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Precisazioni sulla sanatoria

La possibilità di regolarizzazione riguarda tutte le categorie dei lavoratori ed è frutto di una progressiva sensibilizzazione delle forze politiche e della società rispetto all’esigenza di garantite la possibilità di regolarizzazione dopo che il cattivo funzionamento del governo dei flussi migratori ha sedimentato nel territorio italiano una forte presenza di lavoratori stranieri in condizioni irregolari.
Inizialmente la categoria interessata alla possibilità di regolarizzazione era stata individuata nei soli lavoratori domestici (colf e badanti) ma successivamente, per motivi di buon senso e di mercato del lavoro, si è allargata ad altre categorie. D’altra parte, se non si fosse allargata la possibilità di regolarizzazione il rischio sarebbe stato che tutti i lavoratori irregolari avrebbero tentato comunque la regolarizzazione usando la sanatoria per sole colf e badanti, creando carte false.
Per garantire quindi una effettiva emersione dal lavoro sommerso e quindi una effettiva prosecuzione di rapporti di lavoro già in corso è stata dunque estesa, con un decreto legge, la possibilità anche a tutte le altre categorie di lavoratori.

Il datore di lavoro

Va detto che la possibilità di regolarizzazione è comunque rimessa all’iniziativa del datore di lavoro. È il datore di lavoro che decide se regolarizzare o no il lavoratore.
Il datore di lavoro che dovesse decidere di NON REGOLARIZZARE il proprio dipendente ( non importa se lavoratore domestico o occupato in un’azienda) si espone alla possibilità di essere perseguito per tutte le violazioni di legge che ha commesso instaurando e mantenendo in atto un rapporto di lavoro irregolare con un lavoratore non comunitario.
La regolarizzazione è consentita solo per rapporti di lavoro che sono ancora in corso. Non è possibile immaginare la regolarizzazione di un cittadino straniero che non sta già lavorando ma che avrebbe trovato una possibilità di assunzione presso una famiglia o un azienda.

Il datore di lavoro che chiede la regolarizzazione

Il datore di lavoro che chiede la regolarizzazione presentando la dichiarazione di emersione NON E’ COMUNQUE PUNIBILE per tutte le violazioni delle norme in materia di soggiorno, di lavoro e di carattere finanziario; così facendo, anzi si mette al riparo dalle conseguenze di possibili controlli e quindi da una serie di responsabilità molto gravi (civili, amministrative, fiscali e penali) per le violazioni in corso.
Il datore di lavoro inoltrando la richiesta di regolarizzazione ESTINGUE, solo per il fatto di aver presentato la domanda, tutte le violazioni commesse in passato.
Dunque, nel caso la regolarizzazione non venisse autorizzata, per motivi magari sconosciuti al datore di lavoro, comunque egli avrebbe fatto qualcosa di utile per sé perché evita il rischio, molto consistente, di sanzioni nei suoi confronti anche a distanza di tempo con l’accertamento di un rapporto di lavoro irregolare con un cittadino non comunitario.

I tre mesi antecedenti

La dichiarazione di emersione del lavoro irregolare che dovrà compilare il datore di lavoro si riferisce a un rapporto di lavoro i corso da almeno tre mesi. A questo riguardo è intervenuta una precisazione, una interpretazione restrittiva della legge, con una circolare del Ministero dell’Interno del 9 settembre.
In effetti la norma sui tre mesi è formulata in termini tali da poter lasciare spazio per la possibilità di regolarizzazione di chi sta già lavorando ma non da tre mesi. Il testo della legge parla di rapporti di lavoro instaurati “….nei tre mesi antecedenti….” l’entrata in vigore della legge.
Dal punto di vista letterale si potrebbe ricomprendere nel campo di applicazione della regolarizzazione anche un rapporto che si è instaurato nei tre mesi precedenti ma che non si è svolto per tutti i tre mesi precedenti. Per esempio, potrebbe essere valido un rapporto di lavoro instaurato la settimana prima dell’entrata in vigore della legge perché anche in questo caso siamo “nei tre mesi ” precedenti.
Ma dopo le prime dichiarazioni ufficiose che lasciavano intendere una applicazione più estesa, il Ministero dell’Interno ha invece precisato che deve prevalere l’interpretazione restrittiva. Dunque, il rapporto di lavoro oggetto della regolarizzazione deve essere già in corso e iniziato da non meno di tre mesi da prima dell’entrata in vigore della norma (il 10 giugno), sia per colf e badanti che per tutti gli altri lavoratori.
Riassumendo: potranno rientrare nelle sanatorie solo i rapporti di lavoro tuttora in corso e che siano iniziati da prima del 10 giugno 2002.

