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Naufragio di migranti nel Mediterraneo

Il silenzio colpevole in Africa

Il triste record dei 4.000 migranti morti annegati annunciato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni alla fine del 2014 rischia di essere superato visto il moltiplicarsi delle catastrofi nel corso dei mesi nel mar Mediterraneo. L’entità dei drammi sembra non faccia cambiare le politiche in Africa che, a più di un titolo, sono anch’esse responsabili al pari delle loro omologhe europee dell’ecatombe umanitaria nel Mediterraneo.

L‘inerzia dei governi e dell’Unione africana da quindici anni davanti ai naufragi dei migranti e ai drammi nei deserti nasconde una colpevolezza più che manifesta.

Colpevoli di non rispettare mai le promesse fatte alle popolazioni che credono ancora nell’avverarsi di una giustizia sociale sul continente. Colpevoli di andare incontro alle istituzioni democratiche e alle leggi fondamentali per garantire degli interessi dinastici nelle repubbliche delle banane. Colpevoli di fare il gioco degli investitori cinesi e occidentali, predatori di risorse minerarie a detrimento della natura e dei popoli che vivono sulle terre sfruttate. Colpevoli di creare conflitti, decimando innocenti e costringendo all’esilio tutti quei popoli feriti nel corpo e nella loro dignità. Colpevoli infine della loro incapacità all’interno delle istituzioni regionali e continentali nel regolare i conflitti e affrontare le numerose sfide alle quali l’Africa è confrontata.

L’ingiustizia ha sempre un costo umano difficile da tacere quando assume delle dimensioni drammatiche. Ripiegarsi dietro un silenzio colpevole per non riconoscere le proprie responsabilità è una vigliaccheria che le società civili africane devono denunciare.

Il turbamento emotivo delle popolazioni, che provano vergogna e compassione guardando le immagini diffuse dai media occidentali, deve superare l’espressione passiva per trasformarsi in un’interpretazione attiva dei “rappresentanti dei popoli” affinché lo stato di sopravvivenza si traduca in una migliore vita per tutti. I figli africani pianti nei mari e nei deserti non domandavano che un minimo rispetto del loro diritto alla vita. I loro genitori vedendoli partire potevano avere il rimpianto di aver fallito nel fornire ai loro figli una vita migliore, quello che ogni genitore spera per il proprio figlio.

In un continente in cui la sopravvivenza giornaliera è una misericordia divina, non si può accusare questi genitori di lasciar partire i loro prossimi verso nuovi orizzonti con la speranza di un futuro migliore. Per molti questa speranza resta ancora l’Europa che nell’immaginario delle popolazioni è una terra ospitale.

Aspettando che un nuovo spazio nasca per assorbire questa flotta umana in pericolo, ci si può ripiegare sui cuori ancora solidali che vedono nell’altro, non un approfittatore della sicurezza sociale, ma prima di tutto un uomo.