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La situazione al confine serbo-ungherese

Moving Europe, 8 luglio 2016

Sebbene il corridoio balcanico a controllo statale sia chiuso da marzo, centinaia di migranti continuano ancora ad attraversare i Balcani diretti in Europa centrale. Passano dalla Grecia attraverso la Macedonia oppure dalla Turchia attraverso la Bulgaria fino in Serbia, dove ogni giorno arrivano circa 300 persone. Dopo una sosta di qualche giorno a Belgrado, la maggior parte di loro prosegue verso Subotica, una cittadina vicina al confine con l’Ungheria. Nonostante le barriere erette lungo il confine serbo-ungherese, le possibilità di passare dalla Serbia all’Ungheria sono diverse.
Nell’area ci sono tre campi profughi. Uno è un centro di raccolta, gestito dallo stato, alla periferia di Subotica. Gli altri due sono campi spontanei e auto-organizzati e si trovano proprio nelle zone di transito. A circa 15 persone al giorno è consentito passare legalmente in Ungheria dai campi attraverso la zona di transito.

Sempre più numerosi i respingimenti dall’Ungheria alla Serbia

Molti tentano di passare in Ungheria da soli, durante la notte, per evitare il lungo periodo di attesa e tutte le incertezze nella zona di transito. Questi percorsi non autorizzati sono molto frequentati e parecchie persone riescono a passare in Ungheria e a proseguire il loro viaggio. Però, la polizia ungherese e le ronde civiche spontanee di orientamento fascista esercitano uno stretto controllo di frontiera. Sistematicamente, respingono i rifugiati dall’Ungheria in Serbia. Nelle ultime settimane, il numero di questi respingimenti è aumentato e, di conseguenza, è cresciuto il numero dei profughi bloccati in Serbia. In molti hanno riferito di trattamenti violenti da parte delle autorità ungheresi proprio durante i respingimenti.
Per maggiori informazioni, vedere il link: Previous report on violence during pushbacks from Hungary.

La testimonianza di una donna (A.) descrive il tentativo compiuto dalla sua famiglia di proseguire il viaggio autonomamente:

Io, mio marito e i nostri quattro bambini siamo passati dalla Serbia all’Ungheria attraverso un piccolo varco nella recinzione. Avevamo già camminato per diversi chilometri quando la polizia ungherese ci ha fermati. Ci hanno spruzzato addosso dello spray irritante, perfino sui bambini piccoli. Ci hanno fatti salire tutti sulla loro auto e ci hanno costretti a uscire attraverso lo stesso varco da cui eravamo entrati. Erano le 3 del mattino. Quella notte, abbiamo dormito per terra, vicino alla recinzione. Il giorno dopo, siamo andati al campo di Subotica”.

Al centro di raccolta gestito dallo stato (un campo per permanenze brevi), i profughi possono riposare e fermarsi per un po’. Dispone di una struttura docce, tende e corrente elettrica. Però viene distribuito solo del pane con tonno o sardine. A causa del crescente numero di respingimenti dall’Ungheria, il centro è attualmente sovraffollato e i profughi devono dormire in tende all’esterno del campo.

Il centro di raccolta di Subotica
Il centro di raccolta di Subotica

I campi nella zona di transito

Le autorità ungheresi regolano gli ingressi alle due zone di transito. Anche in questo caso, il blocco della frontiera e il tentativo di regolare rigidamente l’ingresso dei migranti in Ungheria, producono situazioni di sofferenza. Negli ultimi mesi, in ognuno dei due campi di transito si trovavano circa 150 persone. Hanno dovuto aspettare da due settimane fino a un mese il loro turno per passare. I nuovi arrivati, devono segnare il loro nome in fondo a una lista e aspettare che arrivi in cima. Una persona del campo è nominata responsabile della lista, che deve consegnare alle autorità ungheresi. I nuclei familiari hanno la priorità e quindi la loro attesa è più breve, mentre gli uomini soli hanno tempi più lunghi e spesso sono trattenuti anche per 28 giorni. In pratica, la popolazione del campo di transito è composta da molte famiglie ma anche da uomini soli, stremati e provati dalla violenza e dai respingimenti da parte dell’Ungheria.

I poliziotti ungheresi pattugliano il confine dal tetto dei contenitori che formano la barriera di attraversamento, e sorvegliano dall’alto gli abitanti del campo.
Le condizioni di vita nei campi improvvisati sono molto precarie. La fornitura di generi di prima necessità è insufficiente. Non ci sono docce, solo un rubinetto per l’acqua e scarsi WC mobili. Il cibo arriva dal lato ungherese del confine, perché il campo si trova, di fatto, e per pochi metri, sul suolo ungherese, anche se dietro la barriera. Il cibo fornito è, anche qui, per lo più pane con scatolette di tonno o sardine.
Durante il giorno, fino circa alle 4 del pomeriggio, sono presenti operatori di UNHCR, IOM e poche altre organizzazioni umanitarie.
Distribuiscono coperte e capi di vestiario. Ecco cosa racconta, con un sorriso, Q., un profugo che si trova nel campo da 10 giorni, con la moglie e alcuni amici: “Avevo un negozio di abbigliamento a Masar-E Scharif. E possedevo più di mille T-shirt. Adesso per averne una devo stare in coda un’ora“.

