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Legge immigrazione, l’Emilia contro la Bossi-Fini

Tratto dal sito http://www.emilianet.it/

Bologna (25 feb. 2004) – Uscire dalla logica della legge Bossi-Fini per assicurare ai cittadini stranieri gli stessi diritti e doveri degli altri. E non attraverso servizi appositi, ma facilitando l’accesso a quelli esistenti nell’ambito di una politica universalistica. Questi i princìpi che hanno ispirato il Progetto di legge regionale sull’immigrazione, varato dalla Giunta e approdato ieri per l’approvazione in Consiglio.

La nuova normativa non crea nuovi servizi per gli stranieri immigrati (che in Emilia Romagna hanno raggiunto le 230mila unità) in una logica di separatezza, ma facilita l’accesso ai servizi già esistenti in un contesto universalistico e, nelle intenzioni della Giunta, sposta l’attenzione dai problemi dei nuovi arrivi per occuparsi dei cittadini immigrati che già risiedono in Emilia-Romagna, circa il 6 per cento della popolazione, o qui abbiano chiesto di poter vivere e lavorare. Si tratta della prima legge di stampo federalista sul tema dell’immigrazione affrontata da una Regione dopo la riforma del Titolo V.
“Una legge che era necessaria – ha affermato l’assessore regionale all’Immigrazione Gianluca Borghi -, per sostenere l’integrazione nell’interesse di tutti i cittadini dell’Emilia Romagna, perché questi sono temi che riguardano l’intera comunità, per giungere ad una piena integrazione con uguali doveri e diritti”. “Ripetutamente e inascoltati dal Governo – aggiunge Borghi – noi come altre Regioni abbiamo detto che la Bossi-Fini è sbagliata, ha tra l’altro prodotto precarietà ed una gestione insostenibile dei permessi. Al contrario la nostra legge, il cui iter era stato avviato ben prima della Bossi-Fini, tenta di definire garanzie e diritti non mettendo in contrapposizione quelli dei cittadini italiani con quelli degli stranieri residenti”.

Cosa cambia:

Numerose le innovazioni introdotte dalla legge, denominata “Norme per l’inserimento sociale dei cittadini stranieri immigrati” e destinata a superare la precedente Legge regionale 14/90.

1) Un programma triennale di attività sull’immigrazione per rafforzare l’integrazione delle politiche regionali, anche in raccordo con il Piano sociale regionale e i Piani di zona.

2) Promozione dell’integrazione sociale attraverso la partecipazione dei cittadini stranieri alla vita pubblica, con strumenti di rappresentanza nell’ambito delle istituzioni locali.

3) Centro regionale contro la discriminazione razziale etnica, nazionale o religiosa, con l’introduzione di nuove tutele così come previsto da direttive europee.

4) La Consulta regionale sull’immigrazione avrà come vicepresidente uno straniero e dedicherà particolare attenzione alla presenza femminile, con una forte valenza simbolica a fronte dei diritti negati alle donne in diversi Paesi africani e asiatici.

5) Definizione di una chiara ripartizione di compiti tra Regione, Province e Comuni. 6) Costituzione di un osservatorio del fenomeno migratorio, con l’obiettivo di indicare annualmente il fabbisogno lavorativo nella regione.

7) Allargamento della platea dei destinatari dei servizi anche ai richiedenti asilo ed ai rifugiati.
8) Contributi per spese alle Province ed al Terzo settore su interventi di integrazione sociale, quali ad esempio sportelli informativi, corsi di lingua, centri ed iniziative interculturali.

9) Contributi in conto capitale al Terzo settore, Fondazioni e privati per la realizzazione di centri di accoglienza e alloggi sociali.

10) Interventi per le politiche abitative (promozione di agenzie per la casa per favorire l’incontro tra domanda e offerta, alloggi sociali, centri di prima accoglienza). La Regione intende anche promuovere forme sperimentali di intervento promosse dalle parti sociali (datori di lavoro, ento locali, sindacati) per affrontare congiuntamente il tema dell’inserimento lavorativo e della casa.

11) Sostegno a programmi di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine dei flussi migratori.

12) In campo sanitario, oltre le pari garanzie, la nuova legge sancisce l’opportunità che nell’ambito degli interventi rivolti a cittadini stranieri si tenga conto delle culture dei Pesi d’origine e si sviluppino i centri di informazione. Allo stesso tempo si sottolinea la necessità di interventi volti a rispondere alle problematiche nel campo della sessualità, procreazione e nascita, oltre che ad eliminare pratiche lesive della condizione umana e dell’integrità fisica delle donne, pratiche persistenti e connesse a culture originarie.

Toccata anche la questione dei Centri di prima accoglienza: “I Cpt, alla luce della Legge Bossi-Fini, sono diventati qualcosa di inaccettabile e purtroppo oggi abbiamo a che fare con la Legge Bossi-Fini, non con la Turco-Napolitano” ha risposto Borghi, commentando così la proposta di Marco Monari, coordinatore regionale della Margherita, di far gestire i Cpt alle Regioni visto che il Governo “non è in grado e non vuole occuparsene”. Borghi ricorda di aver già espresso la “posizione ufficiale della Giunta regionale” poco più di due settimane fa, rispondendo ad alcune interrogazioni: aveva parlato della necessità di un “superamento dei Cpt” per “individuare soluzioni alternative”. Oggi ha ricordato che “il presidente Errani è in attesa da un anno e mezzo” della risposta del Governo alla proposta regionale di un intervento congiunto per migliorare le condizioni di vita nei Cpt: “Il fatto che nemmeno si risponda a una Regione è grave”. E qusto mentre “tutto è giocato sull’ ordine pubblico e la paura” e si esclude “ogni intervento di tipo sociale” in relazione all’ immigrazione: “in tre anni – ha precisato Borghi – le Regioni non sono mai state chiamate a discutere di immigrazione al Ministero degli affari sociali”.