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Lampedusa: giorni memorabili

Gabriel, Open Democracy - 7 giugno 2016

Foto: Internazionale, (Alfredo Falvo, Contrasto)

Sono un ragazzo di un piccolo Stato dell’Africa occidentale chiamato il Gambia. Entrambi i miei genitori fanno parte della stessa tribù. Mio padre cucina e vende carne in un terminal traghetti.

Sono il primogenito di mia madre. Ho un fratello e due sorelle minori. Vivevo con mio padre e mia madre, e i miei fratelli. Mio padre ci ha lasciati a nostra madre 3 o 4 anni fa, senza alcun sostentamento.

A proposito, mio padre ha sposato due donne, mia madre è la seconda moglie. La prima moglie ha avuto quattro figli, due dei quali sono più vecchi di me.

Ho cominciato ad andare a scuola all’età di tre anni. Ho cominciato all’asilo, in cui ho passato tre anni, prima di essere promosso alla scuola elementare all’età di sette anni. È stato durante i miei primi anni alle elementari che ho inziato a capire la mia situazione poco a poco. Durante questo periodo, ho cominciato a fare qualche lavoretto di forza, come raccogliere legna da ardere, aiutare mia madre con le faccende di casa, e talvolta seguivo mio padre quando andava al lavoro.

Mia madre vendeva colazioni e cene a qualche metro dal terminal traghetti. La aiutavo a vendere e a cucinare i pasti durante il mio tempo libero. Non poteva permettersi di assumere una domestica, così tutti noi la aiutavamo in modo che mio fratello e le mie sorelle potessero crescere un po’.

Ho passato sei anni alle scuole elementari, e dopo aver passato l’esame del sesto anno, sono stato promosso alla settima classe alle scuole medie. Tuttavia, dopo essere stato promosso alle scuole medie, la mia famiglia ha cominciato ad avere alcuni problemi perché il rapporto tra mia madre e mio padre è diventato strano e complicato. I miei genitori erano in una brutta situazione in quel momento, e alla fine si sono separati. Avevo dodici anni.

Dopo la separazione dei miei genitori, non ho più potuto continuare gli studi. Mio padre ci ha abbandonati. Ho lasciato la scuola durante l’ottava classe, perché al momento mia madre non poteva permettersi di pagarmi l’iscrizione a scuola. Lei era l’unica a prendersi cura di noi. È in questo momento che ho iniziato a seguire i pescatori sulla costa, per pescare e vendere pesce in modo da facilitare il compito di mia madre.

Era bello andare sulla costa e accompagnare i pescatori durante la pesca. Col tempo, ho imparato a svolgere il ruolo di capitano su una barca. È stato in quel momento che l’idea di trovare un modo per andare in Libia ha cominciato a farsi largo nella mia mente. Ho pensato di dover almeno provare, per aiutare mia madre e mio zio. Mio zio ha lavorato senza sosta per aiutare mia madre a costruirmi un futuro. È stato fantastico con noi. L’ha aiutata a prendersi cura di tutti noi, rendendomi molto orgoglioso.

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La storia della mia vita dal 2014 al 2015 la ricorderò per sempre come “quei giorni memorabili”: dei giorni che non potrò dimenticare. Il viaggio che avrebbe dovuto rendere la mia vita migliore si è rivelata l’esperienza più difficile che abbia mai dovuto affrontare nella mia vita.

Il mio viaggio segreto è cominciato senza che lo dicessi a mia madre. Lei pensava che stessi pescando sulla costa, ma quando la barca ha fatto ritorno al villaggio, mia madre non ha potuto vedermi. Dopo diversi mesi, pensava che fossi morto.
Il primo stato che ho raggiunto dopo aver attraversato il Gambia è stato il Senegal, che confina con il Gambia. Dopo aver passato svariati giorni in Senegal, sono partito per il Mali, un Paese in cui ho dovuto affrontare un sacco di difficoltà. Ero rimasto senza soldi e non potevo continuare il mio viaggio. Sono stato lì per tre mesi e sei giorni prima di raggiungere la destinazione successiva. In Mali ho fatto qualche lavoro di fatica, come lavori manuali e aiutare persone a trasportare varia mercanzia. Ciò mi ha permesso di proseguire il mio viaggio.

Dal Mali dovevo raggiungere il Burkina Faso. Mi ci sono voluti due giorni. Non volevo perdere tempo in Burkina, ma non sono riuscito a oltrepassare i posti di blocco senza essere fermato. Ero al penultimo posto di blocco di frontiera in un posto chiamato Kantchari, dove la polizia mi ha fermato e ha preso tutto il mio denaro. Sono rimasto a Kantchari per qualche giorno perché la polizia ci ha trattenuti per una settimana.

Alla fine, la polizia ci ha permesso di passare il confine del Burkina, da dove ho continuato il mio viaggio verso Agadez in Niger. Prima di arrivarci, sono passato da Niamey, la capitale del Niger, dove sono rimasto per qualche settimana. È stato lì che ho passato i momenti più difficili della mia vita. Ho dovuto dormire per strada e, talvolta, è stato difficile procurarmi da mangiare perché non sempre ho trovato da lavorare. Alla fine sono riuscito ad arrivare ad Agadez.

