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Reportage

Parigi, Saint-Denis: 24 ore con i migranti all’università Parigi 8

Ferial Latreche e Kab Niang, Bondy Blog (Libération) - 12 febbraio 2018

Gli studenti di Paris 8, non hanno memoria di via della Libertà a Saint-Denis, che dà direttamente sull’Università, così silenziosa. Di solito, delle onde di studenti entrano ed escono in un bel brusio, ma questo venerdì 9 febbraio sembra essere diverso.

Parigi 8 che solitamente brulica di studenti ha chiuso le sue porte da giovedì 8 alle 15 (riaperte da questo lunedì) a causa di un guasto dell’impianto di riscaldamento, secondo quanto annunciato dall’Università. I cancelli lasciano intravedere cinque agenti della sicurezza che assicurano la guardia/sorveglianza. Stanno in piedi e non comunicano più di tanto. Arrivano due poliziotti in divisa, uno con una mascherina tirata fino al naso. Scambiano qualche parola con gli agenti di sicurezza.

Ognuno ha la sua strategia per entrare nell’istituto che è diventato quasi una fortezza. Ci si scambia qualche indicazione per telefono: passare sotto un’inferriata e strisciare direttamente a contatto con la neve. L’entrata della palazzina A, che accoglie i migranti, è orlata da striscioni in arabo e francese. Si può leggere: “Edificio occupato, solidarietà con gli esiliati”. Disegni e cartelloni ricoprono i muri d’ingresso. La pittura bianca sta sparendo pian piano per lasciare posto alla vita, alle parole, all’azione. Gli spazi sono separati su due livelli: il piano basso raggruppa gli spazi comuni come la cucina, la sala “giochi”, il punto-acqua ed il polo comunicazione del movimento. Il piano alto, le aule 381, 382 e 383 trasformate in dormitori, di cui uno femminile.

“Oggi è come una domenica tranquilla”
Al primo piano, gli sguardi sono quelli di chi si è appena svegliato. In cucina non c’è molta gente. Qualche volontario del collettivo di sostegno prepara da mangiare. Nel menu di oggi: couscous alle verdure.

Alcuni sono andati a dormire alle 2 dopo la riunione di ieri. Oggi è un po’ come una domenica tranquilla”, racconta Lina, una volontaria. Nel polo comunicazione, qualche computer è acceso, ma non è ancora il momento del RUSH per gli studenti impegnati. “Continuiamo a lanciare appelli a fare donazioni, facciamo le liste delle cose di cui i migranti hanno bisogno in priorità”, ci dice una di loro.

L’aula dedicata al polo comunicazione serve anche come deposito per i vestiti e i prodotti d’igiene. Scarpe, giacche, maglioni, rasoi per capelli, gel doccia, dentifricio sono conservati qui.

Prima buona notizia della mattinata: il dipartimento di danza ha aperto le sue docce agli occupanti. Delle docce che erano state accessibili durante i primi giorni d’insediamento a Parigi 8, sono state chiuse dalla presidenza. Ogni piccolo “confort” negoziato è un dono.

Photo credit: Elsa Goudenège
Photo credit: Elsa Goudenège


“Siamo diventati come una famiglia”

Pian piano i migranti, da soli o in gruppo, arrivano al polo comunicazione. Pescano timidamente tra le cose messe a disposizione. Poi fanno la fila per andarsi a fare la doccia. In alto risuonano delle voci, la situazione sembra essere animata. In mezzo a quelle voci, c’è quella di Said. Il giovane etiope ha vissuto a Calais. Lui sa che cos’è la miseria. E’ lui che ci tende la mano e ci fa salire nei dormitori. Raggruppati secondo la provenienza, sudanesi, ivoriani, guineani condividono le aule messe a loro disposizione. Tra di loro anche qualche persona del Ciad ed un marocchino. Nelle camere si discute, si ride, si ascolta musica, si balla.

Qualcuno dorme ancora mentre altri preparano da mangiare in corridoio su una piastra riscaldata e sistemata per l’occasione. Said fa le presentazioni. Quando il pasto è pronto si siedono tutti in corridoio. “Buon appetito! In Etiopia, è tradizione dare da mangiare allo straniero. E’ una dimostrazione della nostra relazione. Se ti do da mangiare una volta, vuol dire che ci siamo arrabbiati. Se ti do da mangiare due volte, allora vuol dire che siamo amici!

