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Politica migratoria: l’irrazionalità al potere?

Karen Akoka e Camille Schmoll*, Libération - 18 gennaio 2018

Alcuni rifugiati nel centro di Calais, durante la visita del ministro degli Interni, Gérard Collomb, il 23 giugno

Traduzione di Giovanni D’Ambrosio

Come quella dei suoi predecessori, la politica migratoria di Emmanuel Macron, in visita questo martedì (16 gennaio 2018 n.d.R.) a Calais, si rifiuta di comprendere ciò che dicono i ricercatori ormai da anni: i dispositivi repressivi creano il “problema migratorio” che questi stessi dispositivi hanno la pretesa di risolvere.

Ben lontani dal rinnovamento proclamato dall’elezione del presidente Macron, la politica migratoria del governo Philippe 1 si pone in triste continuità con quelli che l’hanno preceduto, continuando a oltrepassare nuove linee rosse che sarebbero state considerate inimmaginabili anche solo qualche anno fa. Se, nel 1996, la Francia si commuoveva per l’irruzione della polizia in una chiesa per sgomberare i migranti in sciopero, da allora si è andati ben oltre: accesso all’acqua e distribuzioni di cibo impedite, tende squarciate e coperte buttate, famiglie braccate fino all’interno dei centri d’accoglienza d’emergenza 2 in violazione del principio fondamentale dell’incondizionalità del soccorso.

La legge sull’immigrazione che il governo sta scrivendo, segna l’aumento di questo processo repressivo proponendo l’allungamento del termine per la detenzione amministrativa, l’estensione degli arresti domiciliari, l’aumento delle espulsioni e l’inasprimento delle misure per l’applicazione del regolamento di Dublino, il restringimento delle condizioni per l’accesso a svariati titoli di soggiorno, o di sopprimere la garanzia del ricorso sospensivo per alcuni/e richiedenti asilo. Al di là della loro apparente diversità, queste misure si fondano su una sola e unica idea, mai espressa e sempre applicata, della migrazione come “problema”.

Dei preconcetti tenaci.
Nonostante siano ormai molti decenni che ricercatori specializzati sulle migrazioni, comprendendo tutte le discipline scientifiche, mostrano come questa visione sia nettamente sbagliata. Contrariamente a queste credenze diffuse, non c’è stato un aumento drastico delle migrazioni durante gli ultimi decenni. I flussi in valore assolto sono effettivamente aumentati ma il numero relativo dei/delle migranti in relazione alla popolazione mondiale stagna al 3% ed è sempre la stessa percentuale che all’inizio del XX secolo. Nell’Unione Europea, dopo il picco del 2015, che per altro non ha interessato la Francia, il numero dei nuovi arrivati si è di nuovo abbassato. Senza contare le “uscite”, mai inserite nelle analisi statistiche nonostante siano ben lontane dall’essere un dato trascurabile. E se la domanda d’asilo ha visto, in Francia, un aumento recente, non è eccessiva se comparata con altri periodi storici. Alla fine, la poco esatta definizione di “crisi migratoria” europea è molto più una crisi istituzionale, una crisi della solidarietà e dell’ospitalità, che una crisi dei flussi migratori. Ciò che è effettivamente inedito nel periodo attuale è il consolidamento dei dispositivi repressivi piuttosto che l’aumento nella proporzione dei nuovi arrivati.

Anche la minaccia che rappresenterebbero i/le migranti per il mercato del lavoro è altrettanto esagerata. Un’abbondanza di studi mostra da tempo che la migrazione costituisce un fattore di crescita sia economica che demografica nel contesto delle sempre più anziane società europee, in cui molti impieghi vengono snobbati dai nazionali. Gli economisti ripetono instancabili che non esiste una correlazione verificata tra l’immigrazione e la disoccupazione, siccome il mercato del lavoro non può considerarsi come una torta di grandezza invariabile e indipendente dal numero dei commensali. Si sfiancano per far comprendere che in Europa i/le migranti non costano più di quelli che non contribuiscono alle finanze pubbliche, alle quali partecipano anzi di più che i nazionali, data l’età della popolazione migrante.
Immaginiamo per un istante una Francia senza migranti. Solo l’immagine dà le vertigini tanto sono importanti nelle nostre esistenze e nei settori vitali della nostra economia: nelle nostre famiglie, nel sistema sanitario, nella ricerca, nell’industria, nell’edilizia, nei servizi, ecc. Questo perché noi stessi siamo i/le migranti: un/a francese su quattro e almeno ha almeno un genitore o un/a nonno/a immigrato/a.
I migranti non sono dei fardelli.

