1. Alla fine del 2009 dovrebbe entrare finalmente in vigore la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che prevede il divieto di espulsioni collettive, comprendendo in questo termine qualunque forma di respingimento in frontiera o di allontanamento forzato dal territorio che non consenta una identificazione individuale della persona, e dunque la proposizione di una istanza di asilo, o altra forma di protezione internazionale o il riconoscimento di una vittima di tortura o altri trattamenti inumani e degradanti, o ancora l’accertamento della minore età. Uno strumento normativo che dovrebbe consentire agli organismi comunitari, a partire dalla Corte di Giustizia, ed ai giudici interni, di sanzionare prassi amministrative, magari supportate da accordi bilaterali, che permettono di eludere quel divieto.
L’esternalizzazione dei controlli di frontiera, che assume adesso una dimensione operativa dopo gli accordi ed i protocolli operativi stipulati dall’Italia con la Libia, la Tunisia e l’Algeria, la chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo con i respingimenti collettivi in mare ed alle frontiere marittime, e le retate operate con “pattuglie miste” delle polizie presenti nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia, ai danni dei migranti irregolari, spesso donne e minori, o altri potenziali richiedenti asilo, stanno aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi. Quanto sta avvenendo in questi mesi in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del governo italiano nelle pratiche informali di respingimento “informale” dai porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e scopre tutte le ipocrisie di chi afferma di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane inerte ad assistere allo scempio del diritto di asilo, di persone che avrebbero titolo ad ottenere protezione ma sono arrestate, respinte o espulse.
Le responsabilità di questo imbarbarimento delle regole dei controlli di frontiera sono molteplici e vengono da lontano, a partire dalle scelte proibizioniste dei paesi che negano ai migranti qualsiasi possibilità di accesso legale, dalla creazione dell’agenzia per il controllo delle frontiere esterne europee FRONTEX nel 2004, dalla incapacità dell’Europa di darsi una politica comune dell’asilo, limitandosi a legittimare la cd. “cooperazione operativa” tra i vari paesi, una cooperazione operativa che copre gli abusi della polizie di frontiera e rende impossibile fare valere i più elementari diritti di difesa.
A livello mediatico bastano pochi termini fumosi in una intervista televisiva per rassicurare l’opinione pubblica e camuffare la continua involuzione delle diverse forme di contrasto dell’immigrazione irregolare verso la negazione sostanziale dei più elementari diritti fondamentali della persona. Il caso dei rapporti tra Italia e Libia è, anche da questo punto di vista, emblematico.
2. Nel mese di maggio del 2009 il presidente del consiglio definiva i respingimenti collettivi verso la Libia un “atto di grande umanità”, aggiungendo che per chi fuggiva da guerre e persecuzioni sarebbe stato possibile “rivolgersi all’agenzia Onu per dimostrare la loro situazione e, in caso, ottenere il diritto di asilo”. Ma l’ONU non ha offerto alcuna copertura al governo italiano ed ha denunciato a più riprese l’ arbitrarietà dei respingimenti, al punto che suoi rappresentanti, come Laura Boldrini, sono stati attaccati e minacciati da diversi esponenti del centro-destra. Un attacco “ad personam” che non ha risparmiato neppure Thomas Hammarberg, Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, “reo” di avere denunciato la sistematica disapplicazione delle decisioni della Corte Europea per i diritti umani da parte dell’Italia e la prassi illegale dei respingimenti collettivi praticati dalle autorità milita.ri su disposizione del ministro dell’interno.
Secondo quanto dichiarato da Berlusconi nei primi giorni successivi all’avvio dei respingimenti concordati da Maroni con i libici, “se qualcuno è entrato nel nostro territorio, nelle acque territoriali, noi verifichiamo se ha il diritto di restare perché in condizione di chiedere asilo nel nostro Paese. Verifichiamo il suo diritto d’asilo, se proviene da situazioni di pericolo, mancanza di libertà o altro. Se però questi barconi, che sono purtroppo gestiti da organizzazioni criminali che si fanno pagare, che trasportano anche schiave, portate da noi per essere avviate alla prostituzione, se questi barconi noi li fermiamo prima delle acque territoriali, dando tutto l’aiuto e soccorso necessario non solo per salvargli la vita ma perché stiano bene, abbiano acqua, viveri, cure mediche, noi li scortiamo fino al punto d’imbarco e là, lo abbiamo fatto adesso per la Libia, ci sono per esempio le Agenzie delle Nazioni Unite che possono verificare lì, in loco, se hanno diritto all’asilo”.
