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Lettera di una madre. (Da sotto il mare).

Gianluca Grossi, Faccia da reporter, 22 gennaio 2016

Foto: © 2016 weast productions

Sono morta ieri notte, morta così, senza salvare mio figlio. Prima di morire. Mio figlio aveva otto anni. Io ne avevo trentadue. Sono morta subito. Senza più forza dentro. Che se soltanto non ci mettessimo addosso queste sottane pesanti, noi donne arabe, peseremmo meno quando finiamo in mare. Il giubbotto salvagente taroccato che abbiamo acquistato in Turchia ci terrebbe magari a galla, e sia pure per finta. Per finta.

Per qualche minuto. E per finta. Mi vergogno anche da morta, anzi da morta mi vergogno di più, per avere costretto mio figlio (gli altri due li aveva ammazzati una bomba, nel mio paese) a seguirmi per mare.
Eppure, la Grecia sembrava così vicina, lo giuro, e sono una madre, non un’assassina. Lo giuro da madre. Una madre come ne avete anche voi, immagino, di madri, quante ne avete, che fanno la spesa ogni giorno, che vanno al lavoro ogni giorno, che crescono i figli? E che vanno a nuotare. Io sono stata una pazza, non sapendo nuotare, a mettermi su quel gommone e a metterci l’ultimo figlio rimasto.

Io mi merito i vostri rimproveri, la vostra incomprensione esterrefatta, mi merito i vostri dubbi e i vostri sospetti e merito e merito e mi merito il vostro celato rancore. Una madre queste cose non le fa. Non una vera. Non una come Dio comanda. Sono, ormai, a metà del mare, a metà fra la superficie e il fondo. Mio figlio, che è più piccolo, galleggia sopra di me. Scende, però, anche lui. E io scendo e scendo e scendo, vestita, vedete, vestita com’ero. Com’ero prima di salire su quel gommone, in Turchia. E prima di andarmene. Da un posto dove le bombe mi avevano ammazzato due figli e un marito. E avevano ammazzato anche me, vedete. Già mi avevano. Ammazzata. Ero morta da tempo. Per quel bambino l’avevo fatto, per lui mi ero messa per strada. Una strada dopo l’altra. E un passo dopo l’altro. In fuga. L’avevo messo sulla barca, pregando. Pregando Dio. Che però si prende i bambini. E le loro madri. Che Dio è?

Che Dio sei? Io, vi giuro, fino a un attimo prima stavo pensando a come lo avrei cresciuto, quel bambino, cresciuto per bene e come si deve, nella sua nuova città. Mi ero sentita una stupida, a pensarlo. Un’imbecille dalle lacrime facili, una che finge la miseria e chiede la pietà per poi fregarvi tutti. Ci ha pensato il mare. Ci ha pensato il mare. A farmi tacere. Vi chiedo scusa. Vi chiedo scusa per essere morta insieme ad altre 42 persone. Ieri notte. In mezzo all’Egeo. Vi chiedo scusa per essere diventata una notizia. Sono stata una sciocca e un’illusa. Avrei dovuto morire a casa mia, tranquilla, come si deve. Insieme a mio figlio. Cosa vai a importunare la gente per bene, mi chiedo, mentre scendo e scendo nel mare che non ha fine. Io, come si s’addice a una madre, per prima, e lui, mio figlio, qualche metro (ma nemmeno tanti) sopra di me.