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Richiesta di asilo in Grecia e il sistema Skype. L’ennesima violazione di diritti

di Andrea Panico, giornalista freelance dal campo di Idomeni

Foto di Yamine Madani

Idomeni – La settimana scorsa da Bruxelles è arrivata la notizia che l’Unione Europea ha dato il suo ultimatum alla Grecia: due settimane per determinare e rendere note le modalità con cui intende migliorare i controlli e proteggere le proprie linee di frontiera.
La medesima ha dichiarato che il sistema con cui avviene la registrazione dei migranti rimane inadeguato, cosi come l’intero piano di azione per la gestione della crisi ideato da Atene.

Entro il 26 aprile 2016, la Commissione, oltre ad aspettarsi tutti i necessari chiarimenti, ha espresso l’augurio che la Grecia possa compiere significativi progressi nel fronteggiare un’emergenza che ormai sembra ad ogni effetto essere sfuggita a qualsiasi controllo da parte delle autorità incaricate. In caso di fallimento, Bruxelles si è dichiarata pronta ad autorizzare i paesi UE interessati ad estendere le limitazioni sinora applicate, concernenti i liberi spostamenti all’interno dell’area Schengen, da sei mesi a due anni.

In questo scenario in cui i governi continuano a far rimbalzare le proprie responsabilità e l’Europa sembra continuare a voler vestire il ruolo di semplice arbitro, i flussi migratori non accennano a diminuire.
Nonostante la chiusura della frontiera con la Macedonia avvenuta lo scorso 9 marzo, continuano a riversarsi giornalmente centinaia di persone che si accampano con mezzi più o meno di fortuna vivendo la loro giornata nella speranza di una via di fuga dal fango della tendopoli.
Col passare delle settimane, e nonostante le costanti manifestazioni di protesta, la speranza delle famiglie di un’apertura delle reti in ferro non scema.
Ad oggi, la sola soluzione legale percorribile resta quella di richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato in Grecia, quindi avviare una procedura di richiesta di asilo, di relocation o di ricongiungimento familiare.

A partire dal mese scorso tali procedure sono accessibili esclusivamente via Skype, il noto programma di telefonia e messaggistica online.
Non è più possibile, infatti, rivolgersi direttamente alle autorità di polizia. È necessario contattare gli uffici competenti tramite internet, fissare un appuntamento e quindi successivamente raggiungere la sede prescelta per compilare l’apposito questionario, infine aspettare di essere contattati per l’intervista.

Tralasciando le lunghe tempistiche che intercorrono tra il colloquio e il riconoscimento dello status di rifugiato, problema comune purtroppo a gran parte dei paesi europei, tale modo di operare via Skype sta nella sostanza impedendo, ab initio, a migliaia di migranti di iniziare tale percorso burocratico.
A ciò, l’Europa in primis e a seguire la Grecia non hanno sinora avuto reale intenzione di dar peso.

L’ultimatum imposto da Bruxelles si limita infatti ad ammonire il paese ellenico non fornendo però alcuna soluzione concreta alla risoluzione del problema né suggerimenti per una migliore gestione delle procedure.
Come ammesso dagli stessi membri del UNHCR, il sistema Skype è di fatto collassato da settimane e bisognerà attendere oltre 15 giorni per sperare in un implemento di risorse che possano rendere operativa tale, sinora unica, via.
Ad oggi numerose sono le falle strutturali da evidenziare nel mezzo scelto per avviare il processo.

In primis, non esiste una pagina ufficiale che permetta ai richiedenti asilo di poter verificare i differenti orari, che vengono cambiati con cadenza settimanale, in cui è possibile chiamare.

Altro problema riguarda la possibilità di procurarsi i mezzi stessi per poter mettersi in contatto con gli uffici competenti.
Escludendo infatti i campi ufficiali, dove i mezzi messi a disposizione del governo sono comunque limitati e inadeguati, nei campi illegali come Idomeni non esiste alcuna forma di assistenza da parte dell’Unione Europea [né del UNHCR].
I migranti possono quindi fare affidamento solo sui propri mezzi di comunicazione, smartphone e tablet, e sulle connessioni libere disponibili in loco quasi sempre instabili e troppo deboli da permettere lo scambio di dati necessario ad una chiamata online.

