Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Resoconto del Women Legal Team di ritorno da Idomeni

L’associazione di donne Le Mafalde di Prato ha organizzato un gruppo di avvocate ed esperte in tema di immigrazione e protezione internazionale.
Dal 6 al 13 maggio ci siamo recate nel campo profughi di Idomeni in Grecia, a ridosso del confine con la Macedonia, per supportare il lavoro dei volontari internazionali che da mesi operano nella “Info Tenda” all’interno del campo. 
Questo punto informativo è anche supportato dal progetto italiano “NoBorder Wi-FI” gestito da #OverTheFortress, che ha comprato dei generatori di corrente e creato l’unico spazio dove è possibile ricaricare telefoni e altro e ha anche creato un punto di connessione WI-FI, l’unico presente in tutto il campo.
Nel campo sono “bloccate” da mesi più di 10 mila persone di varie nazionalità (siriani, afghani, iracheni e curdi) che vivono dentro tende piùù o meno grandi dislocate in base ai gruppi etnici di appartenenza. Il 40% sono bambini e oltre 600 le donne in stato di gravidanza.
Il numero delle persone sta diminuendo di giorno in giorno perché nelle ultime settimane il governo greco ha comunicato che entro fine maggio il campo verrà sgomberato e le persone verranno trasferite nei 34 campi ufficiali gestiti dall’esercito greco in collaborazione con UNHCR.

#womenlegalteam a Idomeni from MaYa Mafalda on Vimeo.

Le persone con sui abbiamo parlato non vogliono andare in questi campi perché hanno saputo da altre persone che ci sono state, e dopo sono ritornate nel campo di Idomeni, che sono come delle prigioni.
Ci raccontano che nei centri governativi non c’è cibo a sufficienza, le famiglie allargate vengono divise, non vengono aiutati nelle domande di protezione internazionale e anche lì occorre fare una chiamata SKYPE per poter avere un appuntamento con le autorità greche per poter presentare la domanda di protezione internazionale.
Come è stato più volte evidenziato nessun ufficio greco risponde a questa chiamata SKYPE e migliaia di persone rimango bloccate in questi campi disumanizzanti e umilianti pur avendo diritto a chiedere la protezione internazionale, perché sono persone che fuggono da guerre e violenze.
Ricordiamo anche che nei campi governativi essendo zone militari è vietato l’accesso alla stampa e a osservatori internazionali che più volte hanno chiesto di entrare per monitorare la situazione.

Inoltre molte persone credono ancora che l’Europa un giorno riaprirà la frontiera.

Il nostro lavoro all’interno della Info Tenda è stato quello di ascoltare le persone e selezionare i casi più sensibili (e questo non è stato facile perché nel campo è pieno di casi vulnerabili), prendere le dichiarazioni di queste persone dove spiegano la loro storia, perché sono scappati dal loro paese, la loro difficoltà a chiedere la protezione internazionale e il paese dove vorrebbero andare e perché.

La maggior parte di queste persone ha già dei familiari in Europa, mariti, mogli, figli minori ecc. e la gran parte di loro ha diritto non solo a chiedere la protezione internazionale ma anche il ricongiungimento familiare con i loro parenti.

Ma questo diritto diventa insormontabile una volta che lo Stato dove loro provano a chiedere ricongiungimento familiare chiede loro una lista di certificati che sono impossibili da produrre come il passaporto, le persone ci raccontano che molti di loro non hanno mai avuto un passaporto e chi lo aveva non ha pensato di prenderlo quando la sua casa è stata bombardata. I certificati di parentela legalizzati e tradotti nella lingua del paese dove si vuole chiedere il ricongiungimento con il parente.
Quindi appare chiaro come la burocrazia europea non sia stata minimamente snellita per andare incontro alle persone che sono scappate dal loro paese e hanno diritto ad una protezione internazionale.

I casi da segnalare sarebbero tanti, possiamo citare N. curda-siriana che sta sola nel campo e non può andare dalla figlia di 14 anni che si trova in Germania in un centro per minori non accompagnati, il caso di F. che è molto malata e sta con tre figlie piccole e non riesce a raggiungere il marito che sta in Germania con un permesso di protezione internazionale.

Altro caso che è stato seguito dalle nostre legali è lo smarrimento di un signore siriano che da 10 giorni non tornava al campo.
Il 30 aprile insieme alla moglie e alla figlia e ad altre 20 persone l’uomo si era allontanato per dirigersi verso la Macedonia.
Dopo aver attraversato il confine il gruppo smarrito e oramai esausto di camminare ha chiamato la Polizia macedone, fra tutte le persone del gruppo solo il signore siriano veniva trattenuto dalla Polizia.
La moglie e la figlia e gli altri del gruppo sono tornati in Grecia al campo di Idomeni.
Il primo giorno che siamo arrivate nel campo siamo state contattate da dei volontari internazionali che conoscevano la moglie e che chiedevano aiuto per capire dove fosse il marito, la famiglia era disperata e continuavano a piangere.
Le avvocate del gruppo hanno subito preso in carico il caso e sono subito andate a sporgere denuncia di scomparsa alle Autorità macedoni.
Si sono recate in ben 4 posti di Polizia i quali tutti si rifiutavano di raccogliere le dichiarazioni, e alla fine hanno deciso di di chiamare il Consolato italiano a Skopje e di segnalare l’impossibilità per delle cittadine italiane di dichiarare la scomparsa dell’uomo.
Nel frattempo le avvocate hanno scritto ad Amnesty International, Croce Rossa, varie associazioni macedoni e altre ONG per informarle del caso di smarrimento.
Mercoledì 11 maggio alle ore 13 il console dell’Italia in Macedonia ci ha comunicato che il signore è stato trattenuto come testimone in un campo governativo della Grecia e verrà presto rilasciato, anche se non sappiamo ancora di preciso quando.
Con grande soddisfazione dopo aver ricevuto questa bella notizia siamo andate nella tenda della signora, con la nostra interprete Rawan, e abbiamo comunicato alla signora quello che avevamo saputo. La famiglia era molto contenta anche se ancora molto preoccupata della sorte del signore e continuavano a chiederci quando di preciso avrebbe fatto ritorno a casa.
Ad oggi il signore non è ancora tornato a casa.

Il nostro team ha raccolto 17 storie con tutti i documenti allegati delle persone e ha inviato via fax e tramite corriere un ricorso urgente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Nello specifico sono state contestate le seguenti violazioni della Convezione Europa dei Diritti dell’Uomo art. 3 “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti” e art. 8 “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza..non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge..e necessario alla sicurezza nazionale..”
Qualche giorno fa il CEDU ci ha risposto e ci ha chiesto delle integrazioni che le legali stanno predisponendo.

Concludiamo questo resoconto con la speranza che tutte le persone che sono bloccate nel campo di Idomeni e nei campi vicino EKO camp, Hara Hotel e altro.. vengano al più presto ascoltate di persona dagli uffici che hanno la competenza di prendere le domande di protezione internazionale e che persone che hanno parenti in Europa possano ricongiungersi al più presto con le loro famiglie.

20 maggio 2016

Le donne del #womenlegalteam

– Per leggere altri resoconti del #womenlegalteam potete andare sul nostro sito: www.lemafalde.org

– Video del #womenlegalteam delle chiamate SKYPE che non hanno MAI risposta:

Idomeni Skype call #womenlegalteam from MaYa Mafalda on Vimeo.