In successivi interventi televisivi lo stesso Berlusconi ha affermato che nel caso degli interventi operati dalle unità militari italiane nelle acque internazionali del canale di Sicilia non si trattava di respingimenti vietati dalle convenzioni internazionali, in quanto, a suo avviso, i mezzi della marina militare e della guardia di finanza “affiancano” le imbarcazioni cariche di migranti per ricondurle verso le acque libiche dove vengono presi in consegna dalla polizia di Gheddafi. Dopo le proteste suscitate dalla riconsegna diretta dei migranti da parte delle unità militari italiane entrate in un porto libico, si instaurava dunque una pratica più “discreta” che contemplava il trasbordo in alto mare in modo da evitare fotografi ed altri scomodi testimoni. Restavano soltanto alcuni migranti, sepolti in un carcere libico, che avrebbero potuto testimoniare sulle violenze subite nelle operazioni di “ordinary rendition” ai libici.
Secondo il governo italiano questa attività di “contrasto dell’immigrazione illegale” svolta nelle acque del Canale di Sicilia avrebbe avuto un risvolto “umanitario”, contenendo il numero delle vittime, oltre che riducendo in modo consistente il numero degli sbarchi. In realtà si nasconde all’opinione pubblica quanto avviene nelle acque internazionali e si ignorano le vittime delle violenze della polizia, oltre che dei trafficanti libici. Numerosi rapporti internazionali e documenti video, e di recente le stesse testimonianze delle vittime, confermano che dopo la entrata in vigore degli accordi di respingimento tra Italia e Libia la condizioni dei migranti in transito in quel paese sono peggiorate e molti di loro finiscono sempre più spesso in veri e propri lager. Malgrado la presenza di organizzazioni umanitarie e la ristrutturazione di alcune carceri, ad uso e consumo delle ispezioni internazionali, in Libia la situazione degli immigrati in transito è sempre peggiore, alcuni centri di detenzione come quello di Kufra sono ancora off-limits, nel carcere di Bengasi sono stati uccisi alcuni somali che tentavano di fuggire, molti altri sono stati feriti o torturati, e continua la collusione tra le forze di polizia ed i trafficanti. Soltanto chi paga riesce a sottrarsi alle sevizie dei secondini che comandano nei centri di detenzione, abusano delle donne e si fanno pagare per lasciare fuggire qualcuno, e questo avviene probabilmente anche in quelle carceri visitate periodicamente da organizzazioni internazionali e da ufficiali di collegamento.
Maroni e Frattini hanno sempre negato la fondatezza delle critiche rivolte ai respingimenti collettivi da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, della Chiesa cattolica, di autorevoli rappresentanti della Commissione Europea, da ultimo dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Per tutti i critici, piuttosto che repliche basate sulle norme e sui fatti, soltanto minacce e insulti, oppure mistificazione del contenuto delle convenzioni internazionali e travisamento dei fatti. E anche tanta disinformazione, come quando il ministro degli esteri sostiene che l’Italia ha effettuato il maggior numero di salvataggi a mare, tra i paesi europei, prendendo in esame il periodo 2007-2009. Un ulteriore elemento di confusione perché nelle statistiche diffuse da Frattini si considerano anche i migranti salvati dalla marina italiana e condotti a Lampedusa negli anni (2007 e 2008) in cui non si effettuavano respingimenti in Libia ( salvo rare eccezioni) e le regole di ingaggio delle nostre unità militari, decise dal governo Prodi, erano considerate come un esempio positivo a livello europeo.
Dal mese di gennaio del 2009, soprattutto per l’attivismo di Maroni che si è recato in Libia per “perfezionare” i precedenti accordi bilaterali, è cambiato tutto, e se sono diminuiti gli arrivi in Sicilia e a Lampedusa sono aumentate le vittime, non solo in mare, ma anche nelle carceri e nei deserti della Libia. E tutto in un clima da segreto militare, perché mentre i protocolli di Amato del 2007 erano noti, gli ultimi accordi stipulati a Tripoli tra Maroni ed i libici nel febbraio scorso rimangono segreti. Sarebbe tempo che il Parlamento, che il giorno prima ha votato “alla cieca” la ratifica del Trattato di amicizia con la Libia, decida la istituzione di una commissione di inchiesta sulle modalità di attuazione di quegli accordi, e dunque sui respingimenti collettivi.
L’attuazione concreta degli accordi tra Italia e Libia sembra destinata ad una continua mutazione, anche per il mutare delle circostanze atmosferiche o dei rapporti politici, mentre tarda a decollare il confronto tra L’Unione Europea e Gheddafi per la stipula di un accordo di cooperazione nella “guerra” all’immigrazione illegale, una guerra che appare oggi rivolta soprattutto a coloro che sono vittima del traffico che si vorrebbe contrastare.
