Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

LasciateCIEntrare visita a sopresa il CIE di Restinco (Brindisi). Riscontrati abusi e violenze

In data 24 Giugno l’Onorevole Annalisa Pannarale accompagnata da Yasmine Accardo referente per la Campagna LasciateCIEntrare è entrata in visita presso il Cie di Restinco.

Dopo un’attesa di un’ora è stato permesso l’accesso all’Onorevole e ad il suo accompagnatore. Viene riferito dagli organi di polizia e dal gestore del centro che il parlamentare è tenuto ad avvisare la Prefettura prima di arrivare per permettere che l’accesso avvenga alla presenza di un delegato della Prefettura e con le garanzie dell’incolumità. L’Onorevole dichiara che la comunicazione potrebbe far perdere senso alla necessità di ispezione che deve essere garantita; rispetto invece alla nostra incolumità ci assumiamo la responsabilità.

All’esterno del CIE è presente il Cara dove ancora oggi vi sono le sei tende della Protezione civile, installate un anno fa in risposta all’emergenza sbarchi. Non essendo ancora riusciti a risolvere l’emergenzialità della situazione, le tende si trovano ancora lì e vi vengono ospitate le persone appena sbarcate, per un totale di circa 40 ospiti, che vengono trasferiti in strutture idonee in tempi non precisamente definiti e secondo la disponibilità di posti, in un tempo che va 2 giorni a un mese o più. Il caldo odierno è torrido e le condizioni di vita in tende, benché fornite di condizionatori per il fresco, non sono certo idonee a permanenze protratte.

Il Centro di Restinco si trova in una piana desolata con pochissimi alberi. Il blocco di cemento è totalmente esposto ai raggi di sole che oggi assomigliano a lamine incandescenti.

A differenza del passato, attualmente non vi vengono ospitati minori, la loro presenza viene tempestivamente segnalata ed il loro trasferimento avviene in giornata, così come ci viene riferito dal responsabile del centro e dal delegato della Prefettura, nella persona della sig.a Carmela Scavone, che giunge nel frattempo in loco, dopo un’ora dal nostro arrivo. La visita ha quindi inizio alle ore 13.30 e durerà circa 3 ore.

L’accesso al CIE non viene svolto sotto controllo del metal detector e non vengono prelevati i cellulari, come invece avviene per le delegazioni di visite autorizzate della società civile.

In delegazione vi sono anche il responsabile della Cooperativa Auxilium, la psicologa del centro, l’operatore legale, una mediatrice di lingua araba e tre poliziotti.

All’arrivo ci viene consegnata la lista dei presenti in struttura: 47 persone di varia nazionalità. Chiediamo di poter ricevere lista dei nominativi, ma ci viene negata perché è informazione che compete all’Ufficio Immigrazione e che non può essere fornito al parlamentare dal gestore del centro.

Ci vengono mostrate le due sale adibite all’isolamento delle persone che presentano patologie che necessitino di periodo di quarantena. Chiediamo se è possibile visionare il registro delle persone poste in isolamento, se esiste. Ci viene comunicato che tutto viene regolarmente registrato, ma non ci viene mostrato alcun registro apposito. Nel centro è presente un’infermeria; al momento non vi sono operatori sanitari. Dopo un rapido riepilogo informativo ci muoviamo verso i blocchi in cui sono detenute 47 persone al momento: 3 gabbiotti circondati da sbarre e chiuse da tutti i lati da plexiglas. Le porte d’accesso hanno uno spazio in basso che chiediamo se venga usato per consegne di cibo. Ci viene detto che per la distribuzione le porte vengono aperte.

In fondo al corridoio sul cui lato si trovano i blocchi si vede il campo da calcio, che le persone detenute ci diranno in seguito di non utilizzare mai.

Nei blocchi il caldo è asfissiante. Veniamo informati che nel blocco A vi sono 19 persone, nel blocchi B e C 14 per ciascun blocco. La capienza totale del centro è di 48 persone. La percentuale di presenza relative a persone provenienti dal carcere è di circa il 50%. I reati maggiormente contestati sono: rissa e spaccio.

All’accesso nel Blocco C, era presente il signor K. che era rannicchiato in un angolo ed al nostro accesso si spostava da un lato all’altro del blocco continuando a muoversi piegato su di sé. Alla richiesta di spiegazioni riguardo la sua situazione, la psicologa del centro di riferisce che non presenta tratti psicopatologici ma sarebbe opportuno che potesse avere accesso a perizia psichiatrica idonea ed essere seguito altrove anche perché è molto difficile parlare con lui, tende ad isolarsi e parla costantemente dei suoi denti che si muovono.