Un gruppetto di volontari, locali e internazionali, distribuisce cibo e indumenti a Kelebjia, e a Subotica, alla fermata dell’autobus, quando i migranti arrivano. Ma non vengono distribuite tende. Pertanto, chi non ha portato la propria tenda o non può occupare quella di qualcuno che ha già passato il confine, deve costruirsi un di riparo di fortuna con coperte di lana.

Il campo di transito di Kelebjia
Il campo di transito di Kelebjia

La zona di transito di Kelebjia si trova vicino a un piccolo punto di frontiera ufficiale. Le condizioni sono pessime, come quelle di Horgos, altra zona di passaggio. In confronto, però, Kelebjia è più facile da raggiungere con i mezzi di trasporto pubblici e più vicina al primo negozio accessibile, dove è possibile accedere a Internet e caricare i cellulari. D’altra parte, però, è vicinissima a una strada trafficata dove passano grossi camion. Non c’è quasi nessuna infrastruttura e scarseggiano pesantemente anche le forniture essenziali di cibo e di articoli per l’igiene. L’immondizia si accumula proprio accanto alle tende, dove le persone dormono.

La zona di transito di Horgos si trova su un terreno che costeggia la barriera di confine, vicino al punto di passaggio autostradale ufficiale di Röskze – Horgos. L’accesso a questo campo spontaneo è molto difficile. Per arrivarci, si deve camminare lungo l’autostrada e poi percorrere un piccolo sentiero in terra battuta che porta al punto di passaggio. Proprio a causa della collocazione così scomoda e decentrata, gli abitanti del campo devono camminare per mezz’ora lungo l’autostrada se vogliono raggiungere il primo supermercato e provvedere da soli alle loro necessità di base.

M. viene dall’Afganistan e descrive così la situazione:
Sono qui con mia moglie e i miei quattro figli, il più piccolo dei quali ha un anno. Siamo arrivati ieri da Belgrado. Dormiamo per terra, senza una tenda, senza un materasso, solo con una coperta sottile sul terreno. I miei bambini piangono e hanno fame, ma io non ho abbastanza cibo per loro e non ho denaro per comprarlo alla stazione di servizio o al supermarket. In Afganistan possedevo una casa, un lavoro, una macchina; adesso non ho più niente. Qui è molto peggio che a casa”.

Negli ultimi giorni, la situazione è perfino peggiorata al campo di Horgos – Röskze, perché è notevolmente aumentato il numero dei nuovi arrivati: circa 200 persone solo il 4 e 5 luglio. Ciò significa che gli abitanti di questo campo improvvisato sono praticamente raddoppiati.

Il campo di transito a Horgos
Il campo di transito a Horgos

Prevale l’auto-organizzazione

Nonostante l’estrema carenza di ogni cosa, gli abitanti del campo si organizzano da soli per costruire ripari per tutti, così come spazi comuni di confort e solidarietà. “Ci vogliamo aiutare fra noi”, spiega W., un profugo di Kabul. “Per questo abbiamo organizzato la nostra struttura di distribuzione. Ho passato un giorno intero a distribuire cibo e altre merci. Inoltre, mettiamo da parte un po’ di scorte e le distribuiamo alle persone che arrivano la sera o durante la notte, quando tutte le organizzazioni umanitarie ufficiali sono andate via”.
F. e suo cugino M. di Kabul aggiungono: “Siamo qui da parecchio tempo, ormai. Abbiamo ereditato queste strutture-tenda dalla famiglia che era qui prima di noi e continuiamo a darci da fare per rendere questo posto un po’ più confortevole, improvvisando, aggiungendo e costruendo con quello che abbiamo a disposizione. Adesso abbiamo le tende per dormire, uno spazio per sederci e parlare, un buco nel terreno per conservare le scorte di cibo, un posto per cucinare sul fuoco e un angolo per lavare”.
Di sera, quando la temperatura si abbassa, metà degli abitanti del campo gioca a pallavolo e a calcio nei campetti improvvisati.

L’atmosfera è rilassata, le persone si organizzano da sole e aspettano il loro turno per attraversare il confine.
Ho detto ai miei amici di pensare a questo periodo come a una specie di picnic, dove stiamo seduti insieme e cerchiamo di divertirci un po’ “, racconta Q., “ma continuano a chiedermi quando finirà questo picnic”.
Nessuno si trova a Horgos per sua scelta, tutti si ritrovano bloccati ancora una volta, invece di poter proseguire verso la destinazione desiderata.
K. riassume così la situazione: “Qui la vita è molto difficile per me e per la mia famiglia, ma almeno sappiamo che a un certo punto potremo passare”.