Alle procedure di respingimento collettivo ed immediato verso le coste africane, con il coinvolgimento attivo delle unità militari italiane e maltesi, come si è fatto per tutta l’estate, si preferisce adesso delegare alle navi militari libiche il compito di effettuare il blocco e la deportazione dei migranti che sono scoperti in acque internazionali, o ai limiti delle acque territoriali libiche, mentre tentano di raggiungere l’Italia.
Le mutate e più severe condizioni meteo impediscono le “operazioni lampo” realizzate dalla Guardia di finanza di stanza a Lampedusa, che nei mesi estivi, in poche ore, anche su segnalazione delle unità Frontex, intercettava le imbarcazioni cariche di migranti ai limiti delle acque internazionali e le “restituiva” ai libici, con trasbordi in mare spesso violenti e in violazione del divieto di espulsioni collettive. Con le cattive condizioni meteo dei mesi invernali, in otto-dieci ore non è facile arrivare al limite delle acque libiche, respingere i migranti e rientrare a Lampedusa, come è stato possibile durante l’estate quando il mare era calmo. E l’autonomia dei mezzi veloci della Guardia di Finanza non consente più quel pattugliamento in alto mare che nel 2008 ha permesso ai mezzi della marina militare di salvare migliaia di vite. Ma oggi quegli stessi mezzi sono stati ritirati, per decisione politica, molto più a nord a “difendere” le coste di Lampedusa e della Sicilia meridionale, e vi è stato anche un avvicendamento negli uomini che dirigevano gli interventi di salvataggio.
Forse si sono accesi troppi riflettori sulle prassi di “cooperazione pratica” tra le polizie italiane, maltesi e libiche, dopo che la Commissione Europea ha chiesto informazioni all’Italia proprio sui respingimenti collettivi, dopo che le Procure di Agrigento e Siracusa hanno aperto indagini penali iscrivendo nel registro degli indagati alti esponenti della Guardia di finanza, dopo che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha continuato a ricevere gli esposti di quanti sono stati deportati in Libia.
3. Quanto avviene nelle acque del Canale di Sicilia dal mese di maggio contrasta con la normativa interna in materia di regole di ingaggio delle unità navali preposte al contrasto dell’immigrazione irregolare. Il decreto del Ministro dell’interno 19 giugno 2003 (Misure su attività di contrasto dell’immigrazione illegale via mare), emanato in attuazione dell’art. 12, comma 9-quinquies T.U., introdotto dalla legge n. 189/2002, consente attività di pattugliamento di unità navali italiane anche al fine di rinviare imbarcazioni prive di bandiera nei porti di provenienza (non in qualsiasi porto), ma rispettando ben determinate procedure e comunque, in ogni caso, tutte le attività devono essere improntate “alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona” (art. 7), oltre al limite, invalicabile, del rispetto dei diritti umani nei termini ben definiti dal diritto nazionale, comunitario ed internazionale.
Se i migranti in navigazione si trovino in stato di pericolo ogni nave italiana ha il dovere di soccorrerli e di trasbordarli su altre unità navali italiane; infatti in base alla Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 (Marittime Search and Rescue Sar), a cui l’Italia ha aderito e ha dato esecuzione con legge 3 aprile 1989, n. 147, ogni nave italiana è obbligata a procedere alle operazioni di soccorso ai naufraghi e, nel caso verifichi lo stato di pericolo delle imbarcazioni dei migranti, ha l’obbligo di portarli in porto sicuro e dunque in Italia, essendo il luogo in cui le navi italiane sono autorizzate ad attraccare e dove gli stranieri possono essere protetti da gravi violazioni dei diritti umani. Dove potrebbero anche presentare una domanda di asilo politico e di protezione internazionale; anche quando una nave militare o in servizio di polizia prende misure di ispezione o controllo nei confronti di un’imbarcazione che è sospettata di trasportare migranti in condizioni irregolari ha comunque l’obbligo di assicurare l’incolumità e il trattamento umano delle persone a bordo e l’applicazione del principio di non allontanamento e le altre norme della convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (così prevedono gli artt. 9 e 19 del Protocollo addizionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001, ratificati e resi esecutivi con legge 16 marzo 2006, n. 146);
I respingimenti collettivi verso la Libia, anche nella versione più recente camuffata da omissione di soccorso e richieste di intervento delle unità militari libiche, contrastano con la normativa comunitaria. L’art. 12 del Codice comunitario delle frontiere Schengen prevede che le autorità di polizia possano bloccare i migranti che tentano di entrare nel territorio di uno stato Schengen, ma secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia questo potere non può essere esercitato in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali va annoverato il diritto di chiedere asilo ed il diritto a non subire respingimenti collettivi. Chiunque venga raccolto a bordo di una unità battente bandiera italiana in attività di controllo delle frontiere marittime, si trova in territorio italiano e se fa richiesta di asilo, o se si tratta di un minore, non può essere riconsegnato alle autorità di un paese terzo come la Libia, soprattutto quando non può essere stabilita la esatta provenienza delle persone raccolte in mare. Chi contravviene queste regole viola il diritto internazionale e questa stessa violazione andrebbe sanzionata anche dal giudice penale italiano quanto meno come abuso di ufficio, se non come omissione di soccorso o vero e proprio sequestro di persona. Sono forse queste le ragioni per le quali per giorni si è negato un intervento di assistenza, affidando ad una petroliera il compito di “spianare” il mare in burrasca, a lato del barcone carico di migranti, ed adesso si affida ai libici il “lavoro sporco” di effettuare concretamente la deportazione.
