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Napoli, Castel Volturno e agropontino: tra pratiche virtuose, sfruttamento e condizioni di vita inaccettabili

Tredicesimo report degli attivisti di Overthefortress in viaggio nel sud Italia

Metà dicembre, si avvicina il freddo del Natale e anche la fine di questo viaggio.
Tra le sue ultime tappe il camper di #overthefortress si trova a Napoli, terza città d’Italia con diverse storie da conoscere e raccontare.

Sono quasi 500 le persone sbarcate qui alla fine di ottobre che hanno trovato una buona accoglienza e la solidarietà di centinaia di napoletani che sono arrivati al porto, ognuno portando con sé quel che poteva. Il Governo, l’ASL, la Regione e il Comune si sono adoperati al meglio per organizzare lo sbarco.

A bordo si trovavano diversi minori non accompagnati per i quali è intervenuta la polizia municipale con il nucleo Tutela minori. I restanti migranti arrivati a Napoli non si sa dove siano, ma possiamo immaginare che molti siano stati inseriti nei CAS presenti in provincia, dei quali ci parla Antonio Musella, attivista e reporter: “Purtroppo anche a Napoli si presenta la stessa situazione che avete incontrato nel vostro viaggio”. E’ il caso del “Di Francia Park”, un ristorante per cerimonie nei pressi di Napoli che nel 2015 si è trasformato in un centro d’accoglienza. Non è un albergo eppure ci vivevano 350 migranti, dormivano sui materassi buttati a terra e non ricevevano nient’altro che cibo in scatola. In seguito ad un’inchiesta di Fanpage.it (video-inchiesta) il centro è stato chiuso e la struttura posta sotto sequestro.

Lo stesso si può dire di un centro d’accoglienza situato in via Salita Capodimonte (video-inchiesta), il quale riceve ogni mese 60.000 euro dalla Prefettura e, facendo due calcoli approssimativi, ne spende meno di 10.000. Basti pensare che il numero degli operatori assunti è inferiore agli standard legislativi, non viene effettuata ne assistenza sanitaria ne legale e non ci sono insegnanti per i corsi di lingua. Considerando il fatto che queste persone non ricevono vestiti o calzature è chiaro che il guadagno per le cooperative è alto e facile.

All’interno del comune di Napoli abbiamo anche visitato il centro SPRAR dell’Associazione LESS, un’esperienza virtuosa di accoglienza; abbiamo incontrato gli operatori e abbiamo visitato una delle loro sedi.

Dispongono di circa 130 posti divisi in diverse strutture nel centro di Napoli, tra le quali un appartamento con 12 posti dedicato esclusivamente alle donne vittime di tratta: al momento ci vivono 12 ragazze nigeriane. Un’accoglienza diffusa quindi che facilita l’integrazione sociale e culturale dei migranti.

Tra i loro progetti troviamo l’istruzione, la formazione e l’inserimento lavorativo, portati avanti attraverso le idee degli operatori e dei migranti stessi. “LESS si propone di agire contro l’esclusione e la marginalità sociale, per la promozione della cittadinanza attiva e il pieno riconoscimento delle identità migranti”, ci dice Simona Talamo, coordinatrice del progetto SPRAR di Napoli. “Quest’anno abbiamo realizzato, insieme ai nostri ospiti, dei laboratori di fotografia, teatro e danza”.
LESS non lavora solo con i migranti presenti nelle proprie strutture, ma apre le porte di casa a tutti. Due volte a settimana infatti viene offerto alla cittadinanza napoletana uno sportello legale e socio-sanitario per dare a chi ne ha bisogno assistenza e orientamento, strumenti volti alla costruzione di autonomia e autogestione.