In quanto ricercatori, siamo stupefatti di vedere i responsabili politici lanciare delle falsità per poi gettare benzina sul fuoco. Lungi dal risolvere problemi fantasma, le misure che si sono affrettati a prendere a ogni nuova maggioranza, non hanno fatto altro che rendere le contraddizioni più acute. Le situazioni d’irregolarità e di precarietà che farebbero dei/delle migranti dei “fardelli”, sono prodotte proprio dalle nostre politiche migratorie: i praticamente assenti canali legali d’immigrazione (nonostante siano auspicati all’unisono dagli organismi internazionali) obbliga i/le migranti a sperperare delle somme considerevoli per servirsi delle vie illegali. Li priva delle risorse finanziare necessarie per inserirsi nelle società d’arrivo.

La vulnerabilità finanziaria, come anche quella fisica e psichica prodotta dalla nostra scelta di sigillare le frontiere (e non dalla loro scelta di migrare) è in seguita raddoppiata da altre parti della nostra normativa: obbligando i migranti a risiedere nel primo paese d’ingresso nella UE, il regolamento di Dublino li priva dell’appoggio delle loro reti familiari e comunitarie, spesso situate in altri paesi europei e molto preziosi ai fini del loro inserimento.

All’arrivo, le nostre leggi sull’accesso al soggiorno e al lavoro li mantengono, o li destabilizzano, in situazioni di clandestinità e di dipendenza. Infine queste leggi contribuiscono paradossalmente a rendere le migrazioni irreversibili: la precarietà amministrativa dei migranti li spinge spesso a rinunciare ai loro progetti di ritorno al proprio paese a causa della paura che i documenti non siano permanenti. Le ricerche mostrano chiaramente che è l’assenza di “papiers”, di documenti, che impedisce questo ritorno. Le nostre politiche migratorie sono efficaci nel produrre ciò contro cui pretendono di battersi.

Contrariamente a una idea molto diffusa, i/le migranti non sono “la miseria del mondo”. Sono esattamente le nostre scelte politiche che fanno sì che molti di loro vengano spinti nella miseria. Come i suoi predecessori, il governo firma così oggi le condizioni di uno scacco programmato, sia nei termini di perdite sociali, economiche e umane, che nei termini di efficacia rispetto ai propri obiettivi.

Immaginiamo un’altra politica migratoria. Una politica migratoria finalmente realista. Essa è possibile, anche senza i milioni utilizzati per il trattenimento e l’espulsione dei migranti (che non gli impedisce poi d’altronde di tornare), il blocco tecnologicamente avanzato delle frontiere (che non gli impedisce di passare), il finanziamento ai pattugliamenti della polizia e dei CRS (che non gli impedisce di resistere), le somme versate ai regimi autoritari di ogni risma per fare in modo che trattengano, contengano e rinchiudano i loro migranti. Una politica d’accoglienza degna di questo nome, basata sull’arricchimento reciproco e il rispetto della dignità dell’altro costerebbe certamente meno caro che la politica repressiva e distruttrice che il governo ha scelto di nuovo di rafforzare un po’ di più oggi. Qual è quindi la sua razionalità: ignoranza o elettoralismo?

Karen Akoka è docente all’Université Paris Nanterre e ricercatrice all’Institut des sciences sociales du politique (ISP). Camille Schmoll è docente all’Université Paris Diderot, membro dell’Instut universitaire de France e ricercatrice all’umr Géographie-cités.

  1. Primo ministro francese n.d.t.
  2. CHU, Centre d’hebérgement d’urgence sono delle infrastrutture sociali attive nel settore dell’accoglienza francese n.d.t.