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Portopalo, giustizia non è fatta

Assolto l'unico imputato per il naufragio dove morirono 283 immigrati

Nessun responsabile. “Non mi sorprende per niente. La davo per scontata”. Commenta così, amaramente, la sentenza della Corte d’assise di Siracusa Giovanni Maria Bellu, il giornalista di ‘Repubblica’ che fece emergere dall’oblio e dalla negligenza umana la più grande strage di immigrati del Mediterraneo. Dopo due ore e mezza di camera di consiglio, il tribunale siciliano presieduto da Romualdo Benanti ha assolto per non aver commesso il fatto l’unico imputato: Sheik Turab, pakistano, residente a Malta, armatore della F174, la barca di 16 metri inabissatasi la notte tra il 25 e il 26 dicembre del ’96 al largo di Portopalo dopo essersi scontrata con la Yiohan, altro natante stipato di migranti. Quella notte, il mare inghiottì 283 indiani, singalesi, pakistani. I resti furono ritrovati grazie alla caparbietà di Bellu, che iniziò una lunga inchiesta giornalistica conclusasi con il ritrovamento della F174 e raccontata nel libro ‘I fantasmi di Portopalo’.

La mafia dei trafficanti di uomini. E’ lo stesso giornalista a riferire a PeaceReporter il suo giudizio su un pronunciamento che rende giustizia solo in modo parziale alle vittime del naufragio. “Paradossalmente non mi dispiace neanche che la vicenda si sia conclusa in questo modo – spiega provocatoriamente Bellu -. Vi sarebbe stata in me una certa preoccupazione se vi fosse stata una sentenza esemplare, col massimo della pena, ovvero l’ergastolo, a un unico imputato. Questo perchè Sheik Turab c’entra sì con il naufragio, ma solo marginalmente. Si sarebbe condannato un unico individuo, per un reato diverso da quello ipotizzato in principio, a fronte di oltre un’ottantina di persone coinvolte, delle quali si conoscono nomi e cognomi. Mi riferisco a un’organizzazione composta da trafficanti di uomini che operava in tre Paesi, con vere e proprie ‘filiali’ di agenti locali che si muovevano con la complicità di funzionari doganali in grado di procurare visti falsi. Vi era poi un’organizzazione armatoriale in Grecia, una grande disponibilità di mezzi, un’organizzazione logistica in Egitto, Siria e Turchia, luoghi di partenza, questi ultimi, dei migranti che affollavano la Yiohan. Se un vero processo avesse dovuto svolgersi, questo avrebbe dovuto coinvolgere tutte le persone implicate in tale organizzazione. Sul piano penalistico, poi, l’accusa avrebbe dovuto essere quella di omicidio colposo plurimo, ben più grave di quella di omicidio volontario”.

Un ruolo secondario. Bellu si riferisce al fatto che, quando il relitto fu trovato, si scopri che era in acque internazionali. Questo rischiò di bloccare le indagini. La Procura decise allora di applicare una norma contenuta nell’articolo 10 del codice penale che, in casi di eccezionale gravità, dà competenza a un tribunale italiano, ovvero la Procura di Siracusa, di indagare su fatti che non riguardano cittadini italiani e che non sono accaduti in territorio italiano. Il ricorso all’eccezionalità comportò però, anzichè la contestazione di omicidio colposo plurimo, quella di omicidio volontario, un crimine meno grave, del quale furono accusate solo due persone: il capitano della nave, il libanese Youssef El Hallal, e il trafficante di uomini pakistano. I giudici francesi rifiutarono di estradare il capitano, che risiede Oltralpe. L’unico imputato rimase perciò Turab. “Ma Turab è una figura marginale – precisa Bellu – che interviene come ‘sub-appaltatore’, in quanto la sua funzione era di garantire il servizio di shuttle dalla Yiohan alla Sicilia passando per Malta. Turab, e io gli credo, ha sempre negato di aver preso direttamente parte alle operazioni di trasbordo, ma di averle ‘coordinate’ da terra. Riteneva che fosse troppo pericoloso procedere al trasferimento dei migranti dalla Yiohan alla F174 in quelle condizioni di mare. Nonostante due persone lo abbiano riconosciuto grazie a una foto, io ritengo che tale riconoscimento sia dubbio. E’ altamente improbabile che si trovasse sulla Yiohan. Tutti i 106 superstiti che raggiunsero la Grecia riconobbero El Hallal, ma non Turabi, semplicemente perché lui sulla Yiohan non c’era”. Quindi il processo è stato inutile? “Questo non mi sento di poterlo affermare. Anzi, se non altro l’aver condotto l’indagine è un risarcimento simbolico, seppur minimo, ai parenti delle vittime. Come encomiabile è stato il lavoro della procura di Siracusa”.

Approfondimenti:

Trasmissione radiofonica “Speciale Melting Pot a dieci anni dal naufragio della Nave fantasma
Per non dimenticare la più grande tragedia del mare degli ultimi 50 anni