Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La storia infinita dell’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori

a cura di Paolo Fasano

Foto di Angelo Aprile

Nell’attuale quadro storico politico di forte contenimento della spesa pubblica e di ristrutturazione dei sistemi di welfare, l’art. 13 della l. 97/2013 (1) rappresenta l’ennesimo esempio di come sia difficile tenere insieme i diversi livelli di competenza – in questo caso dell’Unione e statale – e consentire ai cittadini di Paesi Terzi un corretto accesso ai diritti fondamentali.

La norma modifica l’art. 65 della legge 448/98 e s.m., affiancando ai cittadini italiani e dell’Unione la categoria dei cittadini di Paesi Terzi soggiornanti di lungo periodo come possibili beneficiari dell’assegno per il nucleo familiare con almeno 3 figli minori (2).

L’intervento legislativo si è reso necessario (3) in quanto nel febbraio scorso la Commissione europea aveva avviato nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione, la n. 2013/4009, per violazione del principio della parità di trattamento dei cittadini lungo soggiornanti stabilito dalla direttiva 2003/109/CE (art. 11 e considerando 13).

La direttiva 109/2003 non è, però, l’unica disposizione dell’Unione che afferma per determinate categorie di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti negli Stati Membri il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione in materia sociale rispetto ai cittadini dei Paesi ospitanti.
(Regolamento UE n. 1231 del 24 novembre 2010, Regolamento UE n. 883 del 24 aprile 2004, Direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004)
Ricordiamo a titolo di esempio la direttiva 38/2004 per i familiari non UE di cittadini dell’Unione (art. 24), la direttiva 83/2004 per i rifugiati e i titolari di protezione internazionale (art. 28), il regolamento CE 883/2004 ancora per gli apolidi, i rifugiati e i familiari di cittadini dell’Unione (artt. 2 e 4), il regolamento UE 1231/2010 per i cittadini stranieri che hanno soggiornato legalmente in più Stati Membri (art. 1), ma anche gli Accordi euro-mediterranei con alcuni Paesi quali Marocco, Tunisia, Turchia e Algeria.

Quando l’UE interviene in materia di immigrazione persegue l’obiettivo di riconoscere ai cittadini dei Paesi Terzi regolarmente soggiornanti diritti corrispondenti a quelli dei cittadini degli Stati Membri ospitanti (4). L’Unione sta sviluppando una politica comune dell’immigrazione, da intendersi non più come sommatoria di politiche nazionali, ma secondo un approccio organico, volto a garantire l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi Terzi, espressamente sancito dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (5).

Come si gestisce allora il rapporto tra norma nazionale/regionale e diritto dell’Unione in caso di contraddizioni: è necessario l’intervento della Corte costituzionale per un’interpretazione corretta del quadro giuridico? O della Corte di Giustizia dell’UE ? La Pubblica amministrazione è al riparo da errori se applica pedissequamente la norma interna?

Come ribadito da numerose sentenze proprio della CGUE e della Corte costituzionale6, la normativa interna in contrasto con disposizioni europee, se non può essere interpretata in modo conforme, deve cedere per il principio della prevalenza del diritto dell’Unione.
Tutti i soggetti competenti per il nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi – quindi anche la Pubblica amministrazione nello svolgimento della sua attività amministrativa – sono tenuti giuridicamente a disapplicare le norme interne incompatibili con le disposizioni dell’Unione (C.Cost. 11.07.1989, n. 389).
“Sarebbe peraltro contraddittorio statuire che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva …, allo scopo di far censurare l’operato dell’amministrazione, ed al contempo ritenere che l’amministrazione non sia tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali ad essa non conformi” (CGUE, 22 giugno 1989, C-l03/88).

L’obbligo di non applicare la norma interna in conflitto con le disposizioni del diritto dell’Unione grava, quindi, non solo sugli organi giurisdizionali, ma anche su quelli amministrativi. Ciò rappresenta per gli operatori italiani un istituto fortemente innovativo, al fine di garantire la necessaria e immediata applicazione della regola dell’Unione in presenza di leggi nazionali o regionali incompatibili (7).

Pertanto, tutti i cittadini destinatari delle norme sopra menzionate possono invocare le garanzie e le tutele del diritto dell’Unione e impugnare l’art. 65 l. 448/98, se non dovesse essere riconosciuto il diritto alla prestazione sulla base della diversa nazionalità.

Per questo motivo dal 2010 i Tribunali Italiani, con orientamento costante, condannano per condotta discriminatoria gli Enti locali e l’INPS (8) quando negano la concessione dell’assegno ai cittadini lungo soggiornanti sulla base della cittadinanza, proprio perché essi appartengono ad una delle categorie – la più numerosa – di cittadini di Paesi terzi protette da norme europee sulla parità di trattamento.
Un solo Tribunale (9) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, ordinando tuttavia al Comune la concessione in via provvisoria del contributo e non appare improbabile che la Suprema Corte possa pronunciarsi per l’inammissibilità, esistendo già in giurisprudenza un’interpretazione consolidata costituzionalmente garantita.

