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Lampedusa – Anche il sindaco contro il CPT

Un'analisi di Alessandra Sciurba (Progetto Melting Pot Europa)

“Non voglio quel lager sull’isola”. A sentire un’affermazione del genere verrebbe da pensare che si tratti di uno slogan della rete antirazzista siciliana quando nel 2004 e nel 2005 si opponeva alle politiche di espulsione e concentramento messe in atto a Lampedusa. Queste sono invece le parole pronunciate con forza dal sindaco della maggiore delle isole Pelagie Bernardino De Rubeis, che si dichiara fermamente contrario al progetto di riapertura di un Cpt avanzato dal Ministro Maroni. La cosa più interessante, però, è che le dichiarazioni del primo cittadino lampedusano non si rifanno alle solite retoriche utilizzate dalla Lega Nord (che da anni ormai la fa da padrona sull’isola) per parlare di migrazioni. Anzi.
De Rubeis smaschera la demagogia dei proclami maroniani sulle espulsioni facili da Lampedusa attraverso un’analisi lucida e realista delle cose: quelli che arrivano sulle barche fatiscenti, quelle migliaia di donne, di bambini e di uomini, non possono essere espulsi perché quasi tutti fuggono da guerre e persecuzioni. Come da tempo ripete l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, infatti, chi affronta i viaggi più rocamboleschi e pericolosi è sempre di più chi ha veramente diritto di essere ‘accolto’. Gli Eritrei e i Somali che raggiungono Lampedusa, come i Curdi e gli Afghani che arrivano attraverso la Grecia fino alle coste italiane dell’Adriatico, sono persone che possono con piena ragione avanzare un’istanza di protezione internazionale e che evidentemente non possono e non devono venire espulse né detenute. È evidente, quindi, come la riapertura del Cpt di Lampedusa rappresenti un palliativo, illegittimo e disumano, di fronte al fallimento totale delle politiche di gestione delle frontiere perpetrate in Italia negli ultimi decenni, oltre che la riprova eclatante di questo fallimento.

Chi scrive era a Lampedusa, nel 2004 e nel 2005, a filmare e denunciare le deportazioni avvenute da quell’isola verso la Libia e poi condannate dal Parlamento europeo e dalle più rappresentative associazioni a tutela dei diritti fondamentali. Ascoltare che di nuovo, qualche settimana fa, dei voli con a bordo persone dichiarate ‘cittadini egiziani’ erano partiti da lì verso il Nord Africa, ha per forza di cose riportato alla mente quella terribile stagione.
A quel tempo nessuno dei deportati, come è stato in seguito dimostrato, era stato identificato secondo procedure certe. Quello che era avvenuto era piuttosto una divisione sulla base dei tratti somatici e delle caratteristiche fisiche, tra africani palesemente sub sahariani e presunti maghrebini segnalati nello specifico, anche allora, come egiziani. Indimenticabile la lista di nomi pervenuta nell’ottobre del 2004 tra le mani delle allora Senatrici Acciarini e De Zulueta accorse sull’isola per accertarsi della situazione: decine di Mohammed Alì tra quegli uomini legati sulla pista del piccolo aeroporto e trascinati dai carabinieri, in fila per due, verso cargo militari C130 pronti a decollare alla volta della Libia. Tra loro, moltissimi morirono abbandonati nel deserto dalla polizia di Gheddafi ripercorrendo a ritroso, e per l’ultima volta, il cammino che avevano già dovuto affrontare.

Anche allora, come oggi, si trattava semplicemente di un’azione dimostrativa che niente aveva a che fare con delle politiche razionali e sensate necessarie per affrontare una delle più importanti sfide della nostra epoca. Bisognava da un lato lanciare un chiaro messaggio ai profughi per scoraggiarli a tentare l’ultima parte del loro infernale viaggio alla ricerca di un po’ di felicità e, dall’altro, giocare un’importante partita diplomatica con la recalcitrante Libia che apre e chiude le frontiere dei suoi porti a seconda delle richieste che decide di avanzare nei confronti del governo italiano.
Entrambi gli obiettivi non sono evidentemente stati raggiunti e il governo di centrodestra tornato al potere sta finalmente venendo travolto su questo terreno dalla sua stessa opera di demagogia e di retorica costruita per anni ed anni, soprattutto dalla Lega Nord, sulla pelle dei migranti.
La Libia continua a fare il bello e il cattivo tempo. Fortunatamente, verrebbe da dire. Visto il trattamento che questo paese riserva a migranti e richiedenti asilo, alle disumane condizioni di trattenimento nei centri di detenzione (peraltro in parte finanziati dall’Italia), alle violenze costantemente perpetrate dalla polizia libica ai danni dei ‘viaggiatori non autorizzati’ che l’Europa dice di non volere, meno male che Gheddafi si ostini a non fare partire le operazioni di pattugliamento congiunto che altro non significherebbero se non il respingimento verso le coste del suo paese delle persone riuscite da lì a salpare o l’affondamento di quelle barche e del loro carico di vite umane.

Per quanto riguarda il monito che avrebbe dovuto raggiungere i migranti in procinto di partire è ancora più evidente l’inutilità delle politiche di repressione di fronte alle spinte soggettive degli esseri umani verso la realizzazione di un’esistenza dignitosa.

La radicalità e la violenza delle politiche dell’attuale governo stanno portando alla luce tutti i limiti del modo in cui fino ad oggi il nostro paese (in buona compagnia degli altri Stati membri dell’Ue) ha saputo pensare al fenomeno delle migrazioni. Spettacolarizzandolo a seconda delle convenienze politiche o nascondendo la violenza della gestione delle frontiere sotto l’ipocrisia delle coperture umanitarie come è avvenuto quando a detenere il potere era il centrosinistra.

Da Lampedusa, paradossalmente, può forse ripartire un modo diverso di affrontare le cose, mentre nel resto d’Italia la realtà è quella di una società già mista e profondamente mutata da un’interazione che può diventare più o meno conflittuale, dipende anche da ciascuno di noi. Mentre i nostri mercati sempre più flessibili e disancorati dalle direttive giuridiche dello Stato costituzionale di diritto si reggono ancora in piedi grazie al lavoro sottopagato e sfruttato di milioni di nuovi cittadini, si vorrebbe continuare a raccontare una realtà immaginaria attraverso la mediatizzazione degli sbarchi delle vittime di guerre e persecuzioni la cui responsabilità grava anche, pesantemente, sul mondo occidentale.
Ben venga, quindi, la bufera che sta investendo la Lega Nord proprio a partire dalla sua roccaforte mediterranea, quella Lampedusa della Maraventano vicesindaco e delle bandierine verdi che forse capirà, finalmente, di essere stata presa in giro da chi ha strumentalizzato le ansie e le paure della sua gente, oltre che le sofferenze e le ingiustizie subite da altri cittadini del mondo, per costruire la propria politica in realtà senza progetto né intelligenza, oltre che senza umanità.

Alessandra Sciurba – Melting Pot Europa

Vedi anche l’articolo del Corriere