni:
– nel 2016, 181436 persone.
– nel 2017, 119369.
– nel 2018, 5496 (dato aggiornato al 15 marzo)
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Quanto emerge è una percentuale altissima di persone bloccate in Libia. Chi arriva in Italia (2018), trattasi invece di:
– Eritrea, 1465 persone.
– Tunisia 1187
– Nigeria 359
– Pakistan 288
– Libia 239
– Costa d’Avorio 220
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Percentuale più alta: Eritrea.

Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia definisce i migranti come “clandestini“, eppure c’è poco di clandestino in un eritreo che fugge dal proprio paese: è un atto dovuto, un tentativo col rischio di morte di scappare da una morte sicura.

L’Eritrea, infatti, è una sorta di Corea del Nord del Corno d’Africa, in mano a Isaias Afewerki dal 1993. Il governo ha soppresso tutte le libertà civili ed è infestata da:

crisi alimentare gravissima, negazione di ogni tipo di libertà di espressione, esecuzioni senza processo, sparizioni, coscrizione obbligatoria. Gli oppositori sono ammazzati oppure relegati nei campi di prigionia.

Onu e Human Right Watch sostengono che le grandi migrazioni che interessano il Paese sono dovute ad una grave violazione dei diritti umani: può un memorandum includere queste persone nella cerchia degli immigrati clandestini?

Può dichiarare clandestine persone che, una volta arrivate in Italia, avrebbero altissime possibilità di ottenere una qualche protezione internazionale?

Può essere l’Italia complice di un’intesa così diabolica che tarpa le ali già ferite di persone a cui giuridicamente spetta una protezione?

L’Italia non si è impegnata a difenderle adeguatamente, ma si è affrettata ad arginare con rude freddezza i flussi: “riferimento al sostegno alle istituzioni di sicurezza e militari al fine di arginare i flussi di migranti illegali e affrontare le conseguenze da essi derivanti.”

E quindi, articolo 1 del memorandum: “la parte italiana si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell’Interno.” 1

Nell’articolo 2, si parla di “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza“, quest’ultimi smontati dalla sentenza Matammud che parla invece di carceri gestite da gruppi criminali e ben strutturate e ben attive nel territorio.

In teoria l’Italia, sempre seguendo l’articolo sopra citato, “contribuisce, attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche per i centri sanitari di accoglienza, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti illegali, per il trattamento delle malattie trasmissibili e croniche gravi.”

– L’assistenza sanitaria nei fantomatici centri sanitari di accoglienza fallisce a monte, viste le deprecabili condizioni disumane in cui versano i migranti

– viene nuovamente ripetuto l’aggettivo “illegale” che accompagna il sostantivo “migrante“. Illegalità comporta che il soggetto compia un reato: nuovamente è doveroso sottolineare come, nella grandissima maggioranza dei casi, il migrante che arriva in Italia ottiene il diritto d’asilo. Si parla del 70% dei casi.
Nel 2017, 6.827 immigrati hanno ottenuto lo status di rifugiati. 6.880 la protezione sussidiaria, 20.166 quella umanitaria. Il termine “illegale” è quindi fuorviante, in dicotomia con la realtà dei fatti.
Solo nel 2017, 33873 migranti hanno ricevuto una protezione nonostante il memorandum li definisse, a priori e senza previa consultazione, “illegali”. E questo dato non tiene conto dei ricorsi vinti in tribunale dai richiedenti asilo che aumenterebbe non poco il numero complessivo, considerato che circa il 70% di loro ottiene dai giudici una forma di protezione 2.
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L’articolo 5, invece, afferma che “le Parti si impegnano ad interpretare e applicare il presente Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte“: è difficile, però, immaginare che questo patto possa inserirsi in un contesto del rispetto della Convenzione di Ginevra, che, è ben noto, tutela i cittadini soggetti a persecuzioni.

Difficile altre sì pensare che il memorandum possa rispettare l’articolo 78 TFUE e 18 della Carta di Nizza secondo cui “è “rifugiato” il cittadino di un Paese terzo o l’apolide che, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal Paese di cui ha la cittadinanza o la dimora abituale“.

Ancora più difficile immaginare come il memorandum non possa non entrare in contrasto con la direttiva 2011/95/UE “recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta“.

Ciò che dovrebbe fare l’Italia è cancellare il memorandum stilato con un governo che controlla una minima parte della Libia ed è coinvolto nel traffico degli esseri umani e nelle attività di tratta.

Infatti, come documentato nel “detained and dehumanised report on human rights abuses against migrants in Libya” di UNSMIL e OHCHR, “sono stati riportati casi che vedono coinvolte le autorità libiche, inclusa la Guardia costiera, in gravi abusi dei diritti umani dei migranti, sia in mare sia nei centri di detenzione (percosse e spari contro i migranti, rifiuto di soccorso alle imbarcazioni di migranti nel Mar Mediterraneo, attacchi alle navi di salvataggio, detenzione illegale, ecc.)“.

Davvero impensabile che l’accordo Italia-Libia possa essere compatibile con il “Principio di non-refoulement“: un accordo per il forzato regime detentivo in un paese che non assicura la sicurezza e la libertà dell’individuo, può essere forse considerata “accoglienza”?

Bloccare l’accoglienza nella sua fase embrionale non è forse “refoulement“?

  1. Testo completo del memorandum: http://www.meltingpot.org/Memorandum-d-intesa-Italia-Libia.html
  2. Vedi https://www.cartadiroma.org/news/richiedenti-asilo-70-dei-ricorsi-successo

Pietro Giovanni Panico

Consulente legale specializzato in protezione internazionale ed expert prevenzione sfruttamento lavorativo. Freelance con inchieste sui MSNA, rotte migratorie, accordi illegittimi tra Paesi europei ed extra UE e traffici di armi.
Nel 2022 ho vinto il "Premio giornalistico nazionale Marco Toresini" con l'inchiesta "La guerra dei portuali genovesi contro le armi saudite".