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da il Manifesto del 12 agosto 2006

Padova – “Via il muro o lo tiriamo giù”

Razzismo-stop e gli abitanti di via Anelli si ribellano contro la recinzione voluta dal Comune

E’ diventato un simbolo che parla di segregazione, e come tale va abbattuto. Il muro di acciaio costruito in un pomeriggio dall’amministrazione di centrosinistra a Padova, con l’obiettivo di fermare gli spacciatori dopo la rissa del 26 luglio, ha già una data di scadenza. Le associazioni che da anni si occupano del «caso» di via Anelli ieri hanno annunciato che se il Comune non lo smantellerà entro settembre ci penseranno loro «dal basso». «Quel muro è assurto a simbolo di tutto ciò che non possiamo accettare. Quindi: o se ne sbarazza il Comune o lo faremo noi», promette Claudia Vatteroni di Razzismo Stop.
Proprio l’associazione padovana, durante la costruzione del muro, invitava a evitare cagnare agostane e a occuparsi piuttosto della militarizzazione crescente intorno al quartiere, a partire dai check point sorti dieci giorni fa per controllare l’accesso al complesso abitativo Serenissima. Ma ormai quei settanta metri per tre di acciaio sono diventati la faccia impresentabile della strategia adottata dalla giunta del diessino Flavio Zanonato. Secondo la quale il primo, imprescindibile obiettivo è che gli abitanti del quartiere «percepiscano la sicurezza». All’uopo sono stati stanziati 250 mila euro sonanti per recinzioni, polizia e telecamere. Dopo, solo dopo, si può proseguire con il progetto di svuotare il ghetto, chiudendo le ultime tre palazzine rimaste. Nel giro di un anno, assicura il Comune.
Secondo le associazioni bisognerebbe fare esattamente il contrario: «Il Comune la deve finire di pensare che i problemi si risolvono con i gesti eclatanti – insiste Vatteroni – questa è una logica di destra e populista. Quello che è successo a via Anelli è il risultato di dieci anni di immobilismo. Sono stati proprio gli immigrati, insieme alle associazioni, a dire che quel complesso andava chiuso, che andavano cercate soluzioni abitative vivibili. Ci dicevano che eravamo pazzi. Poi siamo riusciti a fare approvare un piano, ma tutto va a rilento. Finora sono state chiuse tre palazzine, ma il resto? Ora basta, o chiudono le altre tre palazzine entro dicembre, e lo possono fare, oppure ricominciamo con i vecchi metodi, a partire dall’occupazione delle case».
Ieri mattina sui lastroni di acciaio grezzo sono apparsi cartelli contro «il muro della vergogna». Uno dice «Stop the wall», mutuando la parola d’ordine internazionale contro il muro costruito da Israele nei territori palestinesi. «Dalle nostre case non riusciamo a vedere più fuori. E nessuno può vedere più dentro. E’ come un carcere. Che soluzione è questa qui?», denuncia Jerry, il nigeriano più famoso di via Anelli perché è uno che riesce a farsi ascoltare un po’ da tutti, nigeriani, senegalesi e magrebini, tanto da guadagnarsi il titolo di «sindaco». «Da dieci giorni per entrare nelle nostre case dobbiamo far vedere i documenti alla polizia – continua Jerry – la gente ha paura e tanti non tornano a dormire a casa. Le persone mi chiamano per dire che solo io posso fare la pace. Ma adesso sono tutti nervosi e tutto è più difficile».
L’operazione «percezione della sicurezza», a quanto pare, non ha fatto che aumentare la percezione dell’ingiustizia per gli immigrati che abitano le tre palazzine, e che non sopportano certo meglio lo smercio di droga sotto casa rispetto ai padovani doc. Per il sindaco diessino, che continua a dire di aver innalzato il muro «controvoglia», l’accerchiamento di via Anelli è una sorta di male necessario.
Ma più sindaco e assessori cercano di buttare acqua sul fuoco («quale muro?») più l’inesorabile meccanismo del simbolico li stritola, con i giornalisti che arrivano da tutta Europa per vedere il nuovo «muro di Berlino». «I signori della politica lo sanno benissimo quanto contano i gesti e le parole. Qual è il messaggio che evoca quel muro? Il mondo già conosce le conseguenze di chi evoca l’Apocalisse». La lezione di semiotica arriva da Luca Casarini che adesso è in vacanza ma, nonostante il suo foglio di via da Padova, promette di esserci a settembre per buttare giù il muro: «La loro è una logica aberrante ed è sacrosanto che le persone prendano in mano il destino delle proprie città per renderle posti possibili, vivibili. Il Comune non fa altro che mettere in campo una recita securitaria – dice Casarini – con la polizia che blocca l’accesso a chi non mostra i tratti somatici giusti. E’ una scelta culturale miope che produce disastri. L’unica soluzione è dare case a tutti e abbattere quei palazzi, monumento alla speculazione edilizia».
E quando il Comune si deciderà a chiudere tutti gli appartamenti proprio con gli speculatori dovrà fare i conti. Quegli italianissimi proprietari che finora hanno affittato loculi di 28 metri quadri e ora ricorrono al Tar contro la chiusura della loro proprietà privata.
di Cinzia Gubbini