Ci viene inoltre riferito che il suddetto ha presentato domanda d’asilo in Austria dichiarandosi libico e pare abbia anche ricevuto permesso di soggiorno; in Italia avrebbe poi dichiarato altra nazionalità (tunisina).

La sua condizione psicofisica, così come la osserviamo nel tempo che restiamo nel blocco, ci pone non poche preoccupazioni che meriterebbero ulteriori verifiche in difesa dei diritti di questa persona. Si tratta infatti di persona vulnerabile. Cosa ci fa dentro ad un CIE?

Entriamo quindi nel dormitorio: i letti sono a castello in ferro massiccio. I materassi sono di spugna vecchi e pieni di insetti ci dice uno degli uomini che parla animosamente con il responsabile del centro. “Qui manca tutto e il catering è davvero schifoso, non è degno di un essere umano. Stavamo meglio in carcere. Non possiamo nemmeno asciugarci dopo la doccia come si deve, perché non ci danno asciugamani ma solo pezzi di carta“.

Per disposizioni di polizia non possono essere introdotti asciugamani e le lenzuola sono di carta leggerissima che si strappa con estrema facilità.

Sono tutte norme di sicurezza – ribadisce il responsabile del Centro – ma guardate lì c’è un asciugamano grande”. Su uno dei letti infatti c’è un asciugamano normale.

Da lontano sentiamo qualcuno battere i pugni nell’altro blocco. Chiedono qualcosa. “Quando qui chiami qualcuno, non rispondono mai. Puoi morire ma non verranno”.

Mentre stiamo ascoltano L. chiede di poterci far vedere i suoi documenti. Inizia un dialogo molto animato, ma del tutto sereno, che viene interrotto più volte dalla Polizia che ci consiglia di recarsi altrove al di fuori dei blocchi, perché nel blocco non riescono ad assicurarci protezione. Ribadiamo più volte che non abbiamo alcun problema, ma per visionare i documenti che le persone vogliono mostrarci ci rechiamo nella sala del blocco dove ci sono tavoli e posti per sedere.

Si avvicinano in molti e cominciamo a raccogliere le singole storie.

S. nato in Nigeria, in Edo State, il 15 Marzo 1986, precedentemente richiedente asilo, ospite del centro di Via Nicola La strada Hotel City.

Dopo il diniego ricevuto dalla Commissione in data 15 Giugno 2016 non ha presentato ricorso. Credeva l’avesse fatto l’avvocato del centro di accoglienza in cui era ospite. Dice di non aver avuto informazioni a riguardo. L’operatore legale racconta che pare che il diniego non sia mai stato impugnato, motivo per il quale, chiamato in questura, in data 20 Giugno c.a., sia stato poi subito trasferito al CIE. Al momento non ha ancora nominato il legale ed il ricorso non può essere fatto, perché deve essere impugnato entro 30 giorni della notifica e sono ormai, da oltre un anno, decorsi i tempi. E’ questione che verrà comunque affrontata dall’avvocato che S. ha il diritto di nominare.
Negli anni molta è stata la documentazione raccolta relativa ad una gestione sommaria dell’accoglienza che ha spesso portato a non ricevere all’interno dei centri corretta informazione. L’inchiesta portata avanti dalla Campagna LasciateCIEntrare ha dimostrato come, in molti casi, avvocati senza scrupoli si siano fatti nominare, assumendo così la difesa di centinaia di persone, che non solo non hanno mai incontrato, ma di cui spesso hanno persino fatto scadere i termini dei ricorsi o che addirittura non li abbiano portati a compimento, non presentandosi nelle giornate di udienza fissate per il ricorso.

L., cittadino marocchino, è stato in carcere per cinque anni alterni con accuse di rissa e piccolo spaccio. Uscito in regime di Art.21, per buona condotta in carcere, ha conseguito diversi attestati; sperava di poter ricominciare la sua vita con una spinta differente. “Ero molto giovane ed ho fatto molte sciocchezze, ma ho pagato ed ho capito i miei sbagli. Ho anche una bambina di 6 anni che mi aspetta e mi chiede sempre dove sono e quando torno. Le dico che le sto preparando borse e borse di regali. Vedete devo mentire, mi vergogno molto! Perchè non posso tornare a vivere normalmente. Ho pagato per quello che ho fatto. Perché devo stare qui? Non voglio andare in Marocco. Tutta la mia famiglia è qui”.