Il principio di non refoulement ( non respingimento), sancito oltre che dalla Convenzione a salvaguardia dei diritti dell’Uomo (CEDU) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalla Convenzione di Ginevra del 1951, vale anche in acque internazionali, come è ribadito nelle linee guida dell’ACNUR, ed anche quando c’è il rischio che le persone respinte verso un paese terzo come la Libia siano successivamente deportate verso i paesi di origine nei quali possono subire arresti arbitrari, torture o altri trattamenti disumani o degradanti.
Le deportazioni successive praticate su vasta scala dalla Libia, anche con fondi europei, aggravano le conseguenze della violazione del principio di non respingimento da parte di quei paesi come Malta e l’Italia che dovrebbero garantire soccorso ed assistenza, e non invece consentire deportazione ed arresti arbitrari. Per questo motivo “chiamare” le unità militari libiche per ricondurre i migranti che si trovano in acque internazionali quando invece dovrebbe scattare un obbligo di protezione e di salvataggio, equivale ad un “respingimento collettivo” vietato da tutte le convenzioni internazionali.
Appare evidente come ormai le autorità italiane e maltesi non si “sporchino” più le mani con i respingimenti collettivi, per i quali sono aperti procedimenti penali davanti ai tribunali italiani ed alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ma preferiscano delegare al mare, o ai libici, il compito di arrestare la fuga dei migranti verso l’Europa. Anche nel caso dell’eventuale riconduzione in un porto libico la sorte di queste persone appare segnata, perché, come si è verificato negli ultimi tempi in casi analoghi, si tratterà di migranti che non appena sbarcati in Libia saranno rinchiusi per mesi nei centri di detenzione ancora vittime di abusi di ogni genere. Abusi la cui responsabilità incombe direttamente su quei governi europei che hanno concluso accordi con la Libia, ed adesso anche sulla Commissione Europea e sul Consiglio dell’Unione Europeo che vorrebbero intensificare i rapporti di collaborazione tra l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX) ed il governo libico.
La Commissione Europea dovrà fare luce sui rapporti tra le operazione dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere FRONTEX e le attività di pattugliamento congiunto e di respingimento collettivo poste in essere dalle autorità italiane, maltesi e libiche. Chiediamo inoltre di conoscere le attività di salvataggio poste in essere dalle unità aero-navali di Frontex nelle acque internazionali e nella zona SAR di competenza della Repubblica maltese, a partire dall’avvio delle missioni gestite dall’Agenzia Europea per il controllo delle frontiere esterne con base a Malta.
Il Parlamento e l’Unione Europea dovranno imporre a Malta il rispetto dei doveri di salvataggio nella zona SAR di sua competenza, stabilendo analogo obbligo per l’Italia quando non vi siano mezzi maltesi pronti ad intervenire. Ove ciò non si verificasse, si dovrebbe adottare a livello internazionale un accordo che ridimensioni la zona SAR che Malta, soprattutto per ragioni economiche ( pedaggi), si è riservata dalla fine della seconda guerra mondiale. Il governo maltese deve accettare gli emendamenti aggiuntivi della Convenzione di Montego Bay del 1982, in vigore dal 2006 ed accettati dall’Italia, secondo i quali sono i governi rivieraschi comunque responsabili delle azioni di salvataggio. Ma chiediamo anche che venga superato il Regolamento Dublino 2 che scarica sugli stati esterni dell’Unione Europea la competenza per le domande di protezione internazionale. Malta a differenza dell’Italia, non può accogliere un numero elevato di richiedenti asilo e gli altri paesi europei devono accettare il ritrasferimento (resettlment) sui propri territori di quanti raggiungono quell’isola. Assai diverso il caso dell’Italia che accoglie soltanto un decimo ( circa 50.000) dei rifugiati che accoglie la Germania ( oltre 500.000). E poi qualcuno lamenta ancora che in Italia si corre il rischio di “invasione” non appena arrivano alcune centinaia di richiedenti asilo.
