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Le autorità slovene chiudono il campo di aiuti autogestito a Dobova

Intervista a Babi El Ahmadi, anima e coordinatrice del campo

Durante la nostra staffetta in una delle nostre tappe ci siamo fermate nel campo adiacente alla stazione di Dobova, lì ci avevano indicato di contattare “Babi El Ahmadi”, la responsabile.

Arrivati abbiamo chiesto di lei e subito ci è venuta incontro, la prima sensazione è stata quella di avere a che fare con una grande donna che portava pesanti occhiaie, segni di fatica e stanchezza ma allo stesso tempo determinazione e voglia di fare.

Erano le 10 di mattina, ma lei era lì da molte più ore; ci siamo sedute e insieme abbiamo bevuto un tazzone di caffè rigorosamente solubile. Incuriosite dalla sua figura e da tutto ciò che stava intorno abbiamo voluto sapere di più su di lei e sulla sua scelta di vita.

Le autorità slovene chiudono il campo autogestito di Dobova (Foto: Hans Martin)
Le autorità slovene chiudono il campo autogestito di Dobova (Foto: Hans Martin)

Babi, è una donna ungherese di 51 anni sposata da trenta con suo marito di origine Siriana, Muhammad, e da sempre la sua vita si divide tra due Paesi. Babi e suo marito da sempre svolgono attività di volontariato dove più c’è bisogno, e dal momento in cui l’evolversi della migrazione nei Balcani ha avuto luogo lei e suo marito hanno lasciato le loro vite per andare in primis alla stazione di Zakany organizzando un campo in cui distribuire acqua e cibo ai rifugiati.

«Circondati da condizioni di vita disumane abbiamo deciso di aiutare e rendere migliore il viaggio di queste persone, che sono giudicate, stigmatizzate e umiliate da molti. Abbiamo passato momenti molto difficili, non è mai stata una situazione facile a Zakany, ma siamo riusciti a superare tutto, tutto il rifiuto, l’esclusione e il disprezzo. Ci siamo fermati, abbiamo pensato: perché ci odiano così tanto? Perché le persone erano così ostili anche con noi? Perché noi, che vogliamo aiutare l’altro siamo diventati il nemico numero uno per la gente del posto? La risposta l’abbiamo trovata ed è semplice, perché non eravamo disposti ad unirci alla folla di gente che disprezzava ed odiava i migranti.

Le autorità slovene chiudono il campo autogestito di Dobova (Foto: Hans Martin)
Le autorità slovene chiudono il campo autogestito di Dobova (Foto: Hans Martin)

Da casa, seduti su un divano davanti la tv e al caldo ci sono cose che non si possono capire e che non vogliono farci vedere. Noi qui, sul campo abbiamo visto come vengono trattate tutte queste persone in cerca di vita e di speranza, lasciate in mezzo alla spazzatura, caricati in treni sporchi e abbandonati al loro destino in mezzo al freddo. Essendo sposata con un Siriano non nascondo che la mia passione nell’aiutare questa gente è sicuramente un elemento che più di tutti mi ha spinto a fare questa scelta di vita, perché conosco la loro situazione e so che la loro scelta è dettata dalla mancanza di una possibilità che altrimenti li condurrebbe solo ad affrontare una guerra, la morte.

Queste persone, queste famiglie, non sono senza casa, non sono ignoranti ma soprattutto non sono terroristi. Abbiamo incontrato molti medici, ingegneri, insegnanti che si affidano a CONTRABBANDIERI che per 1000/1500 € li portano dalla Turchia alla Grecia in gommoni carichi di 49-50 persone invece che di 15 (spesso numero massimo di capienza), costringendoli poi a buttare via i loro unici “ricordi” rinchiusi in una borsa, di quella vita ormai lasciata alle spalle. Da lì si spostano poi in Macedonia ed in seguito in Serbia, qui sono caricati sui treni – dove spesso i bagni sono chiusi, così dopo c’è meno da pulire – e arrivano da noi attraverso la Croazia . Abbiamo visto scene di bambini maltrattati da agenti della polizia che spegnevano sui loro piccoli corpi le sigarette.

Le autorità slovene chiudono il campo autogestito di Dobova (Foto: Hans Martin)
Le autorità slovene chiudono il campo autogestito di Dobova (Foto: Hans Martin)

Sul confine di Zakany ci sono soldati armati lungo tutto il territorio, polizia ed un’unica e stretta apertura lungo il filo spinato, dove entrano e perdono gli ultimi pezzi della loro dignità in mezzo al fango. Il terreno è argilloso e accidentato, gli uomini, le donne, i bambini, le donne in stato di gravidanza e gli anziani chiedono aiuto e l’unica risposta che ricevono sono risate sarcastiche e l’incentivo a muoversi più velocemente.
Scarpe, ciucci e cappellini bloccati nel fango solo l’unico segno che quei terreni conservano nella memoria di un viaggio che spesso non soddisfa neanche la speranza di una vita e di una accoglienza degna.
Cosa portereste voi se foste nella stessa situazione? Se i vostri bambini fossero scalzi in mezzo al fango al buio? Quale sarebbe la vostra reazione?
Tu che tanto critichi la presenza numerosa di queste persone se mai venuto sul posto a vedere in che condizioni vivono? Molti uomini hanno pianto dalla disperazione quando sono stati separati dalla famiglia per l’impossibilità di poter fare qualcosa e ricongiungersi.
Infine, se potessi far arrivare un messaggio ai rifugiati, vorrei dire questo:
Non partite! Se rimanete a casa, sarete probabilmente uccisi da una bomba o da un proiettile, ma con dignità. Se deciderete invece di partire e lasciare tutto, preparatevi ad essere umiliati, privati della vostra dignità, morendo nel vostro spirito mille volte sulla strada per la speranza, nel 2015, da qualche parte in Europa.»

Samanta, Elisa, Sara, staffetta #overthefortress