Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Restrizioni e segregazione sulla rotta dei Balcani: recinzioni, detenzione e respingimenti

Moving Europe, 21 gennaio 2016

Foto: Forgotten in Idomeni, 21 novembre 2015

neues-bild-1.jpg
La lunga estate della migrazione è diventata inverno. Nella prima metà del 2015, i movimenti migratori hanno aperto nuove vie attraverso i confini dell’Europa, dalle coste turche attraverso i Balcani fino al Nord Europa.
La migrazione attraverso i Balcani non è un fenomeno nuovo: le persone a cui è stato negato l’accesso a modi legali per attraversare le frontiere si sono da tempo fatte strade attraverso la regione. Tuttavia, il cosiddetto “corridoio umanitario“, che è nato dall’interazione reciproca tra le nuove rotte create dagli spostamenti autonomi e le risposte governative ad essi, ha iniziato a canalizzare i profughi che arrivano dalla Turchia sulle isole greche attraverso una rotta, controllata dallo stato, che va dai Balcani al Nord Europa. Il paradosso del “corridoio umanitario” è che se da una parte è una vittoria, perché costituisce un passaggio temporaneo di libera circolazione, dall’altra è rapidamente passato sotto stretto controllo di stati e polizia.

Attualmente, gli stati interni ed esterni all’Unione Europea stanno passando dalla semplice gestione degli spostamenti attraverso il corridoio a sempre maggiori restrizioni e segregazioni basate sulla presunta nazionalità. All’interno e all’esterno del corridoio vengono reintrodotti i controlli, erette nuove recinzioni, militarizzati i confini, e le persone indesiderate rischiano sempre più spesso arresti ed espulsioni. La scelta politica di chiudere parzialmente i confini crea, prevedibilmente, continue crisi, ma anche nuove forme di resistenza.

La prima grande limitazione di movimento sulla rotta dei Balcani è stata la chiusura del confine serbo-ungherese nell’ottobre 2015. Le proteste contro la chiusura sono state violentemente represse.

La decisione di reintrodurre i controlli di frontiera ha costretto i profughi in arrivo dalla Serbia a dirigersi ad ovest, creando una crisi umanitaria al confine serbo-croato.
Le autorità croate hanno reagito lentamente, e i rifugiati hanno per giorni dovuto attraversare il confine a piedi, senza adeguate infrastrutture per far fronte alle necessità di base su entrambi i lati del confine.
Le persone dovevano camminare 20 chilometri sotto la pioggia gelata, attraverso campi e fango, avendo come unica opzione di riparo il campo di Opatovac, gestito dalla polizia, dove venivano registrati e infine autorizzati a proseguire la loro rotta.
La chiusura delle frontiere e i tentativi di gestire i gruppi in attesa per ore hanno creato una situazione disperata al crocevia di Bapska-Berkasovo, sulla frontiera serbo-croata, una crisi umanitaria causata dal controllo e dalle restrizioni imposte alla circolazione delle persone.

Nei mesi successivi sono state prese diverse decisioni politiche che hanno limitato il movimento lungo la rotta dei Balcani. Il 18 novembre 2015 la Slovenia ha chiuso le sue frontiere ai rifugiati che non hanno potuto dimostrare di venire da Siria, Afghanistan o Iraq 1.

Questo ha creato un effetto domino in Croazia, Serbia e Macedonia, ognuna delle quali ha messo in pratica – temporaneamente o definitivamente – una qualche forma di segregazione. A tutt’oggi, solo le persone con documenti di registrazione greci che indicano come paese d’origine Siria, Afghanistan o Iraq sono autorizzate a passare il confine greco-macedone a Idomeni, il punto di ingresso della rotta dei Balcani. Questa politica sembra essere stata voluta dall’Unione Europea allo scopo di rallentare o addirittura fermare gli spostamenti lungo la rotta dei Balcani.

Queste pratiche violano il diritto internazionale, che prevede che la protezione venga concessa su base individuale e non in base alla nazionalità. La decisione di chiudere parzialmente il confine ha creato un’altra crisi politicamente causata.
Soprattutto nei primi giorni, molti di coloro che a Idomeni non sono stati autorizzati a passare sono rimasti senza riparo, senza protezione da pioggia e freddo, e senza cibo a sufficienza.

Le persone bloccate alla frontiera hanno protestato per giorni, chiedendo la riapertura del confine. Hanno gridato e dipinto slogan come “Aprite la frontiera”, “Stop al razzismo”, “Libertà di movimento per tutti”, “Nessuno è libero finché tutti non sono liberi”, “Dove sono i diritti umani?”, “Non siamo terroristi, abbiamo bisogno di Libertà”, e molti altri. Un gruppo di rifugiati ha iniziato uno sciopero della fame cucendosi le labbra.

Nel frattempo, la militarizzazione della frontiera è aumentata; militari macedoni e poliziotti greci sono stati schierati al confine, è stata eretta una nuova recinzione di filo spinato, e Frontex ha istituito un’unità operativa. 2

La violenza che accompagna la militarizzazione delle frontiere è scoppiata più volte: la polizia di frontiera ha ripetutamente sparato gas lacrimogeno e proiettili di gomma contro i gruppi di rifugiati che cercavano di passare il confine senza autorizzazione.

Mercoledì 9 dicembre, la polizia antisommossa greca ha schierato 400 agenti per sgomberare le persone in attesa a Idomeni. La polizia ha circondato il campo, cacciando le persone dalle loro tende e spingendole sugli autobus per Atene, a 6 ore di distanza dal confine. Circa 300 persone si sono rifiutate di salire sugli autobus, ci sono state proteste e numerosi arresti, ed è stato negato l’accesso al campo ai media e agli osservatori indipendenti. La polizia ha squarciato le tende delle persone che rifiutavano di andarsene e ha sgomberato gli occupanti. L’operazione di polizia ha lasciato sul campo tende vuote e distruzione. Dopo lo sgombero, lo scenario a Idomeni era devastante: la maggior parte delle tende verdi sembravano state aperte in maniera violenta, ed era ancora possibile vedere, al loro interno, i resti delle attività della notte precedente. Ma a Idomeni sono rimasti anche i messaggi di resistenza.