Ci mostra i documenti dei genitori della moglie e la bambina. Sono tutti marocchini, tutti residenti in Italia.

E’ una delle anomalie che da sempre si denuncia sui CIE: chi è già stato in carcere, una volta scontata la pena, viene portato al CIE per essere espulso. Sono i tempi disumani delle identificazioni. In cinque anni poteva essere fatto tutto già in carcere, e invece no, bisogna poi subire quest’ulteriore detenzione del tutto priva di senso e che riguarda esclusivamente le persone non italiane. Una pena doppia inaccettabile. Nel caso di L., lui ha inoltre usufruito della buona condotta ed avrebbe tutto il diritto di riprendere a vivere con la sua famiglia e ricominciare una nuova vita.

Mentre discorriamo tranquillamente con i singoli detenuti, uno dei poliziotti lancia l’allarme – “Attenzione ha una lametta in mano!”- e ci fa allontanare fuori dal blocco.

Uno dei detenuti ha in mano un oggetto scuro: si tratta di una memoria piccola del telefono!

Chiediamo spiegazioni a riguardo: “Da lontano sembrava un oggetto tagliente! E non si sa mai cosa avrebbe potuto fare” ci risponde l’ufficiale di polizia. Ribadiamo la necessità di voler continuare a parlare con le persone ed ascoltare le loro storie, necessarie a comprendere non solo cosa accade all’interno del CIE, ma anche le motivazioni che sono alla base della loro presenza lì. Ci viene concesso di continuare i colloqui in una saletta, normalmente adibita agli incontri con gli avvocati. Durante i colloqui resta con noi il delegato della Prefettura, la porta resta aperta sotto lo sguardo e le orecchie di un paio di poliziotti. Si rimarca che durante i colloqui è lo stesso delegato della Prefettura, che decide di chiudere la porta, garantendo in questo modo un minimo di privacy.

I colloqui hanno palesato molteplici criticità e diversi abusi.

Abbiamo parlato con un cittadino Palestinese.

Nella lista presentata al nostro accesso, non risultava la presenza di cittadino palestinese, indicato, invece, come cittadino del Kuwait.

Il signor A. nato di nazionalità palestinese è stato oggetto di revoca di permesso di soggiorno in quanto ritenuto pericoloso per la sicurezza dello stato. A. non riesce a capire il perché di quest’accusa. Era possessore di un permesso per rifugiato. Ed ora si trova a Restinco da 40 giorni.

A. ci riferisce che a Gaza era un poliziotto facente parte del Governo palestinese e che fuggito dalla Palestina sperava si trovare asilo in Italia. Tutti i suoi dati e la sua storia sono stati già comunicati alla Commissione Territoriale per l’asilo durante l’intervista per la richiesta di asilo politico.

Ha condotto una vita tranquilla in Italia ma ha avuto difficoltà dovute all’apertura di un ristorante che non è riuscito a mantenere aperto, per scarsa conoscenza delle necessarie autorizzazioni, la cui mancanza ha determinato la chiusura del posto. Non avendo altro luogo in cui dormire, per un periodo dormiva nel locale che aveva affittato per quest’uso. Qui è stato preso dalla polizia, gli sono stati sequestrati i suoi beni e ritirato il permesso di soggiorno. A. ci riferisce che ad oggi non conosce il motivo di quanto accaduto e teme di essere riportato a Gaza, cosa che lo porterebbe certamente alla morte. Inoltre è preoccupatissimo per la famiglia; se l’Italia sta chiedendo informazioni al governo palestinese, sarà la sua famiglia di avere ritorsioni. A. non si dà pace. In Italia cercava solo un rifugio, che evidentemente in spregio a tutte le norme nazionali ed internazionali non gli viene garantito, al punto da sbatterlo in un CIE (attuale CPR), in un centro costruito per il rimpatrio!

A. racconta inoltre che all’interno del Centro è rispettoso di tutte le norme imposte, ma che le condizioni di vita sono oltremodo precarie, in particolar modo per la scarsità di acqua per la doccia e l’insufficienza di saponi per l’igiene personale. E’ inoltre scadente il cibo proposto dal catering sia per quantità che per qualità.

