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Tratto da migranews.it

Libri – Il cittadino che non c’è. L’immigrazione nei media italiani.

La ricerca di Ribka Sibhatu va dal marzo ’99 al giugno 2001per «analizzare lo storico evento dell’immigrazione in Italia e l’immagine che i mezzi di comunicazione di massa propongono al pubblico» prendendo in esame due quotidiani (Il corriere della sera e Repubblica), il Tg-1 delle ore 20, Radio Vaticana delle 21 e il Tg-5 delle 24,30. Ma è significativo ricordare che il piccolo finanziamento a sostegno dell’indagine della Sibhatu era inizialmente diretto verso un altro obiettivo: vedere come i nostri media affrontavano l’immigrazione verso l’Italia dal Corno d’Africa, «notoriamente formato da tre ex colonie italiane».
Ma nonostante «in quella parte del mondo vi fosse una guerra e avesse provocato più di 100 mila morti» le notizie sono così scarse che Ribkha Sibhatu muta il suo progetto. Una sua frase è particolarmente inquietante: «Varrà la pena di notare che l’Italia è tra le maggiori fornitrici di armi all’Eritrea». Forse è anche qui la ragione del disinteresse mediatico: magnificate quando sono in mostra o alla voce export, le armi made in Italy diventano un argomento tabù quando uccidono.

Nel nuovo obiettivo della ricerca, cioè «il complesso fenomeno migratorio» l’autrice nota subito che, nel pur diverso approccio dei cinque citati mezzi di informazione, si possono individuare alcune pecche ricorrenti: «l’immigrato è il grande assente» ovvero si parla di lui ma senza la sua voce; «manca la conoscenza della loro quotidianità» ovvero i migranti sono sempre estranei e sconosciuti pure se in Italia da 15 anni; pochissimo spazio c’è per «la ricchezza del mondo dei migranti». Costanti negative che, a volte, si prova a superare: ma, se pure l’autrice non stila pagelle, dalla minuziosa analisi si ricava che solo Radio Vaticana si impegna seriamente con un minimo di continuità.

Perfino il termine «straniero» o «immigrato» continua a essere usato a sproposito. Come definire tale un ragazzo di 24 anni «arrivato in Italia quando aveva un anno» e sempre vissuto qui?
Impossibile ripercorrere le analisi dettagliate di 344 pagine. Dal segretario Ds, Walter Veltroni che, ben prima di Gianfranco Fini, parla del voto agli immigrati residenti a un importante forum dell’Unesco nel giugno 2000; dal pirata della strada Panajot Bita agli editoriali di Giovanni Sartori; dalla scuola Daniele Manin di Roma ai figli contesi da genitori di due nazionalità; dai sequestri alla prostituzione o al suicidio di Samir nel carcere di Pisa… il quadro che ne esce è sconfortante. Di alcuni eventi avevamo perso memoria; di molti ci erano sfuggiti il contesto, la sovra-esposizione e/o la strumentalizzazione. I commenti dell’autrice sono talvolta illuminanti ma più spesso l’insieme dei fatti è così evidente che non serve un di più interpretativo. Certo per capire come sia grave accendere i riflettori su un solo pirata della strada albanese bisognerebbe aver presente che in quell’anno 2000 i pirati accertati furono 7835 e sapere che quasi tutti (anche quelli con conseguenze mortali) non suscitarono il minimo interesse fra i giornalisti.

Ultima notazione, forse poco professionale: chi scrive spera, prima o poi, di incontrare Ribka Sibhatu. Certo per farle i complimenti ma anche per chiederle di soddisfare una privata curiosità: quel gioco – «ghebetà» – che lei cita è forse lo stesso che, in altre parti dell’Africa, chiamano warri? E capire come uno dei giochi più antichi, semplici, diffusi, affascinanti sia sopravvissuto in Africa e Asia per sparire in Europa non sarebbe una bella ricerca per qualche scolaresca multi-culturale?
«Ghebetà» (o warri) a parte, chi leggerà Il cittadino che non c’è troverà, accanto alle idee dell’autrice, un po’ dei suoi ricordi (resta in mente la nonna che usava la parola «chianti» per indicare ogni bontà), frammenti della sua storia e di quella del suo Paese martoriato. Proprio grazie all’empatia di Ribka Sibhatu è probabile che venga la voglia – come lei scrive – «di contribuire a rendere migliore un mondo in cammino».
Vi par poco?
Daniele Barbieri