Prima di lasciare Napoli facciamo una breve visita all’ex OPG occupato “Je so’ pazzo”, un centro sociale allestito all’interno di un ex ospedale psichiatrico nel cuore del quartiere Materdei, un luogo a disposizione di chiunque abbia voglia di mettersi in gioco e cambiare le cose. Da alcuni anni hanno avviato percorsi e servizi per i migranti che arrivano a Napoli e per quelli che già ci risiedono: scuola d’italiano, sportello legale, ambulatorio popolare e un attento monitoraggio di quello che accade nei centri d’accoglienza a Napoli e provincia.

Ricominciamo quindi a muoverci, attraversando velocemente le ultime tappe prima di quella conclusiva del viaggio, ma non senza venire colpiti dalle realtà che incrociamo. Salendo verso Nord infatti giungiamo a Castel Volturno, un paese fortemente investito dalle migrazioni ma anche dalle organizzazioni criminali. Si parla di camorra ma non solo: le mafie nigeriane controllano parte della zona. Ma visitando questi luoghi, non è difficile capire come mai Castel Volturno sia così profondamente corrotto. Un’intera zona della città, visitata di giorno, sembra un villaggio fantasma. Terribilmente simile a i villaggi abbandonati tipici dei film western. File di villette e casupole dall’aria abbandonata. Solo dei panni stesi fuori o un lucchetto all’entrata indicano che sono ancora abitate.

Visitiamo la moschea, su uno di questi vialoni e incontriamo uno dei due imam di Castel Volturno. E’ un ragazzo giovane, 28 anni, e viene dal Togo. Ci invita nella piccola stanza coperta di tappetti verdi e qualche simbolo religioso.

Ci sediamo per terra e ci facciamo raccontare quella realtà che conosce bene: è da 8 anni in quella città. I numeri che ci fornisce sono diversi da quelli ufficiali, ma lui non se ne stupisce, sa che in tantissimi eludono i censimenti. Vi sono circa 20.000 italiani nel paese, e ufficialmente circa 5.000 migranti. Ma secondo il nostro ospite ve ne sono spesso più di 10.000, in estate anche di più. Si parla quindi di circa il 50% della popolazione. Anche qui il numero varia con la stagione, e quindi con il lavoro nei campi. Tantissimi giungono qui solo in estate, poiché si trova un po’ di lavoro nei campi di pomodoro, per poi ripartire con l’inizio dell’inverno. Ma tanti altri sono stabili, e si arrangiano come possono.

Non è facile, in tanti non hanno i documenti né per lavorare né per affittare una casa. Chi non li ha si deve affidare a qualcuno che firmi il contratto per lui, arrivando a pagare anche 350 euro per un appartamento diroccato. La provenienza è quasi completamente dall’Africa sub-sahariana. Non mancano i fenomeni di razzismo e xenofobia. Abbiamo chiesto se la presenza di una moschea abbia mai infastidito qualcuno o creato problemi, ma l’imam risponde con un no molto deciso. Sono sempre andati d’accordo con la chiesa e con tutti i migranti, a prescindere dalla provenienza o dalla religione. Quello che però conferma è che ci sono dei gruppi di razzisti che attaccano gli africani poiché stranieri. Proprio pochi giorni prima mentre era in bicicletta un macchina aveva rallentato per insultarlo e tirargli contro una bottiglia d’acqua.

Lo salutiamo e ci rimettiamo in viaggio. Tornati sul campo ragioniamo che queste ultime tappe sono forse più difficili da inquadrare del solito. Napoli come metropoli dalle mille sfaccettature, Castel Volturno come città dall’aria apparentemente deserta ma allo stesso tempo densa di occhi e di attività sotterranee.

