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da Il Manifesto del 8 maggio 2006

Poste e Viminale: spunta il rischio ricorsi

di Cinzia Gubbini

Inviata a Firenze – Chiedere al prossimo ministro dell’interno di rivedere la convenzione Poste-Viminale. E se così non sarà, partire con una serie di ricorsi per contestarne la legittimità. A partire dal fatto che le Poste stanno per mettere le mani su dati sensibili che dovrebbero essere protetti. E che, oltretutto,l’azienda si è aggiudicato un business di tutta rilevanza senza una gara d’appalto.
Si organizzano le truppe, almeno in Toscana, sulla «rivoluzione» che si sta preparando sui permessi di soggiorno: tra poche settimane tutta la partita dei rinnovi dovrebbe passare alle Poste con un costo per gli immigrati di 30 euro. Ieri si è svolto a Firenze un confronto piuttosto franco tra l’Associazione dei comuni (Anci) nazionale e la Consulta immigrazione dell’Anci Toscana, che si fa portavoce della contrarietà di molti enti locali.
A Luca Pacini, il consulente dell’Anci che ha guidato in questi due anni la lunga e dura trattativa con il Viminale, lo scomodo ruolo di chi deve richiamare al «pragmatismo».
Perché lo ha detto chiaro: tutto si può fare, ma la macchina è a buon punto «stiamo attenti – ha avvertito – a non perdere quello che abbiamo conquistato in questi mesi». E il patrimonio più importante è la possibilità – ribadita proprio due giorni fa in un incontro con il Viminale – di individuare dei «comuni sperimentatori» che saranno del tutto alternativi a Poste, che si vedranno riconosciuti due dei 30 euro pagati dagli immigrati, e che soprattutto saranno forniti del «mitico» software per collegarsi con la Banca dati nazionale. «In questo modo – ha spiegato Pacini – metteremo solide basi per il progetto che interessa tutti noi: passare definitivamente le competenze ai Comuni».

Ma in Toscana si fa comunque fatica a ingoiare il rospo: «Credo che dovremmo comunque chiedere al nuovo ministro di sospendere la convenzione,», ha rilanciato il presidente della Consulta immigrazione dell’Anci Toscana, Giuseppe Carovani. «Questa convenzione è in linea diretta con la Bossi-Fini – ha sottolineato Emilio Santoro, presidente de «L’altro diritto» – si insatura un rapporto tra immigrato e Stato di diritto privato e non di diritto pubblico, perché l’immigrato è considerato soltanto un lavoratore, e non un cittadino». Secondo Santoro «non è possibile che le questure non accettino più le pratiche gratuitamente. Si configurerebbe il reato di omissione di atti di ufficio e di interruzione di pubblico servizio». Senza contare che, con grande leggerezza, si sta per mettere in mano a un’azienda privatizzata una serie di dati – basti pensare al caso dei permessi di soggiorno per motivi di salute – senza neanche prevedere un regolamento che ne tuteli la privacy. Insomma, di motivi ce ne sono per rivedere la convenzione. D’altro canto c’è il rischio di perdere tempo, mentre molti immigrati continuano ad aspettare mesi per rinnovare i documenti. Su un punto sono tutti d’accordo: basterebbe abrogare la Bossi-Fini e approvare una nuova legge. Ma quanto ci metterà il prossimo governo?