La maggior parte delle persone che aspettavano e protestavano al confine greco-macedone sono state temporaneamente portate allo Stadio di Taekwondo di Atene. Dopo qualche giorno, lo stadio è stato chiuso. Le “opzioni” proposte dalle autorità alle persone di nazionalità marocchina 3. sono state “detenzione”, “espulsione” o “ritorno volontario”.
arton19711.jpg
Circa 400 persone sono state trattenute nel centro di detenzione di Corinto vicino ad Atene, dove ben presto sono partite le proteste. Y., uno dei detenuti, ha documentato la vita all’interno della struttura pseudo-carceraria, informando le persone all’esterno dei nuovi arrivi di giovani uomini, prevalentemente marocchini. Il 27 dicembre le persone trattenute hanno fatto degli striscioni e protestato contro la loro detenzione forzata e la minaccia di espulsione.

Il 3 gennaio ci sono state altre proteste e molte persone hanno cercato di scappare nonostante l’intervento della polizia greca. Il 5 gennaio è accaduto quello che in molti temevano: circa 100 marocchini detenuti a Corinto sono stati riportati in Turchia dalle autorità greche. Dalle informazioni che abbiamo, però, risulta che la Turchia li abbia respinti, e che ora siano di nuovo in Grecia.

Al momento i gruppi più piccoli vengono riportati in Marocco su voli organizzati da IOM (Internationl Organization for Migration, ndt). Il loro posto viene occupato in fretta, comunque, dato che a Corinto hanno un numero costante di circa 400 persone detenute. Questa settimana due marocchini hanno tentato il suicidio e altri 100 detenuti hanno cominciato uno sciopero della fame, chiedendo il loro rilascio e l’apertura della frontiera, in modo da poter continuare il loro viaggio.

Y., una delle persone detenute provenienti dal Marocco, scrive lettere sulla situazione a Corinto 4:

“L’unica colpa del prigioniero è desiderare una vita diversa.

Mi chiamano migrante economico ma non sono venuto qui in cerca di soldi, ma di cultura, una cultura di amore e di uguaglianza, una cultura diversa da quella di giornali e libri finti, una cultura sconosciuta ai politici.

Ognuno di noi ha la sua prigione, un giorno capiranno che la loro prigione sono i loro uffici e le loro cravatte.”

Delle persone con status migratori incerti che non sono (ancora) detenute in Grecia, solo chi ha sufficiente disponibilità economica può continuare il proprio viaggio, pagando un trafficante, pur senza la certezza di raggiungere la destinazione sperata. Le persone che non riescono a passare la frontiera a Idomeni cercano comunque di accedere al corridoio dopo aver fatto un pezzo a piedi attraverso la Macedonia. Ma la segregazione continua per tutto il percorso.

Molte persone continuano ad essere respinte verso il confine con la Serbia, e quindi detenute nel campo croato di Slavonski Brod. Un pakistano ha filmato il suo ritorno in Serbia, a piedi nella neve e lungo i binari.. Un altro pakistano racconta di essere stato detenuto a Šid per 10 giorni e di essere stato respinto 4 volte. Questi resoconti si sommano ai racconti di violenza della polizia durante i respingimenti: bambini di 10 anni e minori non accompagnati sono stati costretti a tornare a piedi in territorio serbo. 5
Video: clicca qui
Guardando le cose in prospettiva, è chiaro che il regime delle frontiere sta diventando sempre più restrittivo per i migranti considerati ‘indesiderabili‘. L’imminente chiusura del corridoio si riflette anche nel recente annuncio della Svezia di aver raggiunto il suo limite di capacità, e nell’aumento dei controlli alle frontiere da parte della Germania.

Tutto questo mentre le persone con passaporto europeo continuano a viaggiare indisturbate. In questo clima deprimente si deve tuttavia rilevare che il potere e il controllo statali non possono mai essere totalmente pervasivi, e che le persone continueranno a farsi strada attraverso le recinzioni, anche se con maggiori rischi per la loro salute e la loro vita. L’Europa dovrebbe essere costruire ponti, non recinzioni, e costruire case, non prigioni. Ma poiché continua a fare altrimenti, la lotta continua e la solidarietà vince sempre.

  1. La versione ufficiale della Slovenia è che il 18 novembre volevano “solo” rimpatriare 162 marocchini. Questo ha causato una reazione di panico nei Balcani. Qualche giorno dopo, la Slovenia ha risposto alle accuse di segregazione dichiarando di non impedire l’accesso alle persone in base alla propria nazionalità. Per informazioni aggiornate (18/01/16), vedi: http://mobil.derstandard.at/2000029299191/Gestrandet-zwischen-Deutschland-und-Slowenien
  2. http://frontex.europa.eu/news/frontex-to-assist-greece-with-registration-of-migrants-at-its-land-border-9Qg48q
  3. Alle persone di tutte le altre nazionalità è stata data l’opportunità di scegliere se richiedere asilo in Grecia o se fare domanda di ricollocamento in un altro paese europeo
  4. Altri racconti possono essere trovati all’indirizzo https://noborderserbia.wordpress.com/2015/12/26/prison-post-4
  5. http://moving-europe.org/2016/01/06/croatia-slavonski-brod-transit-camp-for-migrants-and-refugees/#more-560