“Tra il riposo e i giochi, dimenticare le paure”

Sono le 4 del pomeriggio nell’edificio A. I turni per la doccia non sono finiti. Nell’attesa, alcuni aspettano in una delle aule di danza trasformate in campo da gioco. “Questi giovani non hanno solo bisogno di un aiuto materiale. Bisogna anche giocare con loro, hanno bisogno di farsi degli amici”, dice Karine, studentessa di Paris 8 e volontaria. Alle 18, i ragazzi si tagliano i capelli e si fanno la barba nei corridoi dei dormitori. “Mi faccio bello per voi”, lancia Said in una grande risata.

Ma dietro alle risate, c’è della preoccupazione. La presidenza dell’Università sta tentando di sgomberare i locali e ha proposto di trasferire i migranti in un altro spazio dell’Università, l’anfiteatro X. Il collettivo ed i migranti si rifiutano.

Siamo ad un braccio di ferro con la presidenza”, ci confida un giovane ventiseienne della Guinea. Anche se qui sono al caldo, queste condizioni di vita gli fanno venire in mente dei brutti ricordi. “Gli spazi che occupiamo ci vanno bene. Siamo scappati da prigioni come la Libia e lo spazio che ci proponete ci ricorda le prigioni in cui siamo stati”. Dal canto suo, la presidenza critica la mancanza di sforzi da parte del collettivo e si rammarica dell’impasse nella quale ci si trova. Una paura sembra essere condivisa da tutti: un’espulsione dettata dalle condizioni della procedura “Dublino”, il regolamento europeo che permette l’espulsione dei migranti verso il loro primo paese europeo d’entrata. “Una volta arrivati in Italia, ci hanno preso le impronte digitali con la forza. Abbiamo paura di dover ritornare laggiù. Abbiamo paura di Dublino”.

Per portare un po’ di buon umore, Said si mette un vestito nero e fa divertire i presenti. Mentre gli altri si fanno belli, altri ancora bevono un caffè nel bel mezzo del paesaggio innevato. “E’ la prima volta in vita mia che vedo la neve. E’ magnifico“, dice Lakram*, etiope. Per evadere un po’ qualcuno si è messo a giocare a scacchi, altri a carte.
E’ da un anno che vivo con l’angoscia continua a Porte de la Chapelle (nord di Parigi, n.d.t). Almeno qui stiamo bene. Riusciamo a dormire, possiamo lavarci, ridiamo con gli altri, senza che la polizia ci scacci come quando siamo per strada. Qui c’è una vita”, dice Moustapha*, un giovane ivoriano di 22 anni arrivato in Francia da un po’ più di un anno. “Siamo venuti in Francia per avere un futuro migliore, per proseguire gli studi e avere una bella vita”, racconta Etham, un giovane etiope di17 anni.

Ecco che cala la notte. Al primo piano, le musiche che risuonano dalle stanze variano da un dormitorio all’altro. In una delle aule un gruppo di 10 ragazzi gioca a dama, mentre un altro piccolo gruppo parla di calcio. Altri si connettono ai social network sui loro telefoni.
Il proprietario del ristorante dell’Università offre il pasto serale.
Sono le 22, l’ora di cena. Tutti si riuniscono nella grande stanza riservata alla cucina. Più di una cinquantina di persone sono sedute intorno alla tavola. Questa volta è il gestore del ristorante dell’Università che ha preparato una sessantina di panini con bottiglie d’acqua e succhi di frutta. Dalla tavola risuonano parole in francese, arabo, inglese ad altri dialetti che non avevamo ancora mai sentito qui. Poi Adam *, ventenne sudanese, si mette a suonare la chitarra per accompagnare la serata con dei canti nella sua lingua natale. “Questa canzone è dedicata a tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle morti nei deserto e sulle coste libiche”, dice con un nodo alla gola.

Risaliti nei dormitori, i migranti parlano con i loro amici e le loro famiglie fino a mezzanotte grazie alle diverse applicazioni : Whatsapp, Viber, Messenger, Armelle. Una volontaria sale per ricordargli la lezione di danza del giorno dopo alle 11. Dopo mezzanotte, tutto è calmo. I volontari si organizzano e si dividono in gruppi per assicurare la pulizia degli spazi. Tutto è pulito dopo pochi minuti. Un rapido resoconto della giornata prima di definire il programma del giorno dopo. I migranti si sono già addormentati. I più mattinieri si sveglieranno alle 6 per la prima preghiera, prima di una nuova lunga giornata con la speranza di non essere espulsi.

Ferial Latreche e Kab Niang
Photo credit: Elsa Goudenège, Amanda Jacquel, Fabrice Demierre