Per questo motivo il recente intervento legislativo appare debole, in quanto può sanare temporaneamente la procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per violazione della direttiva 109/2003, ma non rimuove il problema a monte né interviene sulle modalità con le quali la Pubblica amministrazione risolve le “antinomie” tra norma interna e diritto dell’Unione.

E’ evidentemente un provvedimento tampone, che non mette al riparo i Comuni da nuovi contenziosi né l’Italia da rinnovati richiami da parte della Commissione europea. Infatti per quale motivo il cittadino che ha diritto a questa prestazione sulla base di una disposizione europea dovrebbe richiederla solo dal 1° luglio (10) – come prevede l’art. 13 – e non anche dal 1° gennaio 2013 (11)?

Non solo : il 25 dicembre 2013 scade il termine per il recepimento (12) della direttiva 98/2011 che collega un corpo di diritti in parte corrispondente a quelli esercitati dai cittadini dell’Unione ad una procedura unica per il rilascio del permesso con autorizzazione al lavoro.
L’art. 12 c. 1 lett. e) della direttiva 98/2011 recita testualmente: “I lavoratori migranti beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne: … i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004”.

Il regolamento CE 883/04, già citato in precedenza, comprende anche le prestazioni di competenza dei Comuni, quali l’ assegno di maternità e per il nucleo familiare con almeno 3 figli minori. Vi rientrano, infatti, tutte le prestazioni di sicurezza sociale, contributive o a carico della fiscalità generale, ad eccezione di quelle la cui concessione è sottoposta ad una valutazione discrezionale da parte dell’ente che le eroga e non soltanto a requisiti di legge.
L’art. 4 prevede per le persone destinatarie di tale regolamento gli stessi diritti – oltre che gli obblighi – alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro ospitante.

A pochi mesi dalla sua entrata in vigore – 4 settembre u.s. – possiamo ritenere allora già superata la modifica normativa introdotta dall’art. 13 l. 97/13 ?
Ma soprattutto quale scenario possiamo prefigurarci?
Gennaio 2014: un cittadino in possesso del permesso per motivi di lavoro esercita il diritto riconosciuto dalla direttiva 98/2011 di accesso alle prestazioni disciplinate dal reg. 883/2004 e richiede l’assegno per il nucleo familiare con almeno 3 figli minori, in presenza degli altri requisiti di legge.
Cosa risponderà l’operatore dell’Ente locale? Che la norma nazionale è stata modificata di recente e la sua categoria non rientra tra quelle potenzialmente beneficiarie della prestazione sociale?
O disapplicherà la norma interna a favore della disposizione europea?

Se questa direttiva e il decreto legislativo di recepimento – a tutt’ oggi mancante – non saranno accompagnati da adeguati sforzi (13) ad opera dei Ministeri competenti, volti a promuoverne l’applicazione e a rimuovere eventuali criticità generate dall’impatto delle disposizioni europee sulla normativa vigente interna, il rischio che possa deflagare un nuovo contenzioso, di dimensioni decisamente maggiori (14), tra Enti locali e cittadini stranieri è tutt’altro che improbabile.

Per evitare che il tessuto amministrativo, sottoposto alle continue sollecitazioni dei 2 principali processi politico istituzionali tuttora in atto – da una parte quello federalistico, dall’altra il percorso di integrazione dell’Unione europea – possa precipitare verso situazioni di grave degrado, accentuando la disgregazione territoriale, appare improcrastinabile una decisa azione di stampo culturale e giuridico volta a realizzare un’efficace modernizzazione amministrativa.

