Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

A cura dell'Avv. Paolo Cognini - ASGI

Migranti e procedure di regolarizzazione: riflessioni ed interrogativi

IL LAVORO CHE “NOBILITA”

Coerentemente con l’impianto complessivo delle nuove disposizioni sull’immigrazione, anche le procedure di regolarizzazione sono interamente pensate all’interno di un dispositivo in cui la figura del migrante acquista rilievo solo in quanto “elemento di produzione”. Per la prima volta, a differenza delle precedenti sanatorie che individuavano il by-pass per l’accesso alle procedure di regolarizzazione sulla prova della presenza del migrante nel territorio italiano in un dato arco temporale, è solo ed esclusivamente il rapporto di lavoro che consente di “emergere” dalla clandestinità. A mio avviso, non si tratta di un elemento secondario considerato il passaggio culturale e politico che l’introduzione di un simile parametro normativo sottende : il territorio, come categoria “geografica” si ridimensiona per lasciare il posto al territorio inteso principalmente come categoria “economica”, come spazio dell’impresa, delle relazioni di produzione, del mercato dove la forza lavoro migrante viene venduta ed acquistata. Solo ed esclusivamente la presenza all’interno di questo tipo di “territorio” dà diritto a “regolarizzarsi”, ad essere riconosciuti come soggetti che esistono da parte dell’ordinamento. Un riconoscimento che, d’altra parte, si qualifica immediatamente non come diritto, bensì come concessione di colui che controlla il territorio dell’impresa, ovverossia il datore di lavoro. Il riconoscimento della sussistenza del rapporto di lavoro, infatti, passa necessariamente attraverso un atto di volontà del datore di lavoro che è chiamato a certificare la sussistenza del rapporto attraverso la sua dichiarazione. In mancanza di tale dichiarazione, al lavoratore migrante non è data, almeno allo stato attuale, alcuna possibilità di dimostrare altrimenti il rapporto di lavoro : potrebbe, eventualmente, denunciare il datore di lavoro, ma ciò non gli consentirebbe, comunque, di accedere alle procedure di regolarizzazione. E’ facile immaginare i ricatti, le “tangenti” e le coercizioni che l’assoluta necessità della dichiarazione del datore di lavoro andrà a produrre.

LA SCATOLA CHIUSA DEI TRE MESI ANTECEDENTI

A differenza delle precedenti sanatorie, che prevedevano, tra i requisiti, un unico termine temporale, oltre il quale si perdeva il diritto di accedere alla sanatoria (la presenza in Italia entro una certa data), l’attuale normativa pone tra i requisiti per regolarizzarsi un doppio termine temporale : prevedere, infatti, la necessità di certificare la sussistenza di un rapporto di lavoro nei tre mesi antecedenti (all’entrata in vigore del decreto-legge, per i lavoratori irregolari, o della legge Bossi-Fini, per colf e badanti), significa escludere dalla possibilità di “emersione” non solo coloro che hanno instaurato il rapporto di lavoro dopo i fatidici tre mesi, ma anche tutti coloro che lo hanno instaurato prima dei tre mesi e che, pur avendo lavorato in nero magari per anni, si sono ritrovati disoccupati proprio in quel maledetto trimestre.
Inoltre, con circolare n°14 del 9 settembre, il Prefetto Anna Maria D’Ascenzo, responsabile del Dipartimento Immigrazione al Ministero dell’Interno, contrariamente a quanto affermato in precedenza, ha dato indicazioni affinchè prevalga un’interpretazione restrittiva circa il requisito dell’aver “…occupato nei tre mesi antecedenti… lavoratori” migranti : secondo la circolare, per conseguire la regolarizzazione, sarebbe necessario “certificare” la sussistenza del rapporto di lavoro per l’intero trimestre.

I MOTIVI OSTATIVI : LA PRESUNZIONE DI COLPEVOLEZZA.

Contrariamente ad alcune indiscrezioni, che lasciavano prefigurare una certa elasticità del decreto legge nei confronti di migranti già destinatari di provvedimenti di espulsione, il testo approvato al Consiglio dei Ministri del 6/9/2002, ripropone l’impostazione già emersa circa le procedure di regolarizzazione di colf e badanti : tutti i provvedimenti di espulsione saranno considerati motivi ostativi, ad eccezione di quelli adottati a seguito del mancato rinnovo del permesso di soggiorno e, quindi, relativi a migranti in precedenza regolarmente soggiornanti nel territorio italiano. Non potranno accedere alla sanatoria anche coloro che sono stati oggetto di un provvedimento restrittivo della libertà personale o che risultino denunciati per uno dei reati indicati negli artt.380 e 381 del codice di procedura penale. Il riferimento al parametro della “denuncia” anziché a quello della eventuale “condanna” capovolge il principio fondamentale di civiltà giuridica e di garanzia democratica sostanziato nella presunzione di innocenza dell’imputato : cosa ancora più grave, tra l’altro, se riferita ad uno spettro di reati, quelli indicati negli artt.380 e 381 del cpp, assolutamente ampio e comprensivo persino di reati perseguibili a querela di parte. E’ immaginabile un diritto che non ha alcuna forza di “resistenza” e che può essere precluso con il facile strumento della denuncia e della querela ? Che uso faranno le Questure di tale gratuita “opportunità”, considerato che anche le denunce successive all’entrata in vigore delle norme sulla regolarizzazione rientreranno tra i “motivi ostativi” ?