La magistratura italiana e gli organismi dell’Unione Europea dovranno accertare ed eventualmente sanzionare l’inadempimento degli obblighi di protezione nei confronti delle persone in pericolo di vita a mare, poste in essere dalle autorità maltesi, o durante operazioni di pattugliamento o di salvataggio coordinate dalle stesse autorità nella zona SAR ( Ricerca e soccorso) di competenza della Repubblica maltese. Ma la stessa verifica va avviata nei confronti delle autorità italiane per i respingimenti collettivi praticati su vasta scala fino a poche settimane fa.
Auspichiamo che i parlamentari europei sappiano bloccare questa politica di collaborazione dell’Unione Europea con i regimi dittatoriali dei paesi della sponda sud del mediterraneo, una politica che per contrastare l’immigrazione irregolare cancella i diritti fondamentali della persona umana, a partire dal diritto di asilo. Una politica che agevola oggettivamente le mafie che a parole tutti dichiarano di combattere. Attendiamo anche che finalmente la magistratura italiana e la Corte Europea dei diritti dell’uomo condannino le pratiche congiunte dell’omissione di soccorso e dei respingimenti collettivi.
4. I respingimenti collettivi non avvengono soltanto nelle acque tra la Libia, Malta e la Sicilia ma costituiscono ormai una pratica quotidiana alle frontiere portuali dell’Adriatico.
Se la Libia non aderisce alla Convenzione di Ginevra, gli altri paesi del Mediterraneo applicano in pochissimi casi le procedure di asilo. La Grecia, che pure fa parte dell’Unione Europea, non consente alcuna applicazione effettiva della stessa convenzione, che ha sottoscritto da anni, effettuando retate violente e successive deportazioni verso la Turchia, malgrado i rappresentanti dell’Alto commissariato per i diritti dei rifugiati abbiano denunciato le “pratiche informali” con le quali questo paese arresta e deporta i migranti, molti dei quali minori, ai quali si nega qualsiasi accesso alla procedura di asilo. Nonostante il duro richiamo della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che ha ingiunto alla Grecia di non espellere verso altri paesi i migranti afghani, continuano dunque le deportazioni arbitrarie da parte di uno stato che sarebbe tenuto a rispettare, oltre alle Convenzioni ONU (compresa quella sui diritti dei minori), le Direttive comunitarie in materia di asilo e di protezione internazionale.
Durante la trasmissione “Presa diretta” di Riccardo Iacona, lo scorso mese di settembre, è tornato in evidenza il tema dei respingimenti collettivi di potenziali richiedenti asilo irakeni ed afgani, molti dei quali minori non accompagnati, da Venezia, da Ancona, da Bari, da Brindisi, verso Patrasso ed Igoumentitsa, in Grecia. Nel corso della trasmissione, un funzionario della Polizia di Ancona riferiva che non gli risultavano casi di minori non accompagnati o di richiedenti asilo respinti verso la Grecia, ma aggiungeva che questo dato riguardava soltanto l’attività della Polizia di Stato, mentre è notorio che le attività di controllo dei mezzi sbarcati dai traghetti che arrivano da Patrasso sono svolte preliminarmente dalla Guardia di Finanza. E sono finanzieri che riaccompagnano sui traghetti i migranti che scoprono sulla banchina, o all’interno dei container, subito dopo lo sbarco. I servizi di accoglienza alla frontiera, presso i quali operano diverse associazioni che dovrebbero occuparsi dei richiedenti asilo, non sono messi in condizione di conoscere l’arrivo di migranti irregolari in quanto non hanno accesso regolare alle banchine portuali quando arrivano le navi, che dopo qualche ora ripartono verso la Grecia. Di fatto queste associazioni lavorano quasi esclusivamente con gli immigrati che la polizia, o la guardia di finanza, decidono di condurre nei loro uffici. Una violazione eclatante delle direttive comunitarie e delle norme interne di attuazione in materia di accoglienza e di accesso alle procedure di asilo che sottraggono alla discrezionalità delle forze di polizia la presentazione di una istanza di protezione internazionale.
A tutti i livelli, si adotta la stessa tecnica di “oscuramento” con la quale si nega persino l’evidenza dei fatti, anche se diversi testimoni oculari hanno assistito ai respingimenti sommari posti in essere dalla Guardia di Finanza alle frontiere portuali dell’Adriatico. Migliaia di persone arrivate con i traghetti dalla Grecia, nascoste sotto i TIR oppure all’interno dei container, e molti tra di loro sono morti in modo orribile, sono state respinte in Grecia in violazione del divieto di espulsioni collettive, sancito dalle Convenzioni internazionali, senza alcuna identificazione certa, senza alcuna possibilità di accesso alla procedura di asilo, senza alcun riconoscimento dei diritti di permanenza dei minori. E neppure la stampa locale, che prima dava ampia notizia di questi respingimenti, riporta un rigo di cronaca su quanto continua ad avvenire in spregio delle convenzioni internazionali, e delle norme sui respingimenti stabilite dal Testo Unico n. 286 del 1998 sull’immigrazione (per documenti sui respingimenti verso la Grecia si rinvia a fortresseurope.blogspot.com).
