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da Il Manifesto del 7 giugno 2003

Migranti truffati e poi sanati di Cinzia Gubbini

A Monfalcone in 14 ottengono il permesso di soggiorno nonostante il datore di lavoro fasullo

Una speranza per gli immigrati finiti nei gorghi della sanatoria arriva da Monfalcone. Quattordici stranieri – dieci bangladeshi e quattro senegalesi – hanno ottenuto il famoso permesso di soggiorno di sei mesi per attesa occupazione poiché erano stati truffati da un datore di lavoro fasullo. A quanto se ne sa, è la prima volta che una prefettura permette a un gruppo di immigrati di non ricadere nei meandri della clandestinità dopo essere stati beffati. Uno degli effetti più nefasti della regolarizzazione in corso, infatti, è che i migranti finiti in una trappola vengono espulsi (e il datore di lavoro, se rintracciabile, multato) senza alcuna possibilità di regolarizzarsi, nonostante siano ormai usciti allo scoperto e abbiano denunciato la propria posizione irregolare sul territorio italiano. E in questo caso si trattava di una trappola ben congegnata, come spesso capita di leggere nelle cronache post-regolarizzazione. A capire che qualcosa non andava nel territorio monfalconese, sono stati gli attivisti dello «Sportello degli invisibili», aperto da sei mesi nel centro di via Natisone a Monfalcone. Gli «Sportelli degli invisibili» sono una rete di supporto incentrata sui temi di migranti, lavoro e casa. Quelli di Monfalcone hanno iniziato a vederci strano dopo che un gruppo di bangladeshi si è presentato allo sportello perché avevano capito la truffa. Gli «invisibili» hanno fatto indagini, cercando di rintracciare tutte le persone coinvolte, raccogliendo informazioni. E’ venuto fuori uno scenario inquietante, sulle cui tracce era anche la polizia: le persone truffate erano cinquanta, la maggior parte ormai impossibile da rintracciare, assunti da un «impresario» conosciuto nella zona soprattutto dai migranti, perché lavorava in un ufficio che si occupa proprio dei loro diritti. Una persona, insomma, che ha usato il suo ruolo per convincere gli stranieri della sua buona fede. Gli ha promesso un lavoro, si è fatto dare parecchi soldi (dai 2 ai 4 mila euro) e poi ha cominciato a temporeggiare. Un gruppo di migranti, però, ha capito che di lavoro non ce n’era e si è messo in contatto con lo sportello. Grazie all’aiuto di un avvocato della zona è stata scelta una procedura azzeccata: gli immigrati si sono autolicenziati per «giusta causa», visto che non risultava alcun versamento presso l’Inps.

La vertenza, comunque, non è stata facile, come spiega Cristian, uno degli attivisti dello «Sportello degli invisibili»: «Parecchi ragazzi, all’inizio, non si fidavano. Abbiamo parlato a lungo con loro, per convincerli, per fargli capire dove stava la truffa. E’ stato prima di tutto un percorso politico, e solo dopo legale». Il licenziamento è stato formalizzato presso la prefettura di Gorizia, che ha deciso di concedere ai quattordici migranti (solo per uno è ancora in forse, ma pare che le cose si stiano appianando) un permesso di soggiorno di sei mesi per ricerca di lavoro. Ora potranno farsi assumere legalmente da un datore di lavoro, e regolarizzare la loro posizione in Italia.

Una storia finita bene che però porta alla luce come una gestione prettamente «economicista» del fenomeno migratorio, vera faccia della Bossi-Fini, crei tensioni all’interno dei territori. Come non pensare, ad esempio, alla «caccia allo straniero» messa in atto dalla polizia di Caserta nell’ambito dell’operazione «Alto impatto» (un nome, un programma) contro cui da quattro giorni stanno protestando quattro frati comboniani? I missionari si sono incatenati alla finestra dell’edificio che ospita prefettura e questura di Caserta, e il loro presidio si è trasformato in una vera e propria «stazione» per tutti quelli che vogliono portare solidarietà e denunciare il comportamento della polizia nei confronti degli stranieri. Ieri, alle 17, è stata celebrata una messa a cui hanno partecipato parecchie persone. Francesco Nascimbeni, uno dei frati incatenati, ha ribadito che la protesta andrà avanti: «Chiediamo che a livello locale sia rivisto il metodo applicato nei confronti degli stranieri, soprattutto africani. Metodo che deriva direttamente da una legge sbagliata, la Bossi-Fini».