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Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017

Le slide della presentazione, la sintesi ed il rapporto completo

La solidarietà, in questo senso, per i paesi del Sud Europa, come anche per la Germania e la Svezia – le quali accolgono un gran numero di rifugiati – non è stata una semplice parola ma ha rappresentato un concreto e straordinario sforzo comune”.
Sono le parole di Claude Moraes, Presidente della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo, che nella prefazione al Rapporto sulla Protezione Internazionale in Italia per il 2017 sottolinea lo sforzo e l’abnegazione dell’UE e degli Stati membri, alcuni più altri, nel continuare a confrontarsi con i flussi migratori provenienti da Siria, Africa sub-sahariana, Afghanistan.

Il Rapporto, promosso da ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Servizio centrale dello SPRAR, in collaborazione con UNHCR, con toni aspri e sprezzanti condanna l’egoismo e le derive xenofobe che stanno accendendo dei focolai pericolosissimi e che, purtroppo, minano proprio quei diritti fondamentali della persona umana che strenuamente dovrebbero essere promossi dal nostro Paese e dalla comunità internazionale.
Nonostante tutti gli sforzi per “alfabetizzare” governi e popolazioni sulla migrazione, sulle sue cause e sui suoi disastrosi esiti, c’è chi stenta ancora a comprendere la necessità di una cooperazione forte e duratura per venire incontro alle sfide sempre nuove del fenomeno migratorio.

L’Agenda europea sull’immigrazione del 2017, di concerto con il vertice di Tallin tenutosi questa primavera, ha tentato di alleviare la pressione sull’Italia (ormai noto punto d’approdo assieme alla Grecia), con la proposta dei ricollocamenti ma il risultato ottenuto che non è certo utile alla causa: il blocco delle partenze dal Nord Africa con le tragiche ed evidenti conseguenze 1non può e non deve essere l’unica via per affrontare il problema.
Dal 2015, da quando cioè ha avuto inizio il programma di ricollocamento dall’Italia, al 2017 l’obiettivo è di gran lunga lontano dall’essere raggiunto: solo 28 mila persone, dalle 160mila preventivate sono state ricollocate. La Slovacchia ha accettato solo 16 dei 902 richiedenti asilo che le erano stati assegnati e numeri ancora più bassi sono registrati in Repubblica Ceca, con solo 12 su 2.691; la Spagna soltanto il 13,7% della quota stabilita e via dicendo, in una scala decrescente che decreta il fallimento del programma, contro il quale è stato promosso un ricorso da parte del premier ungherese davanti alla Corte di Giustizia, fortunatamente respinto. Ciò dimostra quanto i Paesi membri abbiano saputo “prendersi gioco di Bruxelles”.

La centralità della persona non è mai stata meno ovvia di oggi, surclassata com’è dai giochi politici ed economici che regolano perfino la gestione della vita umana. Per tentare di restituire dignità all’individuo il Governo italiano, la Conferenza Episcopale Italiana e la Comunità di Sant’Egidio hanno firmato un protocollo per l’apertura di un corridoio umanitario, permettendo così l’ingresso a 500 profughi, attualmente bloccati in campi etiopi, legalmente. Questo, assieme a molti altri è un segnale di impegno da parte dell’Italia, un impegno che deve puntare a implementare il sistema d’accoglienza ordinario ad oggi sottosviluppato rispetto alle reali necessità. Un passo molto importante è stato compiuto in questo senso con la promozione del sistema SPRAR e il sostenimento delle spese per i “comuni accoglienti” da parte dell’Anci e del Ministero dell’Interno. Questa via, ancorché foriera di risultati ottimi, è però ancora insufficiente e necessita di essere potenziata con l’ausilio di misure solide e strutturali politiche per l’integrazione.

I primi mesi del 2017 hanno registrato un evidente calo di richieste di protezione internazionale: ben il 43,3% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La Germania si riconferma il primo Paese per numero di domande, mentre l’Italia è “solo” decima; Francia e Grecia, rivestono anch’esse un ruolo importante come Paesi di destinazione. Soltanto in questi quattro Stati è stato calcolato quasi l’80% delle domande presentate all’UE nel 2016.
Un discutibile accordo siglato con l’Afghanistan, che insieme alla Siria, all’Iraq, al Pakistan e all’Eritrea era uno dei principali Paesi d’origine dei richiedenti protezione internazionale, ha sortito il medesimo effetto dell’accordo precedentemente stipulato con la Turchia: un calo significativo del flusso.

Nel 2016 il numero di migranti sbarcati sulle coste italiane ha raggiunto la quota di 181.436, quasi il 18% in più rispetto al 2015.
La Sicilia, con 123mila persone sbarcate, è stata la regione più coinvolta. Dalla Libia è giunta la stragrande maggioranza dei migranti pari a 162mila.
Nei primi sei mesi del 2017 il numero di sbarchi segna quota 83.752, 19,3% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. La Nigeria si conferma, come nel 2016, il primo Paese di origine dei migranti sbarcati con oltre 14mila persone seguita da Bangladesh (8.241) e Guinea (7.759). Il 2016 ha visto aumentare, anche se di poco, il numero dei rimpatri.

Le domande esaminate dalle Commissioni territoriali nel 2016 sono state oltre 91mila con un esito positivo nel 40,2%; i dinieghi, per contro, oltre il 56%. Nel primo semestre del 2017 le domande complessivamente esaminate ammontano a 41.379 (cifra ben lontana rispetto all’anno precedente) e per il 51,7% l’esame si è concluso con un diniego.

Al 15 luglio 2017 i migranti presenti nelle varie strutture di accoglienza erano 205mila: i CAS, centri di accoglienza straordinaria rimangono quelli più utilizzati, seguiti a ruota dallo SPRAR. Molto importante è il contributo della Chiesa Cattolica in questo senso, la quale ha profuso impegno e risorse per attivare progetti di accoglienza anche nelle parrocchie e famiglie ad essa afferenti.

In merito ai minori stranieri non accompagnati, il numero degli sbarchi è aumentato rispetto allo scorso anno e inoltre, il 2017 ha visto l’approvazione legge 47/17 che prevede nuove misure in materia di accertamento dell’età. Dal punto di vista dell’accoglienza, i dati della Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche dell’integrazione del Ministero del lavoro al 30 aprile 2017 riportavano 15.939 minori stranieri non accompagnati complessivamente presenti in Italia, di cui il 26,1% accolti in centri di prima accoglienza e il 65,8% in strutture di seconda accoglienza, per un totale di 1.917 strutture censite. Purtroppo, l’esigua presenza di strutture apposite per i MSNA resta al momento una falla nel sistema.
Alla luce di questi dati, molte sono le speranze per l’immediato futuro: in primis, che i governi comprendano la necessaria assunzione di responsabilità, ricordando che la politica deve essere al servizio della persona, nel rispetto dei valori che rendono civile una società e di quei tanto millantati diritti umani, così belli e facili a dirsi, molto meno a farsi.

Scarica:
– Il rapporto completo
Rapporto protezione internazionale in Italia 2017
– La sintesi del rapporto
Sintesi rapporto protezione internazionale in Italia 2017
– Le pillole del rapporto
Pillole rapporto protezione internazionale in Italia 2017
– Le slide della presentazione
Slides rapporto protezione internazionale in Italia 2017

  1. L’Italia è responsabile dell’azione libica nel Mediterraneo