Come nel caso dei migranti consegnati da militari italiani alla polizia libica, anche sui respingimenti collettivi verso la Grecia pende un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. La Corte Europea ha richiesto all’Italia ed alla Grecia informazioni precise su quanto avviene alle frontiere portuali, una richiesta che è stata elusa per mesi, con continue richieste di rinvio e che quando è stata adempiuta ha negato l’esistenza di fatti che persino la stampa quotidiana locale continua a riportare con cadenza periodica. Anzi, secondo il governo italiano la situazione in Afghanistan consentirebbe il rimpatrio di quanti sono fuggiti da quel paese. E l’accordo di riammissione con la Grecia, stipulato nel 1999 stabilirebbe pure la “riammissione” “senza formalità” di quanti giungono irregolarmente con i traghetti dalla Grecia. Un accordo bilaterale, quello stipulato con la Grecia, che varrebbe più di convenzioni internazionali e di regolamenti comunitari.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Seconda Sezione, il 18 novembre 2008, ai sensi dell’articolo 39 CEDU ha già ravvisato, invece, la possibile violazione dell’art. 34 CEDU e intimava allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, EDA/cbo, Requete n°55240/08, M. c. Italie). Nella motivazione del provvedimento di sospensiva la Corte faceva riferimento ad una sua precedente decisione nel caso Mamatkulov et Askarov c. Turquie (requete n 46827/99 et 46951/99) paragrafi 128 e 129 e dispositivo numero 5, nella quale si sanzionava il mancato rispetto del diritto ad un ricorso individuale ai sensi dell’art. 34 del Regolamento di procedura della stessa Corte. Lo stesso diritto di ricorso effettivo negato ancora oggi ai migranti afghani ed irakeni respinti “senza formalità” dalle frontiere portuali dell’Adriatico verso la Grecia.
La Corte, considerava in particolare le notorie condizioni nelle quali si trovano i minori non accompagnati ed i potenziali richiedenti asilo, soprattutto kurdi, afghani ed irakeni, in Grecia, a Patrasso in particolare, detenuti in condizioni disumane ed esposti alle percosse della polizia greca, come censito da diversi rapporti di agenzie umanitarie, da Amnesty International alla tedesca Pro Asyl, e concludeva che il mero allontanamento indiscriminato, dai porti dell’Adriatico verso la Grecia, verificato talvolta anche ai danni di madri che accompagnavano i loro figli piccoli, si può configurare come un “trattamento inumano e degradante”, quale si è andato definendo in questi anni nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La corte concludeva osservando pure come nelle concrete modalità di esecuzione delle misure di “riammissione” in Grecia da parte dell’Italia si potrebbe riscontrare infine una violazione del divieto di espulsioni collettive (nelle quali vanno ricomprese anche i casi di respingimento) sancito dall’art. 4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
5. Appare ormai evidente come, per non riconoscere i diritti che spettano ai minori ed ai richiedenti asilo che riescono ad entrare in suolo italiano, si cerca di impedire l’accesso al territorio ed alla procedura di riconoscimento, di asilo o di accertamento dell’età, praticando forme sommarie di respingimenti collettivi che contrastano, oltre che con il diritto interno, con la normativa comunitaria ed internazionale, che non possono essere derogati dall’accordo stipulato dall’Italia con la Grecia nel 1999. La situazione dei migranti irregolari in Grecia, soprattutto quella subita da afgani ed irakeni, dovrebbe essere ben nota al governo che invece finge di ignorarla.
La sesta sezione del Consiglio di Stato (ordinanze del 3 febbraio 2009) ha disposto la sospensione del trasferimento in Grecia di tre giovani richiedenti asilo afgani, decretato dal Ministero dell’Interno ai sensi della Convenzione di Dublino (regolamento CE, nr. 343/2003). Come si legge nella pronuncia, la sospensione del trasferimento dei rifugiati afgani è stata decisa “alla luce dei danni paventati dal ricorrente, che si palesano gravi e irreparabili per come la situazione è rappresentata nel rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati pubblicato il 15 aprile 2008”. Il Consiglio di Stato ha dunque bloccato l’iniziativa del Ministero dell’Interno di allontanamento dall’Italia dei giovani afgani, in ragione delle note, ripetute ed ingiustificabili violazioni della normativa comunitaria e dei diritti umani perpetrate in Grecia.
Come si sta tentando di giustificare i respingimenti collettivi in Libia strumentalizzando la presenza dell’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), mentre la Libia non aderisce ancora alla Convenzione di Ginevra e questa organizzazione non riesce a trattare più di qualche centinaio di casi, la stessa operazione di mistificazione dei fatti si sta portando avanti da tempo con riguardo alla situazione delle frontiere portuali dell’Adriatico.