La totale mancanza di assistenza da parte delle autorità UE ed elleniche rende tutto ciò economicamente non sostenibile per persone che hanno speso già tutto o quasi durante il viaggio per giungere in Grecia; le stesse si trovano costrette a dover cercare un posto dove poter ricaricare i propri telefoni, o internet point da dove poter chiamare. E’ evidente che tali spese non possono in alcun modo diventare la prassi.

Tuttavia il problema più grande è costituito dall’incapacità dei vertici del governo di Atene di riuscire a gestire il numero di chiamate in entrata.
Ad oggi è di fatto impossibile interloquire con un operatore e quindi fissare un appuntamento.
Se si prendono in considerazione i 52.000 immigrati presenti in Grecia e il numero massimo di cento domande al giorno che a dire del UNHCR il governo riesce a processare, il rapporto sfiora il paradosso.
Il risultato finora è che migliaia di persone tentano di chiamare gli uffici invano.
Tutto questo sta comportando conseguenze gravissime.

Secondo gli operatori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, infatti, ad oggi oltre la metà degli abitanti del campo sono stati registrati oltre trenta giorni fa.

Ciò vuol dire che per una grandissima parte di loro è scaduto il termine utile per fare domanda di asilo senza incorrere in conseguenze legali quali la detenzione.
Questo pone i profughi in un limbo da cui non è chiara la via d’uscita, privandoli di ogni qualsiasi via d’azione: non possono accedere in Europa né per vie legali né aspettando l’apertura dei confini con la Macedonia.
Gli uomini e le donne in tali condizioni non hanno accesso alle cure mediche se non nei casi di sola emergenza.
Chi vive nei campi come quello di Idomeni si trova a combattere per la sopravvivenza senza alcuna forma di assistenza, abbandonato dalla politica dei governi delle nazioni europee.
Condizioni igieniche pessime, cibo carente e assenza di un servizio d’ordine stanno condannando migliaia di persone all’agonia di mesi vissuti alla giornata, ammalandosi nel totale smarrimento e con il fardello dell’incertezza sul futuro.

Le continue proteste e gli scontri giornalieri sono il prodotto della totale incuria e violazione dei principi sanciti da Dublino III, dai diritti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra e da ogni altra garanzia posta a protezione del rifugiato e concepita in tutela dei diritti dell’uomo.
In particolare è importante ricordare che:

i) il Considerando n. 8 della Direttiva 2013/32/CE ricorda che “secondo il programma di Stoccolma, le persone che necessitano di protezione internazionale devono avere un accesso garantito a procedure di asilo giuridicamente sicure ed efficaci”;

ii) il Considerando n. 25 della medesima Direttiva “a norma dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra ovvero persone ammissibili alla protezione sussidiaria, è opportuno che ciascun richiedente abbia un accesso effettivo alle procedure, l’opportunità di cooperare e comunicare correttamente con le autorità competenti per presentare gli elementi rilevanti della sua situazione, nonché disponga di sufficienti garanzie procedurali per far valere i propri diritti in ciascuna fase della procedura.”.

In tale tragico contesto di incertezza in primo luogo del diritto stesso, dal campo di Idomeni nasce l’iniziativa della petizione “Stop killing us slowly with Skype asylum applications” per fronteggiare l’inadeguatezza dei sistemi con cui i migranti dovrebbero richiedere asilo.
A detta di alcuni, sarà un granello di sabbia in un deserto. Ma è proprio nel deserto che la vita vive di gocce. Ed è di gocce che è costituito l’oceano.

Firma e fai firmare la petizione:

avaaz.org/en/petition/stop_skype_asylum_procedure
Leggi la petizione tradotta in italiano

Andrea Panico

Attivista, fotografo e ricercatore.
Mi sono laureato in giurisprudenza nel 2012, con un master in diritto del commercio internazionale nel 2015 e un master in African Studies nel 2018.
Lavoro come consulente di Diritto dell'Immigrazione.
Sono autore di inchieste e reportage dalle frontiere mediorientali e quelle europee.
Per contatti [email protected]