Chi puo’ essere regolarizzato?

– Il lavoratore straniero che non ha un permesso di soggiorno
– chi aveva in precedenza un permesso di soggiorno, di cui è stato rifiutato il rinnovo dopo la scadenza, o comunque scaduto da oltre 60 gg. senza richiesta di rinnovo
– chi ha un permesso di soggiorno che non consente l’attività lavorativa a carattere stabile ( turismo, salute, cure mediche, residenza elettiva, ecc) o che la consente in modo limitato.

Non ci sono ancora precisazioni da parte del Ministero dell’Interno sulle varie tipologie di soggiorno, quindi non possiamo al momento dare informazioni circa una serie di casi di permessi di soggiorno che non sappiamo se saranno ammessi o no alla regolarizzazione.
Per esempio, è da ritenere che uno straniero che abbia un permesso di soggiorno per attesa di riconoscimento dello status di rifugiato (ovviamente se sta lavorando da tre mesi ) possa rientrare nella sanatoria. Come pure tutti quei cittadini non comunitari che avevano richiesto lo status di rifugiato o l’asilo ma si sono visti rifiutare la concessione del permesso di soggiorno.
Dubbi ci possono essere anche per chi ha un permesso di soggiorno in corso di validità che permette una limitata attività lavorativa, per esempio i titolari di un permesso di soggiorno per motivi di studio. Anche nel caso dei lavoratori dello spettacolo se un datore di lavoro dimostra il suo impiego in una normale categoria produttiva è possibile la conversione del permesso di soggiorno.
Qualche dubbio sulla possibilità di regolarizzazione può esserci per gli stranieri che siano titolari di un permesso di soggiorno in qualità di distaccati di impresa estera, autorizzati a entrare in Italia per eseguire un lavoro in appalto. In questo caso si tratta di persone che hanno un permesso di lavoro la cui validità è limitata nel tempo e con riferimento esclusivo al lavoro in appalto. A questo riguardo si può ritenere che quantomeno in quei casi in cui il distacco dei lavoratori dall’estero nasconda una intermediazione di manodopera, cioè laddove questi lavoratori dovessero essere considerati a tutti gli effetti di legge come effettivi dipendenti dell’impresa italiana che concretamente li utilizza, dovrebbe ammettersi la possibilità di regolarizzazione. Saremmo infatti in presenza di un rapporto di lavoro irregolare, instaurato con una ditta italiana e mascherato sotto forma di lavoro svolto per conto di un impresa estera.
Queste considerazioni le facciamo perché un analoga applicazione dell’opportunità di regolarizzazione è stata fatta nelle precedenti sanatorie. Negli anni scorsi la possibilità di regolarizzazione era stata applicata nel modo più ampio considerando tutti i rapporti di lavoro in condizioni del tutto o in parte irregolari, consentendo anche ai soggetti già titolari di un permesso di soggiorno in corso di validità di regolarizzare la loro posizione facendo prevalere la condizione effettiva di lavoratore stabile in Italia consentendo così la regolarizzazione indipendentemente dal possesso di un permesso di soggiorno ad altro titolo.
Volendo distinguere tra il lavoro totalmente nero e il cosiddetto lavoro grigio non ci sarebbe ragione per consentire la regolarizzazione del classico clandestino e non consentire invece la regolarizzazione di un soggetto che sta svolgendo lavoro irregolare sia pure disponendo di un permesso di soggiorno che permette la sua circolazione nel territorio italiano. Anche perché lo scopo della sanatoria è quello di fare emergere tutte le situazioni di lavoro irregolare non certo di mantenerlo in ampie fasce del nostro mercato del lavoro.

Chi non puo’ essere regolarizzato

Rimangono escluse categorie molto numerose e ci auguriamo che, in sede di conversione del decreto legge, vengano apportate delle modifiche tali da permettere una più ampia applicazione della regolarizzazione.
Infatti, rimangono esclusi tutti gli stranieri che sono destinatari di provvedimenti di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, dunque uno straniero che aveva un permesso di soggiorno e si è visto rifiutare il rinnovo e per conseguenza notificare il provvedimento di espulsione, potrebbe ottenere la regolarizzazione.
Al contrario, vengono esclusi tutti quelli che hanno ricevuto l’espulsione perché erano presenti in Italia a seguito di un ingresso illegale o che comunque si sono trattenuti illegalmente (per es.: senza chiedere il rinnovo del p.s. per turismo, che comunque sarebbe stato rifiutato).
A tutti risulta evidente la palese ingiustizia perché non vi è ragione di distinguere tra “stranieri più fortunati e meno fortunati” ovvero tra chi è stato “preso” senza p.s. e chi è riuscito a sfuggire ai controlli.