Arriviamo a Formia, dove la Cooperativa Alternata SI.Lo.S ha organizzato un evento, un incontro con gli attivisti locali. Incontriamo l’Associazione Libera, la quale cerca di raccontare un’altra realtà quotidiana che investe gli invisibili dell’agro- pontino. Una premessa: Libera ha invitato esperti del fenomeno i quali, purtroppo, sono stati invitati dalla Questura di Latina a non partecipare più ad eventi nella zona pontina, per salvaguardare la loro incolumità (gli stessi sono stati vittime di minacce ed attentati contro la propria persona). Sul territorio sono presenti richiedenti asilo, accolti in CAS o SPRAR, ma anche molti invisibili costretti a vivere in condizioni di schiavitù per pochi euro al mese. Lo SPRAR di Itri, gestito interamente dal Comune di Itri stesso, ha lavorato per tre anni riuscendo a fare un buon lavoro di integrazione dei migranti (massimo 25 posti di accoglienza diffusa), lavoro che si è complicato notevolmente quando la prefettura di Latina, su un territorio di 11mila abitanti, dei quali 2mila romeni, in soli sei mesi, ha permesso che una cooperativa locale portasse il numero intorno ai 200 migranti.

Annibale Mansillo, referente locale di Libera ci ha raccontato le pessime situazioni di vita e di lavoro degli indiani sikh, dei pakistani e dei bengalesi presenti nel territorio dell’agropontino; territorio fortemente infiltrato dalla camorra, perché se è vero che la camorra ha permesso che posti come Castel Volturno diventassero una zona d’ombra, fitta di prostituzione e spaccio di droga, nell’agropontino ricicla il denaro e fa sì che la zona stessa sia pienamente vivibile, per i loro stessi interessi. Parliamo di caporalato, ma di un vero e proprio business della schiavitù degli esseri umani.

Il migrante, dopo aver pagato una cospicua tangente (10.000, 15.000 €) all’ambasciata/consolato italiano presente nel suo paese, è messo in contatto con un’azienda agricola, la quale lo invita a venire in Italia con un regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale. Il migrante è, dunque, invitato in Prefettura, allo Sportello Unico per l’Immigrazione, a firmare regolare contratto di lavoro. La Prefettura si preoccupa anche di raccogliere le idoneità alloggiative rilasciate dall’ufficio tecnico del comune e non si preoccupa di verificare se nello stesso appartamento siano indicate 10 o 20 persone.

Il migrante è costretto a lavorare dalle 13 alle 15 ore al giorno (sovente anche di notte per evitare i controlli), è pagato una media di 200/300€ al mese, poiché sono detratti il vitto e l’alloggio nelle baracche adibite ad ospitarli. Il suo passaporto è requisito dal datore di lavoro, per cui è costretto a vedere negati tutti i propri diritti. Il migrante, dopo tutte queste violenze, viene drogato dal datore di lavoro: anfetamina e cocaina, affinché produca di più nel lavoro. Gli effetti della tossicodipendenza si ripercuotono fortemente anche sulla loro condizione sociale; i sikh sono molto coesi e un tossicodipendente è immediatamente allontanato e ghettizzato dalla loro comunità. Ed ecco che, come accaduto alcuni mesi fa, si tenta e si trova il suicidio.

L’agropontino, un territorio ingannevole, perché le persone non vogliono parlare di camorra. Se ne parla solo laddove si rende evidente attraverso il degrado, ma non se ne riesce a parlare dove tutto luccica ed il Natale è più bello. In un territorio compreso in 100 km abbiamo incontrato dinamiche molto diverse, Castel Volturno ed il suo disagio visibile, l’agropontino ed il suo disagio invisibile. Le condizioni di vita dei migranti, in entrambi i casi, non sono accettabili e la brutalità che si cela dietro ad un imprenditore che droga i propri dipendenti, come bestie che in termini di scommesse rendono molti soldi, non è definibile.

Tommaso Gandini, Stefano Danieli e Sabrina Yousfi, attivisti di #overthefortress

Tommaso Gandini

Racconto migranti e migrazioni dal 2016, principalmente tramite reportage multimediali. Fra i tanti, ho attraversato e narrato lo sgombero del campo di Idomeni, il confine del Brennero, gli hotspot e i campi di lavoro nel Sud Italia. Nel 2017 ero imbarcato sulla nave Iuventa proprio mentre veniva sequestrata dalla polizia italiana. Da allora mi sono occupato principalmente del caso legale e di criminalizzazione della solidarietà.