Il signor Y. cittadino tunisino.
Y. è al CIE di Restinco dal 23 Maggio. E’ al Cie per permesso di soggiorno scaduto, cui stava provvedendo al rinnovo ed era in attesa solo di chiarimenti rispetto alla pratica riguardante la residenza anagrafica. Chiamato in questura viene poi trasferito al CIE.

Ci racconta quanto accaduto la domenica notte del 18 Giugno. In seguito ad opposizione alla sua deportazione Y. si feriva con una lametta (di cui porta anche i segni sul braccio) che ingoiava. Trasferito in ospedale, veniva poi dimesso dopo un’ora e riportato al centro. Y. racconta ribadisce che non ha avuto modo di avere il suo referto di dimissioni. Una volta tornato al CIE, intorno all’una di notte, in presenza di un poliziotto alto (che puzzava di alcool), dell’infermiere del centro e degli altri poliziotti e militari (non ricorda il numero preciso) viene prima perquisito, quindi bloccato a terra e legato con le manette dietro la schiena. Viene quindi legato anche con dello scotch e sollevato in aria “come se fossi un pollo” e picchiato dai presenti mentre gli viene fatta un’iniezione che ha come conseguenza la sedazione.

Da allora Y. è in sciopero della fame, è infatti molto magro e visibilmente deperito. Ha timore che gli venga messo qualcosa nel cibo che nuovamente lo addormenti. Ci ha nuovamente manifestato la necessità di denunciare quanto accaduto. Y. ha una fidanzata regolarmente soggiornante in Italia che aspetta un bambino (è al quarto mese), l’intera documentazione è stata inviata ai suoi avvocati. Poiché è ancora dentro al CIE siamo fortemente preoccupati di ritorsioni ai suoi danni. Y. ci dice che diverse volte è stato deriso da alcuni poliziotti con queste parole “ci vuoi denunciare eh? Figurati!!”.

Il signor B. nato in Tunisia si trova nel centro dall’8 Aprile 2017.
Ci racconta essere sbarcato in Italia nel mese di Marzo e di essere stato immediatamente portato al CIE, senza alcuna possibilità di chiedere asilo. In particolare il signor B. presenta patologia cardiaca di cui ci mostra i referti della visita in ospedale. Il signore presenta toracoalgia e soffio sisto-diastolico su focus aortico dovuto a cardiopatia congenita non definita.
Nel referto si parla di “buco al cuore”, il medico refertante scrive che dal centro non è arrivata alcuna documentazione e che a causa della barriera linguistica risulta impossibile costruire un’anamnesi e comprendere a fondo la sintomatologia del paziente. Il soggetto necessita comunque di monitoraggio.

Considerando le condizioni di salute del giovane, risulta del tutto inidoneo il trattenimento nel CIE. Le problematiche cardiache e le loro conseguenze non possono in alcun modo essere trattate con superficialità.

Avremmo voluto ascoltare altre testimonianze, ma abbiamo purtroppo dovuto lasciare il centro, per questioni di orario.

La visita a sorpresa al CIE di Restinco mostra ancora una volta la necessità che questi centri vengano chiusi tutti, a dispetto di quanto predisposto dal nuovo decreto Minniti-Orlando che intende invece aumentarne il numero sul territorio.

Continua ad essere un sistema dispendioso che non solo non garantisce i diritti delle persone detenute, ma anzi diventa un sistema di ulteriore abuso ai loro danni. Dopo anni di denunce, ancora si è al punto che l’identificazione delle persone che hanno già visto il carcere debba essere qui effettuata, trasformandosi in un periodo di ulteriore detenzione odioso e che è esclusivo per gli stranieri, costituendo un doppio canale di segregazione del diritto che deve essere al più presto superato, perché non rispetta i diritti delle persone.

Il CIE è peggiore del carcere poiché rappresenta un luogo di punizione senza colpa, trasformandosi in luogo di tortura psicologica nella maggior parte dei casi.

Nel caso di Y. poi addirittura di tortura fisica ed in quello di A. di mancato rispetto delle Leggi Nazionali ed Internazionali sul Diritto d’Asilo.

Campagna LasciateCIEntrare

La campagna LasciateCIEntrare è nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei C.A.R.A. (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte contro la detenzione amministrativa dei migranti continua »