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Permesso di soggiorno speciale ai migranti che lavorano. La rivoluzione parte da Torino

Gabriele Martini, La Stampa - 8 luglio 2017

Torino diventa capofila nella sfida dell’accoglienza ai migranti rilasciando il permesso di soggiorno a chi ha un posto di lavoro. La svolta ha riguardato finora oltre trenta profughi, mentre altri venti sono in attesa che si concluda l’iter burocratico. È la prima volta che in Italia la protezione umanitaria viene concessa in modo così organico come coronamento di percorsi d’integrazione virtuosi.

Questa storia comincia quattro mesi fa. A inizio marzo cento aziende torinesi scrivono una lettera al prefetto Renato Saccone, alla sindaca Chiara Appendino e al governatore Sergio Chiamparino. Ristoratori, agricoltori, artigiani, commercianti e cooperative avanzano una richiesta precisa: «Metteteci nelle condizioni di assumere i migranti». Che significa: fornite a queste persone i documenti per poter restare in Italia legalmente. Nella lettera non c’è traccia di buonismo: «Questi ragazzi – si legge – hanno imparato un mestiere e sono diventati risorse fondamentali per le nostre imprese. Chiediamo solo di poter proseguire il percorso intrapreso». Un percorso che spesso viene interrotto dal diniego alle domande di asilo. Le commissioni territoriali e i tribunali chiamati a valutare le richieste di protezione, infatti, non prendono in considerazione la situazione lavorativa del migrante. L’Italia accoglie chi fugge da persecuzioni, torture o guerre. Non chi si è integrato e ha trovato un impiego.

La risposta delle istituzioni alla lettera delle imprese si è fatta attendere per qualche settimana, ma è arrivata. Con un’iniziativa senza precedenti il prefetto ha chiesto alla commissione territoriale di esaminare le nuove domande di protezione avanzate dai profughi alla luce della loro situazione attuale. «Abbiamo valutato ogni istanza reiterata. In tutti i casi la risposta alle esigenze produttive è stata accompagnata da una puntigliosa verifica dei presupposti giuridici», commenta Saccone. E così i primi trenta migranti, che si erano visti respingere le domande d’asilo, hanno ottenuto i documenti necessari per rimanere in Italia. Per tutti la formula scelta è stata quella della protezione umanitaria (la durata è due anni), una forma residuale per quanti non hanno diritto allo status di rifugiato.

I decreti della commissione territoriale motivano il rilascio dei permessi di soggiorno con il riconoscimento dei «percorsi di integrazione sociale attraverso gli inserimenti lavorativi». «Non è affatto una forzatura, tutto è avvenuto a norma di legge. Finalmente su questo tema si sta facendo strada un nuovo indirizzo giurisprudenziale», spiega Lorenzo Trucco, avvocato e presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.

Il cambio di passo di Torino finora è rimasto sotto traccia, ma si tratta di una decisione senza precedenti per quanto riguarda le politiche di accoglienza in Italia. Dietro la svolta voluta dal prefetto c’è il lavoro instancabile di SenzaAsilo, rete di operatori ed enti impegnati nei progetti di accompagnamento sociale dei rifugiati. «Speriamo che sia l’inizio di un percorso proficuo e che altre città possano seguire l’esempio torinese», auspica Anna Bertrand, una delle responsabili.

I più soddisfatti sono i migranti. Per esprimere la loro gratitudine hanno inviato una lettera al prefetto Saccone: «Questa regolarizzazione per noi significa un passaggio dal buio alla luce, che ci garantisce un futuro migliore», scrivono. Amazou, Jobe, Traore, Niakate: le loro storie si somigliano. Dopo i dinieghi alle loro domande d’asilo, stavano per diventare fantasmi. Presto avrebbero avuto tra le mani un foglio di via che gli avrebbe intimato di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni. Ma nessuno di questi ragazzi l’avrebbe fatto. Sarebbero sprofondati nella zona grigia della clandestinità. Senza diritti né doveri. È andata diversamente: si è deciso di non buttare alle ortiche gli sforzi fatti per integrarli. Ora per questi ragazzi si concretizza il sogno di una vita normale: «Il risultato di questa procedura ci porta oggi a sentirci cittadini – scrivono – e ad essere più partecipi ed attivi nella società piemontese». La conclusione della lettera di ringraziamento suona come un impegno sincero: «Rimane quindi a noi il compito di proseguire questo percorso d’integrazione nel rispetto dei valori e delle leggi della Repubblica Italiana».