Non possono essere regolarizzati i soggetti che siano destinatari di denuncie o che siano stati condannati (anche con sentenza non definitiva) per uno qualsiasi dei reati indicati dagli articoli 380 e 381 del Codice di Procedura Penale salvo aver ottenuto un provvedimento che li assolve per insussistenza del reato o della loro responsabilità. Oppure salvo che, a distanza di tempo, sia intervenuta la cosiddetta riabilitazione.
Per fare qualche esempio, agli articoli 380 e 381 sono elencati una serie di reati che, sulla gravità, vanno dal furto in poi. Anche per reati di modestissima entità come il furto di una scatoletta in un supermercato, se si è semplicemente denunciati si viene esclusi dalla possibilità di regolarizzazione.
Anche su questo punto della legge sono state sollevate molte critiche perché tantissimi piccoli reati (cosiddetti reati della miseria) escludono la possibilità di regolarizzazione. Per esempio il furto di una bicicletta, di energia elettrica e cosi via.

Vi sono una serie di ipotesi di reati minori nei quali invece è consentita la regolarizzazione perché si tratta di reati che non sono indicati negli art. 380 e 381 del Codice di Procedura Penale: per esempio, l’occupazione abusiva di un alloggio, la vendita di prodotti contraffatti, lo stato di ubriachezza, l’impiego di minori nell’accattonaggio, il rifiuto di indicare la propria identità, la falsificazione di un permesso di soggiorno autentico (sostituzione di foto e/o nome).
Al contrario la ricettazione ovvero l’acquisto di un documento falso (ipotesi più frequente) non consente la regolarizzazione perché si tratta di un reato contenuto nella elencazione riportata dagli art. 380 e 381.
Non sono poi ammessi alla regolarizzazione i soggetti considerati pericolosi per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico, o che risultino destinatari di misure di prevenzione.

Le espulsioni

Ricordo che nella precedente sanatoria (1998) la norma prevedeva l’esclusione per chi aveva ricevuto un provvedimento di espulsione. In quel caso una successiva interpretazione del Ministero dell’Interno l’aveva modificata: era possibile inoltrare, assieme alla domanda di regolarizzazione, una domanda di revoca del provvedimento dell’espulsione indirizzata al prefetto che a suo tempo aveva emesso il provvedimento di espulsione. Si tratta di una domanda che non obbliga il prefetto a revocare automaticamente l’espulsione, ma comporta un esame discrezionale caso per caso, tuttavia nel 1998 quasi tutti i provvedimenti di espulsioni di tipo amministrativo furono revocati (sia pure costringendo spesso ad attendere per molto tempo la risposta).
Ci auguriamo che questa possibilità venga riconosciuta già prima della scadenza dei termini per la presentazione della domanda di regolarizzazione, cioè il 10 ottobre per colf e badanti e l’11 novembre per gli altri lavoratori.

Ad ogni buon conto, poiché, in base ai principi generali del nostro ordinamento giuridico, è sempre ammissibile la domanda di revoca del provvedimento di espulsione ed è sempre possibile per il prefetto decidere se concederla o meno, consiglierei a chi ha questo problema di FARE COMUNQUE LA DOMANDA di regolarizzazione accompagnata da una APPOSITA ISTANZA DI REVOCA DEL PROVVEDIMENTO DI ESPULSIONE INDIRIZZATA ALLO STESSO PREFETTO CHE HA EMESSO I PROVVEDIMENTO E PER CONOSCENZA ALLA QUESTURA DEL LUOGO IN CUI SI SVOLGE IL RAPPORTO DI LAVORO, che dovrà esaminare la pratica.

Certo, la normale espulsione amministrativa avrà delle maggiori possibilità di essere revocata rispetto alle ipotesi, se vogliamo più gravi, delle espulsioni che non solo sono state notificate ma anche eseguite mediante l’accompagnamento alla frontiera e seguita da un nuovo ingresso irregolare.
Per l’appunto, esiste una forte speranza che nel corso della sanatoria venga riconosciuta la possibilità di revoca dell’espulsione, anche se al momento non vi è ancora alcuna certezza.
Visto che quello in atto in questi mesi è un provvedimento raro, i lavoratori con l’espulsione sopra citata potrebbero dunque avere interesse a tentare la regolarizzazione prima che scadano i termini per presentare la domanda, dovendo tuttavia affrontare la scelta difficile se affrontare o meno un rischio di esecuzione dell’espulsione a fronte della consistente speranza di una definitiva uscita dalla condizione di irregolari.