UN ANNO DOPO: IMPRONTE E VERIFICHE.

L’accoglimento dell’istanza di regolarizzazione darà luogo alla stipula presso le Prefetture (UTG) del relativo contratto di soggiorno. Diversamente da quanto inizialmente prefigurato dal ministro Maroni, il contratto di soggiorno potrà essere, oltrechè a tempo indeterminato, anche a tempo determinato, ma con durata non inferiore ad 1 anno. Anche il permesso di soggiorno rilasciato a seguito dell’istanza di regolarizzazione avrà la durata di 1 anno, al termine del quale dovrà essere rinnovato : in occasione del rinnovo verranno effettuati i rilievi foto-dattilo-scopici (impronte digitali) che, probabilmente, in questa prima fase di regolarizzazione, le Questure non sarebbero state in grado di gestire Il fatto che il contratto di lavoro a tempo determinato non possa essere di durata inferiore ad 1 anno, costituirà un ostacolo a molte regolarizzazioni, che potrebbero contare solo su contratti della durata di qualche mese ; inoltre, lo stesso contratto di 1 anno verrebbe a conclusione a cavallo del rinnovo del permesso di soggiorno, con tutte le conseguenti complicazioni sotto il profilo dei requisiti per conseguire il rinnovo. Secondo quanto previsto dall’art.1 del decreto legge, infatti, il permesso di soggiorno potrà essere rinnovato solo “…previo accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato di durata non inferiore a un anno”. Lo stesso articolo aggiunge che, ai fini del rinnovo, dovrà essere accertata “…la regolarità della posizione contributiva della manodopera occupata.” Tale ultimo inciso risulta poco chiaro sotto il profilo delle implicazioni : eventuali irregolarità contributive commesse dal datore di lavoro verrebbero “pagate” dal lavoratore con il mancato rinnovo del titolo di soggiorno ? Inoltre, poiché secondo le nuove disposizioni sull’immigrazione il permesso di soggiorno non potrà essere rinnovato per un periodo superiore a quello iniziale, ad oggi si prospetta per i migranti eventualmente “regolarizzati” una lunga sequela di permessi annuali, per ognuno dei quali dovrà essere richiesto il rinnovo 60gg prima della scadenza, all’interno di un’infernale spirale di continui pellegrinaggi tra Questure e Prefetture.
Va, tra l’altro, rilevato che in nessuna parte dell’articolato, viene chiarito che cosa accade in caso di non accoglimento dell’istanza di regolarizzazione e, soprattutto, se a carico del lavoratore potrà essere da subito adottato il relativo provvedimento di espulsione.

UNA DIGRESSIONE : IL REATO DI SOLIDARIETA’

Prima di concludere queste brevi note di riflessione, mi concedo una rapida digressione. Circa due settimane fa siamo rimasti tutti colpiti dalla notizia dei pescatori di Porto Palo, che, rei di aver soccorso in alto mare un’imbarcazione con 127 immigrati, sono stati indagati dalla Procura di Modica per agevolazione dell’immigrazione clandestina. A tale proposito vorrei rilevare un aspetto delle nuove disposizioni sull’immigrazione che, ritengo, si stato scarsamente evidenziato nel dibattito critico che ha preceduto l’approvazione della L.189/2002.
Nella prima stesura del Disegno di Legge Bossi-Fini, le modifiche relative all’art.12 del T.U., che contiene le “Disposizioni contro le immigrazioni clandestine”, nel definire l’oggetto dell’attività repressiva dello Stato contro “l’immigrazione clandestina” manteneva inalterata l’espressione secondo cui “…è punito chiunque compie …attività dirette a favorire l’ingresso… degli stranieri in violazione delle disposizioni del presente Testo Unico”. In un secondo momento, però, il termine “attività” è stato sostituito con quello di “atti”, così come risulta chiaramente dal testo definitivo della L.189/2002. Risulta del tutto evidente la differenza che intercorre tra il concetto di “attività” e quello di “atti” : l’attività presuppone un elemento organizzativo, una qualche forma di continuità, una molteplicità di “atti” che si reiterano : in relazione al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina allude, in sintesi, ad una qualche forma di organizzazione dedita al traffico di esseri umani. L’ “atto”, al contrario, può essere un qualcosa di assolutamente occasionale, svincolato da strutture organizzative : l’ “atto” che “favorisce l’ingresso di stranieri” può esser un qualcosa di assolutamente semplice ed umano, come un atto di solidarietà, appunto.
Siamo già tutti potenziali “favoreggiatori”?

Avv. Paolo Cognini (Ancona)

Foro di Ancona.
Esperto in Diritto Penale e Diritto dell’immigrazione e dell’asilo, da sempre impegnato nella tutela dei diritti degli stranieri.

Socio ASGI, è stato docente in Diritto dell'immigrazione presso l'Università di Macerata.

Autore di pubblicazioni, formatore per enti pubblici e del privato sociale, referente della formazione del Progetto Melting Pot Europa.


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