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da La Repubblica del 28 ottobre 2005

Olanda, rogo all´aeroporto muoiono undici immigrati

ANAIS GINORI

AMSTERDAM – La faccia stravolta di Frank, un pompiere volontario della cittadina di Haarleemeneer, dice già molto dell´orrore. Mercoledì notte è stato fra i primi ad arrivare al centro di detenzione per immigrati di Schiphol, a pochi chilometri dal grande aeroporto. Il fuoco è scoppiato prima di mezzanotte ma per almeno un´ora nessuno ha potuto avvicinarsi all´edificio, le fiamme erano altissime. «Quando finalmente siamo entrati non c´era più nessun superstite», racconta il giovane vigile del fuoco. Frank ha potuto soltanto recuperare i cadaveri di sei persone. «C´era una donna asiatica con il suo bambino, morti abbracciati, soffocati dal fumo» ricorda. «Accanto, in un´altra cella – continua – abbiamo trovato un uomo con la testa in un frigorifero, l´ultimo tentativo per respirare. Sono finiti come topi in gabbia».

Un rogo potente e rapido che non ha lasciato speranza. Il bilancio definitivo è di undici vittime e quindici feriti, tra cui sei poliziotti. «Un disastro di portata eccezionale», ammette Jan Peter Balkenede, il primo ministro del governo di centrodestra che ha promesso un´inchiesta sulle cause dell´incendio. Tutte le vittime sono «persone che non avevano i documenti in regola», ha aggiunto il ministro della Giustizia Piet, Hein Donner. Erano a Schiphol in attesa di essere rimpatriati.
I pompieri sono riusciti a spegnere le ultime fiamme quando già cominciava ad albeggiare. Un´intera ala è andata distrutta, il tetto è crollato. Il centro, un casermone di alluminio che le associazioni umanitarie chiamano «baracca», ospitava 350 detenuti, il massimo consentito. Molti clandestini che sono riusciti a salvarsi hanno poi tentato di scappare. Nella notte uomini delle forze dell´ordine, aiutati da elicotteri, davano la caccia a cinque fuggiaschi.
Per l´Olanda è un nuovo choc, dopo l´omicidio dei Pim Fortuyn, il deputato accusato di xenofobia morto nel 2002, e quello del regista Theo van Gogh, ucciso un anno fa da un fanatico islamico.

Ancora una volta, il paese della tolleranza e delle libertà si specchia e vede un´immagine diversa da quella che conosceva. «Non abbiamo ancora elementi per dire cosa ha causato l´incendio» ha spiegato Donner. Ma secondo le testimonianze dei pompieri, il focolaio sarebbe partito da una cella. «E´ probabile che sia stato appiccato da un detenuto» aggiunge un investigatore. Per protestare contro le condizioni di detenzione? Nel disperato tentativo di scappare? Non è ancora chiaro. Di sicuro le fiamme si sono alzate rapidamente, senza trovare ostacoli né resistenza. I sistemi anti-incendio non hanno funzionato. «Abbiamo trovato gli estintori ancora al loro posto», dice Frank. Le porte automatiche delle celle non erano programmate per aprirsi in caso di incendio. «Appena è arrivato il fumo abbiamo urlato. Ci siamo sgolati a chiedere aiuto ma le guardie ci chiedevano di rimanere tranquilli», ha raccontato un sopravvissuto alla radio pubblica.

Il ritardo dei soccorsi, insieme alla mancanza di sistemi di sicurezza del centro, saranno al centro del dibattito alla Camera che è stato chiesto dai partiti dell´opposizione. «E´ stato fatto tutto il possibile», assicura invece il ministro dell´Immigrazione Rita Verdonk. È lei l´autrice della svolta più severa sui rimpatri di immigrati clandestini: nei prossimi tre anni, ha annunciato il ministro soprannominata anche “Iron Rita” (Rita di ferro), saranno espulsi 26mila richiedenti d´asilo. Il centro di detenzione di Schiphol è stato costruito in fretta e furia nel 2002 per rimpatriare i numerosi corrieri della droga fermati all´aeroporto. Velocemente, con l´inasprimento delle politiche di accoglienza, nel centro sono finiti anche gli immigrati clandestini.

Il traffico aereo nel quarto scalo d´Europa non è stato minimamente disturbato. Mohammed Yagoubi, un giovane marocchino, è venuto al centro di detenzione a cercare un suo amico. «L´avevano fermato lunedì. Forse era qui dentro». La “baracca”, ormai vuota, è inavvicinabile. I poliziotti non danno informazioni a nessuno. Le autorità non hanno ancora dati sulla nazionalità dei morti e dei feriti. Il portavoce della procura, Martin Bruinsma, ha spiegato che prima di dare un nome ai cadaveri «ci vorrà tempo». Alcuni corpi sono carbonizzati. «E poi – aggiunge Bruinsma – erano tutte persone senza documenti».