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Prosegue ad Agrigento il processo Cap Anamur

di Fulvio Vassallo Paleologo, ASGI Palermo

Prosegue ad Agrigento il dibattimento del processo a carico di Elias Bierdel, del comandante e del secondo di bordo della Cap Anamur, la nave tedesca che nel luglio del 2004 aveva salvato la vita di 37 naufraghi ala deriva nel Canale di Sicilia. Dalle prime testimonianze, come testi dell’accusa, dei rappresentanti delle diverse forze di polizia intervenute a mare durante le fasi dell’ingresso della nave a Porto Empedocle, sta riemergendo il tentativo di accreditare un comportamento violento da parte dell’equipaggio della nave, che avrebbe tentato di entrare in porto forzando un blocco navale.

Si tenta quindi di andare ben oltre l’accusa contestata dal pubblico ministero, relativa alla sola norma, aggravata dalla legge Bossi-Fini, che prevede il reato di agevolazione all’ingresso di clandestini, malgrado il giudice delle indagini preliminari abbia già respinto la ricostruzione dei fatti basata sui tentativi di sfondamento da parte della Cap Anamur davanti a Porto Empedocle. Dalle immagini diffuse dalle televisioni di mezzo mondo, come sarà confermato da successive testimonianze, e da altri documenti come le trascrizioni delle comunicazioni radio, emergerà come da parte dei componenti dell’equipaggio della Cap Anamur, nave umanitaria riconosciuta come tale anche a livello internazionale, non c’è stata alcuna violenza o travisamento dei fatti.
La nave era entrata nelle acque territoriali per la situazione di grave pericolo costituita dalla minaccia di alcuni naufraghi di gettarsi a mare, dopo settimane di blocco in acque internazionali. Il successivo ingresso in porto avveniva con un pilota italiano autorizzato dalla Capitaneria di porto a bordo, come prescritto dai regolamenti di navigazione, con l’autorizzazione espressa del governo italiano. La nave aveva avuto una prima autorizzazione ad entrare in acque italiane e attraccare a Porto Empedocle già il 30 giugno, poi questa autorizzazione venne revocata, poi di nuovo, intorno all’11 luglio, arrivava l’autorizzazione all’ingresso ed ancora in prossimità del porto la nave veniva bloccata.
Risulta dai quotidiani di quei giorni la “marcia indietro” del governo maltese che negava che la nave, dopo il salvataggi,o fosse mai transitata nelle proprie acque territoriali, e del governo tedesco, che in precedenza aveva aderito ad una ipotesi di accordo formulata sulla base delle proposte di una organizzazione non governativa, ipotesi in base alla quale i naufraghi della Cap Anamur, nave battente bandiera tedesca, avrebbero avuto accesso alla procedura di asilo in Germania.
Lo stesso avvocato del Comitato Cap Anamur, presente a bordo quattro giorni prima dell’ingresso della nave nelle acque italiane, precisava che sarebbe stato meglio ritardare la trasmissione dei ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, già predisposti dall’ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) per non compromettere le delicate trattative in corso tra i governi. I ricorsi venivano poi presentati quando i naufraghi, dopo lo sbarco a Porto Empedocle, avevano ricevuto un provvedimento di espulsione ed erano detenuti nei centri di permanenza temporanea di Caltanissetta e di Ponte Galeria.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo invitava successivamente l’Italia a sospendere le espulsioni quando purtroppo quasi tutti i naufraghi salvati dalla Cap Anamur erano già stati deportati verso la Nigeria e verso il Ghana, dopo procedure di riconoscimento estremamente sommarie ed affrettate ( al punto che negli aeroporti di Catania e di Roma Fiumicino si giungeva a negare la presenza degli immigrati, tenuti nascosti dalle forze di polizia agli avvocati ed ai parlamentari che stavano seguendo il caso).

Procedure tanto sommarie che persino un cittadino della Sierra Leone, paese ad alto rischio per le persecuzioni etniche ed il persistente pericolo di guerra civile, veniva espulso in Ghana, sulla base di una certificazione di viaggio rilasciata dal consolato ghanese a Roma. In definitiva, anche in questo caso, una vera e propria espulsione collettiva, come dimostra il tenore e le lacune dei documenti di viaggio forniti dalle autorità consolari alla polizia italiana.
Il processo proseguirà adesso con due udienze nel mese di gennaio, il 15 ed il 29, giorni nei quali saranno ascoltati gli altri testimoni dell’accusa, mentre seguiranno successivamente quelli proposti dalla difesa, tra cui rappresentanti parlamentari ed esponenti delle organizzazioni umanitarie che intervennero nel corso della lunga trattativa tra i governi sul destino della Cap Anamur e dei naufraghi salvati da un destino di morte che ancora l’estate scorsa ha fatto centinaia di vittime.
Rimangono ancora da chiarire nel corso del dibattimento tutte le fasi politiche di questa vicenda, scandite da accordi e da incontri ad alto livello, come durante il vertice G 5 a Sheffield in Inghilterra del 6 luglio 2004, tra Pisanu e Schilly, allora ministro degli interni tedesco, e da decisioni contraddittorie dei governi coinvolti, che accrescevano il clima di disperazione a bordo della nave, come constatato dai numerosi visitatori che avevano avuto l’occasione di raggiungere la nave, ferma in acque internazionali tra il 2 e l’8 luglio 2004. Una vicenda dunque che, di violento o di clandestino, o di agevolazione all’ingresso di clandestini, ha ben poco, ma che ha costituito la prova generale di quelle politiche di respingimento collettivo e di pattugliamento navale che i paesi europei hanno adottato nel corso di questi ultimi anni.