Ad Agadez, le cose hanno continuato ad essere difficili per me, perché sono arrivato durante la stagione delle piogge, periodo in cui non è facile trovare un lavoro. Ci sono rimasto per meno di un mese in totale, e per un po’, senza poter fare niente. Non ero capace di badare bene a me stesso, poiché era difficile procurarmi il cibo e comprare i biglietti per muovermi nella città. Fortunatamente, un giorno in cui ero per strada a cercare lavoro ho conosciuto un intermediario che mi ha aiutato a prendere contatti per arrivare in Libia. Dopo averlo incontrato, mi ha detto che sarei dovuto andare con lui, e lo feci. Lavoravo per lui, aiutandolo con le faccende di casa, come cucinare e spazzare camera sua. In più, a volte, lo aiutavo a trovare persone che volessero affrontare il viaggio verso la Libia. Lo facevamo insieme, fino a che un giorno mi ha detto che si sarebbe anche lui diretto verso la Libia, cosa che alla fine è avvenuta.

Dopo aver lasciato Agadez per la Libia, abbiamo dovuto attraversare il deserto del Sahara. Prima di raggiungere la nostra destinazione, ci abbiamo messo un po’ di giorni a causa di numerosi problemi e difficoltà incontrati lungo il viaggio. Sfortunatamente, mentre lasciavamo Agadez, il fuoristrada Toyota 4×4 su cui viaggiavamo si è rotto. Siamo stati lasciati nel deserto del Niger, senza il nostro autista che era ripartito per andare a riparare l’auto. Abbiamo passato due giorni lì, dormendo nel deserto, abbiamo finito i nostri viveri, dovendo soffrire la sete e la fame. Fortunatamente, un passante in auto ci ha visti e ci ha ascoltati. Gli abbiamo spiegato i nostri problemi, così ci ha dato del cibo e dell’acqua. Dopo che il nostro autista era tornato, abbiamo proseguito il viaggio verso la Libia. Ci sono voluti otto-nove giorni in totale prima di raggiungerla.

Quando abbiamo oltrepassato i confini della Libia, la prima città che abbiamo raggiunto è stata Qatrun. Abbiamo capito che avremmo passato solo una notte in quel posto, prima di continuare il nostro viaggio. Sfortunatamente, siamo stati rapiti da un gruppo di arabi, nelle cui mani abbiamo passato tre notti. Ci hanno rapiti pensando che fossimo il gruppo che aveva preso in prestito denaro dal loro autista, ma non eravamo noi. Credendo che lo fossimo, ci hanno torturato quasi ogni giorno, versandoci addosso dell’acqua. Abbiamo subìto quasi tutti i maltrattamenti possibili per il tempo in cui ci hanno tenuti con loro.

Un giorno, hanno deciso di darci un cellulare in modo che potessimo chiamare le nostre famiglie e chiedere loro il denaro per il riscatto. Fortunatamente, durante questo processo, un uomo è andato da loro dicendo che non eravamo noi coloro che avevano preso i soldi del loro autista. Ha detto loro che aveva visto il gruppo che aveva rubato i soldi dell’autista. Ecco come siamo riusciti a liberarci. Più tardi, si sono scusati per i maltrattamenti e ci hanno chiesto di perdonarli. Poi ci hanno condotti a Sabha senza nemmeno chiederci denaro in cambio. Ho passato solo 28 giorni a Sabha, dato che in quel periodo era in corso un conflitto tra due gruppi rivali e la tensione era alta. L’instabilità di Sabha mi ha spinto verso Tripoli, la capitale libica, che credevo fosse leggermente migliore.

È stato al mio arrivo a Tripoli che ho chiamato mia madre per avvertirla che ero vivo. Quando mia madre ha sentito la mia voce non poteva credermi, e ha cominciato a piangere perché credeva fossi morto molti mesi prima. Poi le ho chiesto di inviarmi del denaro per aiutarmi, ma mi ha detto che le cose si erano fatte piuttosto difficili dato che lei era l’unica a potersi prendere cura della famiglia.

Stavo bene a Tripoli, dove potevo mantenere frequenti i contatti ccon mia madre. Poi un giorno mi sono incontrato con un uomo arabo a cui sembravo piacere, che mi ha dato un lavoro. Presto al mattino andavo da lui per lavargli la macchina e spazzare la sua dimora, in cambio ricevevo del denaro e del cibo. Ho lavorato per quest’uomo per tre mesi buoni, fino a che, durante il mio quarto mese a Tripoli, le cose si sono fatte difficili. Ciò era dovuto alla situazione di insicurezza e instabilità nei dintorni della capitale.

Alla fine, il conflitto è scoppiato anche a Tripoli. Non era più un posto sicuro in cui vivere. La vita di tutti era in pericolo; non era sicuro vivere in un posto in cui c’era la guerra. Poi la gente ha cominciato ad attraversare il mar Mediterraneo per raggiungere l’Italia. Per proteggere me stesso e salvarmi la vita, alla fine anche io ho scelto di andarmene. Con i pochi soldi che avevo, ho deciso che avrei pagaro il pericoloso viaggio in mare verso l’Italia. Ecco come sono arrivato in Europa.

