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Paesi Bassi – I rifugiati di Amsterdam tra sgomberi e ignoranza della politica

La settimana scorsa è avvenuto l’ennesimo sgombero di migranti nella periferia di Amsterdam. Parte dei rifugiati del collettivo Wij Zijn Hier, un centinaio in tutto, sono stati costretti a lasciare il Vluchtgebouw, “l’edifico volante” come lo avevano chiamato: un palazzo sfitto che la gentrificazione dei quartieri occidentali presto trasformerà in catene di appartamenti molto simili e molto costosi.

La uitzetting, come la chiamano qui, era da tempo concordata e si è svolta nel silenzio stanco dei migranti, impegnati a ripulire gli uffici attrezzati a camere nei quali hanno vissuto durante gli ultimi mesi. Nonostante la calma dello sgombero e della successiva manifestazione, tuttavia, la giornata si è conclusa con arresti e manganellate da parte delle forze dell’ordine.

Quando alcuni membri del collettivo si sono avvicinati alla sede del municipio, infatti, il sindaco della città Van der Laan, impegnato a preservare l’atmosfera turistica della capitale, non ha esitato a ordinare la dispersione violenta dei richiedenti asilo, scatenando una serie di fermi e il ferimento di alcuni manifestanti.

Del resto i richiedenti asilo di Wij Zijn Hier, di cui avevamo già parlato, sono oramai una presenza inquietante per le camere del potere cittadino e il governo sembra trattare con questo gruppo di sans-papiers soltanto a mezzo di sgomberi e repressione. E questo perché la portata del caso è oramai nazionale e attorno ad essa gravitano sia la tenuta della coalizione di governo (il cui terzo partito è guidato dal razzista islamofobo Geert Wilders) che il consenso agli stessi partiti politici.

Lo stato temporeggia dunque, arrestando un poco alla volta gli elementi più scomodi del gruppo e sperando di stroncare l’insorgenza sempre più marcata di questo popolo dell’abisso. Per contro la rabbia degli esclusi matura con costanza e ad ogni tentativo di repressione, come testimoniano le parole di un rifugiato:

«Vengo dalla Costa d’Avorio. Il governo sa che sono un rifugiato e che sono malato, ma i documenti non arrivano. Così mi tocca sopravvivere in un modo o nell’altro. Questo stato non mi vuole e io non posso fare nulla. Nemmeno andarmene. E questa Europa porta guerra e armi nei nostri paesi e poi ci chiude le porte in faccia. Allora succede che io mi trovi qui, assieme ai miei fratelli e anche a chi non ci vuole. Perché siamo tutti qui, sul pianeta terra, e questa è terra per tutti. Così io non riconosco chi prova a dirmi che non posso starci».

Parole molto diverse da quelle della Ministra allo Sviluppo e alla Cooperazione Lilianne Ploumen, che ha fatto sapere come il governo olandese contribuirà al “contenimento dei flussi migratori” con un programma di investimenti da 50 milioni di euro (le cui specifiche non è dato sapere) in Senegal, Ghana e Tunisia. Aggiungendo poi: «Chi rischia la vita per venire in Europa non è solo disperato. Ha anche fegato e ambizione. Dobbiamo assicurarci che questa stessa persona li usi per costruirsi una vita nel proprio paese. Perché il paradiso che cerca qui non esiste. Quelli che non affogano durante il viaggio troppo spesso diventano illegali e si aggirano per le spiagge di Spagna e Italia vendendo occhiali da sole che nessuno vuole».

Appare chiaro come quella del politico e quella del rifugiato siano due visioni antitetiche del mondo. Le parole strafottenti della Ministra sono infatti il prodotto di un substrato razzista e ignorante, piuttosto diffuso nella sfera pubblica, che riflette l’ignavia governativa nei confronti di una crisi umanitaria come quella dei flussi migratori mediterranei. Le affermazioni della Ploumen riflettono, tra l’altro, le politiche emergenziali che i Paesi Bassi stanno implementando in materia: dalla moltiplicazione dei finanziamenti a Frontex, all’investimento di ingenti capitali per il rimpatrio volontario dei rifugiati.

Ma né la retorica tossica del “aiutiamoli a casa loro” né la militarizzazione delle frontiere toccheranno i richiedenti asilo senza asilo di Amsterdam. Tanto meno si potrà convincere queste persone a tornare in paesi (Somalia, Eritrea, Libia e Sudan, Iraq…) che lo stesso Ministero degli Esteri ha dichiarato off-limits per i vacanzieri olandesi.

Di qui la totale insipienza della politica alle prese con l’inceppamento burocratico, rifugiati respinti sebbene irrespingibili, e con la questione antieconomica, nel mercato elettorale, dei migranti cosiddetti irregolari. Ma politici, grandi media e cittadini disinteressati saranno prima o poi costretti a misurarsi con i confini della bolla nella quale hanno vissuto fin’ora: i flussi migratori del Mediterraneo non si potranno ignorare, non si conterranno con agenzie alla Frontex né si fermeranno con qualche spicciolo impiegato “per permettere agli africani di avere fegato e ambizione in Africa”.

Piaccia o meno alle classi dirigenti di paesi come l’Olanda, i tempi dell’egoismo neo-imperialista e del buonismo postcoloniale sono finiti. Nel frattempo, ai richiedenti asilo di Wij Zijn Hier rimangono le briciole dell’assistenzialismo privato e la speranza che un pezzo di carta certifichi loro una qualche identità formale. Una grande conquista per la democrazia europea che metteva nero su bianco proprio ad Amsterdam, nel Trattato del 1997, l’impegno comunitario per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.