Lo spazio Schengen

Come è noto non valgono solo i provvedimenti di espulsione emanati dalle autorità italiane ma TUTTI i provvedimenti di “segnalazione ai fini della non ammissione nel territorio dello stato” inseriti nel sistema informativo SCHENGEN da parte degli altri paesi aderenti.
Se da una lato abbiamo consistenti speranze che l’espulsione amministrativa disposta dall’autorità italiana possa essere revocata, queste diventano molto più rare con riferimento alla possibilità che un autorità straniera (sia pure su richiesta e segnalazione dell’autorità italiana) provveda alla cancellazione della segnalazione dal Sistema Informativo Schengen (S.I.S.). L’esperienza della precedente sanatoria insegna e dimostra che sono stati rari i casi di persone espulse da un autorità di un altro paese europeo che sono riuscite a regolarizzarsi con la sanatoria in Italia, proprio a causa della difficoltà ad ottenere la cancellazione della segnalazione.
Attenzione quindi non soltanto ai provvedimenti di espulsione emanati in Italia ma anche ai provvedimenti di allontanamento, espulsioni o comunque alle segnalazioni al S.I.S. effettuate da altri paesi europei.

Quante dichiarazioni possono fare i singoli datori di lavoro?

Nel caso del lavoro domestico la famiglia potrà regolarizzare solo una/o colf. Non vi sono invece limiti numerici per le persone adibite ad assistenza familiare (c.d. “badanti”). Questo in considerazione del fatto che una persona veramente malata potrebbe avere bisogno di una assistenza 24 ore su 24.
Per tutte le altre tipologie di lavoro i datori di lavoro potranno regolarizzare tutti i lavoratori stranieri subordinati che siano attualmente impiegati in condizioni irregolari.

Cosa si intende per rapporto di lavoro in corso

Ci troviamo in un momento in cui è appena terminato il tradizionale periodo di ferie estive. Quasi tutte le aziende chiudono nel periodo di ferragosto e quindi è normale che il lavoratore possa ritornare a casa per un breve periodo per poi far rientro in Italia. Spesso si tratta di persone che provengono da paesi dell’est per cui non serve avere un visto, per esempio la Romania, nel caso si dichiari che l’ingresso è per motivi turistici. Non si può dire, in questo caso, che il rapporto di lavoro era cessato, dal momento che esso prosegue a tutti gli effetti dal punto di vista legale. Anche se si dovesse interrompere per malattia o per un accordo tra datore di lavoro o lavoratore di sospendere momentaneamente, vale lo stesso discorso.
Poiché alla domanda di regolarizzazione viene allegata la copia completa del passaporto del lavoratore, la questura verificherà se, in base ai timbri del documento, risulta credibile che il rapporto di lavoro sia iniziato da almeno tre mesi. È facile immaginare che nel caso in cui una persona, nel passaporto, avesse un solo timbro di ingresso in data successiva al 10 giugno vi sarà un più attento controllo e dovrà dare spiegazioni.

Questi problemi si verificheranno per molte persone. È vero che, almeno per quanto precisato finora dal Ministero dell’Interno, la procedura di regolarizzazione in corso non pretende la famosa “prova” della presenza in Italia entro la data del 1° giugno.
Ma se anche non vengono espressamente richieste prove sulla presenza del lavoratore, non dovranno comunque risultare elementi di prova in senso contrario.
Esempio: se un datore di lavoro dovesse dichiarare che una certa persona lavora presso la sua azienda da almeno tre mesi e POI si dovesse verificare (tramite un controllo) che quel lavoratore straniero lavorava un mese prima in un azienda diversa, è chiaro che la dichiarazione sarebbe ritenuta falsa.
Nei confronti di chi presenta una falsa dichiarazione al fine di eludere le norme in materia di immigrazione (e di regolarizzazione) è prevista una sanzione penale dalla reclusione da 2 a 9 mesi.

N.B. QUESTA SCHEDA VERRA’ AGGIORNATA OGNI SETTIMANA IN BASE ALLE INDICAZIONI MINISTERIALI E ALLE EVENTUALI MODIFICHE LEGISLATIVE.