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Ho risparmiato il denaro guadagnato durante i miei servizi a quell’uomo arabo per pagarmi il viaggio in barca. L’uomo a cui ho pagato il viaggio ha trovato un taxi in modo che potessi uscire da Tripoli. Il posto in cui prendere la barca era lontano, e mi hanno nascosto nel taxi in modo che i poliziotti non potessero trovarmi. Poi, sono stato messo in una casa di intermediari, dove ho passato almeno due settimane prima di salpare per il Mediterraneo.

La casa di intermediari è un posto vicino al mare in cui le persone vengono stipate qualche giorno prima dell’inizio del viaggio. Consiste in degli edifici specificamente adibiti per ospitare i viaggiatori. Durante il tempo passato lì, non potevamo nemmeno dormire. L’unica cosa che potevamo fare era sederci, dato il sovraffollamento del posto. Lì, ho dovuto affrontare molti incubi, dato che l’abitazione era così scomoda e noi avevamo mangiato solo un giorno.

Dopo qualche giorno, il tempo era abbastanza stabile per prendere il largo. È stato lì che, in una notte particolare, sono venuti a prenderci e ci hanno portato verso il mare a piedi. Durante quella notte sulla costa, l’intermediario e i suoi uomini hanno aggiustato il gommone. Siamo stati lì per un’ora e mezza. Una volta aggiustata l’imbarcazione, l’abbiamo portata in acqua e siamo saliti uno ad uno. L’intermediario ha scelto uno di noi come capitano dell’imbarcazione. Dopo che tutti erano saliti sani e salvi, l’intermediario ci ha ordinato di prendere il largo. È stato lì che abbiamo finalmente lasciato la Libia, verso la nostra nuova destinazione.

C’erano 135 persone a bordo. Eravamo un miscuglio di nazionalità, con sole due donne. Il capitano aveva un telefono con cui si teneva in contatto con l’intermediario durante il viaggio. Stavamo navigando tranquillamente fino a che non abbiamo oltrepassato le acque territoriali libiche. Durante il nostro secondo giorno in mare siamo entrati nelle acque internazionali. Poi abbiamo cominciato ad avere dei problemi con il gommone. C’era un buco nella parte anteriore, e l’acqua aveva cominciato ad entrare. Grazie a Dio, siamo stati fortunati perché il posto in cui siera rotto il gommone non era così seriamente danneggiato o grande. In più, le persone a bordo si capivano l’un l’altra, il che ha aiutato moltissimo.

Eravamo lontani dalla Libia quando questo è successo. Siamo stati fortunati, perché una nave della marina italiana ci ha incrociati e siamo stati salvati. Siamo stati trasferiti su una nave più grande dove ci hanno dato medicato e rifocillato. Dopo un giorno lì, siamo stati trasferiti su una barca della Guardia Costiera che ci ha portati a Lampedusa, in Italia, in meno di un’ora. Così abbiamo finalmente raggiunto l’Europa avendo salva la vita.

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Il giorno in cui la Marina italiana ci ha salvati, siamo stati trasferiti su una nave più grande diretta verso un’isoletta in Italia, chiamata Lampedusa. Abbiamo raggiunto Lampedusa venerdì pomeriggio, e abbiamo viaggiato in bus dal porto al campo di accoglienza.

Ci hanno tenuti nel campo, dove hanno continuato a cercarci. Più tardi ci hanno preparato un sacco di cose. La prima cosa che hanno fatto è stata darci del cibo e concederci del tempo per riposare. La sera ci hanno distribuito tessere telefoniche per informare i nostri genitori che eravamo arrivati a Lampedusa.

Ogni giorno, cucinavano per noi: la mattina, il pomeriggio e la sera. Dopo una settimana che ero arrivato, abbiamo celebrato il giorno Eid-Mubarak (Tobaski) [augurio tradizionale islamico ndt] a Lampedusa.

Al centro, hanno raccolto le mie impronte digitali. Alla fine, dopo una settimana hanno cominciato a separare le persone che erano arrivate sullo stesso gommone. Hanno preso coloro che avevano viaggiato con me verso la Sicilia, separandoli tra i diversi paesi e città.

La difficoltà maggiore che ho dovuto affrontare è stata che tutte le persone con cui avevano viaggiato sono state trasferite, tranne me. C’erano altri che avevo incontrato, con cui sono stato durante le due settimane in cui sono rimasto nel campo, fino a che non hanno trasferito anche me. Ecco come sono arrivato in Sicilia. Il centro in cui sono ora è un buon centro in cui stare, ci hanno dato un letto ciascuno in cui dormire e dei campi di calcio e pallavolo su cui giocare.

Gli amici con cui ho attraversato il mare, quelli con cui mi sono seduto assieme, con cui ci siamo scambiati domande reciproche, sul nostro Paese d’origine – quelli con cui sono riuscito a raggiungere l’Europa. Non sono più in contatto con loro da tempo.