Nei porti di Venezia e di Ancona sono infatti presenti gli operatori dell’associazione CIR, accreditata dal Ministero degli Interni per il lavoro di assistenza legale in frontiera, ma questi stessi operatori non hanno libero accesso alle navi, e il più delle volte, quando la polizia di frontiera o la guardia di finanza fermano i minori o i potenziali richiedenti asilo come gli afghani, li reimbarca immediatamente, magari negli orari di chiusura degli uffici di assistenza in frontiera, senza neppure dare notizia dell’arrivo di persone che dovrebbero essere ammesse immediatamente alle procedure di protezione internazionale. E questa circostanza è stata accertata da diversi testimoni oculari, proprio nei luoghi di frontiera come Ancona..
Se ad Ancona è stato possibile assistere direttamente ad un respingimento sommario in frontiera, proprio sulla banchina del porto a pochi metri dal portellone del traghetto giunto da Patrasso, negli altri porti italiani la frontiera marittima è completamente militarizzata e quando vengono scoperti migranti irregolari non ci sono testimoni. Spesso mancano anche gli operatori umanitari che dovrebbero essere impegnati nei servizi di accoglienza in frontiera.
Le identificazioni dei minori e dei potenziali richiedenti asilo giunti nel porto di Venezia vengono svolte di norma nella zona di transito del porto all’interno di un fabbricato senza la presenza di interpreti, mediatori culturali e operatori legali. Nelle due stanze adibite all’identificazione i migranti, indipendentemente dal loro numero, vengono trattenuti per alcune ore e quindi rimbarcati. Nel caso in cui invece siano rintracciati dall’Autorità doganale o dalla Guardia di finanza i migranti vengono condotti all’interno di un grande capannone che si trova sempre all’interno del porto e che normalmente è adibito al controllo della merce in entrata. Sono quindi messi in fila appoggiati alle pareti e lì lasciati ad attendere per ore senza che vengano interpellati i servizi di accoglienza che sarebbero deputati ad intervenire. Talvolta la scoperta dei “clandestini” avviene invece a bordo delle navi greche ormeggiate nei porti di Venezia ed Ancona ad opera del personale marittimo o della Polizia di frontiera italiana. In tali casi al CIR non è permesso l’accesso a bordo e, pertanto, è impossibile esercitare il benché minimo controllo sulle modalità di trattamento riservate ai migranti.
E’ certo però che, una volta scoperti ed identificati in modo sommario, nella grande maggioranza dei casi la polizia procede al cd. “respingimento con affido” al comandante dello stesso vettore con cui i migranti sono arrivati. Tutti coloro che sono scoperti a bordo dei traghetti o subito dopo lo sbarco e riconsegnati dalle autorità italiane, vengono rinchiusi all’interno di spazi angusti con possibilità molto limitata di accedere ai servizi igienici. La cabine in cui i migranti vengono detenuti sono estese pochi metri quadrati e sono sovente vicine al vano motori dove si raggiungono temperature assai elevate. Al loro interno sono confinate anche decine di persone tra le quali ci sono spesso anche minori, donne e bambini. Il viaggio da Venezia alla Grecia ha la durata di 33 ore, quello da Ancona di 22 e quello da Bari di 17. Durante tutto il periodo di trattenimento, che va dal momento del rintraccio dei migranti sulla banchina o all’interno del traghetto, fino al loro arrivo in Grecia, alla totalità dei migranti è negato l’accesso all’assistenza legale, la possibilità di comunicare con un interprete, la benché minima informazione sui propri diritti, e pertanto anche la possibilità di avanzare una richiesta di asilo politico. Non è consegnata loro alcuna informativa in merito alle procedure cui vengono sottoposti, tanto meno viene notificato loro un provvedimento di respingimento formale, scritto, motivato e tradotto avverso il quale poter proporre ricorso.
Spesso dei respingimenti non rimane neppure traccia nei registri della polizia, come prescriverebbero invece la normativa italiana e il diritto internazionale. Sono queste le circostanze di cui il governo italiano dovrà rendere conto alla Commissione Europea ed alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Si tratta di fatti smentiti dal governo ma riportati dalla stampa locale.