Note:
(1) Nota anche come “legge europea 2013”, in quanto contiene disposizioni “salva infrazioni” volte a sanare contestazioni e rilievi mossi dall’UE.
(2) Nella versione originaria non solo veniva esclusa l’intera platea dei cittadini stranieri, ma il legislatore aveva dimenticato di includere tra i potenziali beneficiari anche i cittadini dell’Unione: “Con effetto dal 1o gennaio 1999, in favore dei nuclei familiari composti da cittadini italiani residenti, con tre o più figli tutti con età inferiore ai 18 anni, che risultino in possesso di risorse economiche non superiori al valore dell’indicatore della situazione economica (ISE)…”. Con la finanziaria del 2001 aveva posto rimedio all’errore (art. 80 l. 388/2000). Successivamente con grave ritardo venivano inclusi anche i rifugiati, per circolare (n. 9/2010), senza una modifica dell’art. 65 l. 448/98.
(3) V. lettera del Ministro Giovannini ai senatori.
(4) V. Consiglio europeo di Tampere del 15-16/10/1999, Programma di Stoccolma adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11/12/2009.
(5) Art. 79 TFUE : “1. L’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi Terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani.
2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure nei seguenti settori: …
b) definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri;…”
(6) V. sent. C. Cost. 8.6.84 n. 170, C. Cost. 18.04.91, n. 168, C. Cost. 23.4.85, n. 113, C. Cost. 11.7.89, n. 389, C. Cost. 2.2.90 n. 64; Corte di giustizia delle Comunità europee: sent. 25 ottobre 1979, in causa n. 159/78; sent. 15 ottobre 1986, in causa n. 168/85; sent. 2 marzo 1988, in causa n. 104/86; sent. 22 giugno 1989, in causa n. 103/88; sent. 20 settembre 1988, in causa n. 31/87; sent. 8 ottobre 1987, in causa n. 80/86; sent. 24 marzo 1987, in causa n. 286/85; sent. 4 maggio 1999, in causa n. C‑262/96, etc.
(7) Resta fermo, tuttavia, il principio che il legislatore nazionale deve modificare il diritto interno incompatibile con le norme dell’Unione, in quanto la non applicazione è un modo per risolvere i contrasti normativi che lascia comunque in vigore le norme reciprocamente contrastanti.
(8) L’INPS inizialmente richiedeva l’intervento legislativo per modificare il procedimento; successivamente ha ribadito il proprio ruolo esclusivamente di ente erogatore in quanto la competenza concessoria è soltanto in capo al Comune. Gli Enti locali sono condannati da queste ordinanze al riconoscimento della prestazione e al pagamento delle spese di lite in solido al 50% con l’INPS (Messaggio Inps n. 7990 del 15 maggio 2013, Circolare INPS n. 8468 del 16 maggio 2012).
(9) Il Tribunale di Monza nella primavera del 2011 ha adottato 2 ordinanze: in una stabilisce in via provvisoria la concessione e erogazione dell’assegno, nell’altra solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 65 l. 448/98.
(10) V. la risposta al quesito dell’ANCI da parte del Viceministro al Lavoro e alle Politiche sociali, on. prof.ssa Guerra, e la comunicazione ai senatori del Ministro, on. prof. Giovannini. Vi è la consapevolezza del diritto all’assegno da parte dei cittadini, ma viene evidenziato il grave problema delle risorse finanziarie, che si vuole superare, anche in ragione del contenzioso in atto. La copertura finanziaria è stata trovata successivamente, dopo vari tentativi falliti, a partire dal 1° luglio 2013.
(11) Ad avviso di chi scrive è sempre auspicabile una circolare ministeriale quando attraverso una modifica normativa si introducono nuovi criteri, soprattutto se riguardano l’applicazione di procedimenti che regolano l’accesso a prestazioni sociali di categorie di persone in precedenza escluse. In particolare gli Enti locali necessitano di chiarimenti non solo sul periodo di decorrenza – può aiutare il comma 3 dello stesso articolo? – ma sulle modalità di verifica del requisito della condizione di soggiornante di lungo periodo – solo per il richiedente e non per tutto il nucleo familiare – sull’applicabilità della circolare INPS n. 35 del 9/03/2010 emanata per l’altro procedimento di competenza dei Comuni relativo alla concessione dell’assegno di maternità (v. lettera dell’ANCI al vice-ministro, prof.ssa on. Guerra).
(12) Oltre ai regolamenti e alle sentenze della Corte di Giustizia europea, che sono direttamente applicabili nell’ordinamento interno, tutte le disposizioni dell’Unione (direttive, accordi, etc.), che hanno valore e forza di legge, nel caso in cui non siano recepite o ratificate dallo Stato membro nei termini previsti, se contengono disposizioni chiare e sufficientemente precise la cui esecuzione e i cui effetti non siano subordinati all’adozione di alcun atto ulteriore, diventano immediatamente efficaci all’interno dell’ordinamento dello Stato membro inadempiente e possono essere fatte valere dai singoli cittadini per opporsi a qualunque disposizione interna non conforme, a tutela dei propri diritti protetti dalla norma europea (CGUE, 26 maggio 2011, C-485/07; sent. 22 giugno 1989, in causa n. 103/88; sent. 20 settembre 1988, in causa n. 31/87; sent. 8 ottobre 1987, in causa n. 80/86; sent. 24 marzo 1987, in causa n. 286/85). Secondo la Corte Costituzionale italiana l’unico limite alla normazione comunitaria è rappresentato dal rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana. (C. Cost. 18.04.1991, n. 168).
(13) Circolari, comunicati stampa, convegni, azioni formative, etc. Questo aspetto non riguarda solo il settore sociale, in quanto la direttiva 98 inciderà su diverse normative interne. Citiamo, a titolo di esempio, la disciplina che regola gli ingressi e il soggiorno dei cittadini stranieri: subirà dei cambiamenti? Gli automatismi previsti dall’art. 4 c. 3 dlgs. 286/98 (come modificato dalla l. 189/02, dlgs. 5/07, l. 94/09) e dall’art. 4 bis dlgs. 286/98 (introdotto dalla l. 94/09) saranno ancora applicabili alla luce del principio comunitario di proporzionalità, o bisognerà valutare caso per caso e secondo il criterio della “minaccia concreta e attuale”?