Ad esempio, per quanto concerne il Porto di Venezia, nel mese di novembre 2008 non si è registrato alcun intervento del Servizio di Accoglienza presso la Stazione Marittima, presso Porto Marghera né presso l’Aeroporto “Marco Polo”. Deve rilevarsi, però, che dalla stampa locale si è appreso “Scovati dieci profughi in un tir tra le casse anche un 13enne- Il minorenne è stato affidato ad una struttura protetta, gli altri immigrati sono stati espulsi” (Il Mestre, 12 novembre 2008, pag 24). In particolare l’articolo evidenziava che “I finanzieri durante un controllo ai mezzi e alle persone sbarcate dalla motonave Pasiphae Palace-Minoan Lines hanno notato un articolato carico di merce varia: il mezzo apparentemente sembrava a posto ma ad una verifica più attenta sono spuntati dal nulla 10 cittadini stranieri-8 afghani tra cui un minore, un iraniano ed un iracheno- che tentavano di sbarcare illecitamente in Italia. I clandestini, tutti maschi e privi di documenti, sono stati accompagnati dai finanzieri e dal personale della polizia di frontiera sulla motonave ed affidati al comandante per il successivo respingimento in territorio ellenico”. In un altro articolo, “Infreddoliti dalla Grecia scoperti 16 clandestini” (Il Mestre, 3 dicembre 2008, pag 24) si evidenziava che “(…) Sono complessivamente 31 i clandestini scoperti nel mese di novembre mentre cercavano di entrare in Italia attraverso i porti di Venezia e Marghera”.
La continua diminuzione degli interventi e degli utenti del Servizio di accoglienza nel porto di Venezia, evidenziata già nei mesi precedenti e che nel mese di novembre 2008 ha raggiunto il suo tasso più basso, pari addirittura allo zero, sia stata determinata anche dalla prassi illegittima secondo la quale è la polizia di frontiera a stabilire quando il Servizio può intervenire. Una prassi che probabilmente continua ancora oggi, e non si infatti conosce la sorte degli ultimi arrivati nei mesi di settembre ed ottobre, dei quali si sa solo, genericamente, che sono stati respinti verso il porto di partenza. Gli operatori continuano a non avere libero accesso agli stranieri rintracciati in frontiera e possono svolgere il loro ruolo informativo solo quando ciò viene consentito dalla polizia.
Malgrado l’adozione del decreto legislativo 25 del 2008 sulle procedure per il riconoscimento degli status di protezione internazionale (emanato in recepimento della Direttiva europea 2005/85/CE), che dovrebbe sottrarre alla polizia di frontiera qualunque potere discrezionale nell’ammissione alle procedure di asilo e di protezione sussidiaria, accade dunque che lo straniero che attraversi irregolarmente una frontiera marittima entri in contatto esclusivamente con il personale di Polizia e possa essere accompagnato in frontiera senza riuscire a presentare domanda di protezione internazionale.
In base al Codice delle frontiere Schengen adottato con Regolamento comunitario n. 562 del 2006 inoltre, dunque direttamente vincolante nel nostro paese, tanto alle frontiere esterne che alle frontiere interne si impone il rispetto dei diritti fondamentali della persona e si richiede alle autorità di polizia di osservare i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea, dalle normative comunitarie ed interne in materia di procedure di asilo e dalle Convenzioni internazionali. Si richiama in particolare il “Considerando” n.20 del Codice delle frontiere Schengen secondo il quale “il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Dovrebbe essere attuato nel rispetto degli obblighi degli Stati membri in materia di protezione internazionale e di non respingimento”.
Di fronte alla tesi proposta dal governo italiano secondo il quale questo regolamento non si applicherebbe alle frontiere portuali dell’Adriatico occorre ricordare che in base alll’articolo 3 del Codice frontiere Schengen (Campo di applicazione).” Il presente regolamento si applica a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro, senza pregiudizio:
a) dei diritti dei beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione;
b) dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento.
Nelle concrete modalità di esecuzione delle misure di “riammissione” in Grecia si riscontra infine una violazione del divieto di espulsioni collettive ( nelle quali vanno compresi anche i casi di respingimento e di riammissione, come qualunque ipotesi di allontanamento forzato dal territorio) sancito dall’art. 4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo ed adesso ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Si tratta di casi nei quali non è facile fornire prove documentali, e appunto per questo i respingimenti vengono effettuati “senza formalità”. Per questo sollecitiamo la responsabilità di tutte le agenzie internazionali preposte alla prevenzione, oltre che alla sanzione, delle violazioni dei diritti fondamentali della persona Troppo spesso i migranti irregolari, specie se minori di età o potenziali richiedenti asilo, per paura, per mancanza di informazioni o di interpreti, non sono in grado di fare valere individualmente i loro diritti.
Anche per questo rinnoviamo ai parlamentari italiani ed europei la richiesta urgente di una serie di visite senza preavviso nei principali porti dell’Adriatico, in Italia e in Grecia, per verificare il rispetto (o meno) da parte delle autorità di polizia dei diritti fondamentali della persona migrante con particolare riferimento alla condizione dei minori stranieri non accompagnati e dei potenziali richiedenti asilo.