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Rischio esondazione per i profughi accampati lungo l’Isonzo

di Luigi Manconi, Presidente di "A Buon Diritto"

Ieri sera intorno alle 23 e stamattina intorno alle 9 ci telefona Andrea Segre – regista, documentarista e fotografo assai valente – che ci informa della drammatica situazione in cui versano decine e decine di profughi, in particolare afghani e pakistani, che hanno trovato un precario rifugio sulle rive del fiume Isonzo, a pochi chilometri da Gorizia. Ha piovuto tutta la notte tra martedì e mercoledì e Segre ci manda alcune foto scattate nelle prime ore di oggi che mostrano, nella semioscurità di una mattinata cupa e piovosa, il dramma di quelle persone.

“A cinque minuti dal centro storico di un capoluogo di provincia del nord Italia, vicino all’entrata della sua fiera dove tra pochi giorni si svolgerà l’Expo Sposa, c’è un luogo disumano dove sono abbandonati 160 esseri umani che avrebbero il diritto alla protezione.

Sono cittadini di origine afghana e pakistana che hanno fatto richiesta d’asilo alla Prefettura di Gorizia e che sono in attesa di essere convocati dalla Commissione territoriale. Questa attesa può durare anche un anno, nel frattempo sono lasciati a loro stessi e vivono in condizioni inconciliabili con uno stato minimo di civiltà e diritto.
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Nella giungla (così la chiamano in città), lungo il fiume Isonzo con tende da campeggio o copertura di fogliami e legna, scaldandosi col fuoco e cucinando con l’acqua del fiume e senza alcun servizio igienico.

L’unico supporto è quello fornito dalla Caritas, in una parrocchia che sta sulla riva opposta del fiume, dove ogni sera tre volontari fanno da mangiare e dove i profughi possono fare una doccia calda ogni tre quattro giorni a seconda dei turni.

In queste ore sta piovendo ininterrottamente a Gorizia, la città è vuota, tutti rimangono in casa, tranne gli afghani e i pakistani della giungla che una casa non ce l’hanno e che sperano ogni notte che il fiume non straripi.

Il rischio è enorme. Il Comune di Gorizia non ha nessuna intenzione di intervenire perché dice che non c’è spazio per altri rifugiati. Ma qui non si tratta di spazio, ma di civiltà e vite umane”.

Nelle ore successive la situazione è ulteriormente peggiorata e i Vigili del Fuoco, accorsi sul gretto, segnalano che il fiume si è alzato di alcune decine di centimetri e che i rischi di esondazione sono aumentati. Mentre scriviamo, nel corso del pomeriggio, la Prefettura ha annunciato provvedimenti urgenti per trasferire gli stranieri in strutture che garantiscano un livello decoroso di accoglienza e che, soprattutto, tutelino la loro incolumità. Almeno per ora, dunque, i richiedenti asilo si trovano in una situazione di relativa sicurezza, in attesa di una sistemazione più stabile e che tenga conto anche dei prevedibili prossimi arrivi.

Ma è stata dura e temiamo che così sarà ancora per un lungo periodo. Per un tempo infinito, si è tollerata una situazione letteralmente intollerabile. È da almeno un anno che sulle rive dell’Isonzo si formano accampamenti improvvisati e instabili e soprattutto drammaticamente insicuri.

L’otto agosto un profugo pakistano di venticinque anni è affogato nel fiume. E tutto ciò non è in alcun modo fatale. Il 20 luglio scorso la Regione Friuli Venezia Giulia aveva dichiarato lo stato di emergenza in modo da poter allestire strutture di prima accoglienza per i profughi. Ma, ad oggi, non si è ancora vista una tenda della Protezione Civile. Ecco perché non si può escludere il ripetersi di una tragedia come quella dei primi di agosto.

L’instancabile senatrice Laura Fasiolo, ha sollevato la questione in tutte le sedi possibili e immaginabili: ha presentato interrogazioni, ha preso la parola in Aula, si è rivolta a tutti i soggetti della città. Ma finora ha ricevuto, quando le ha ricevute, risposte assai tiepide (con la solita eccezione dell’associazionismo e del volontariato, sia religiosi che laici).

In troppi, evidentemente, non si rendono conto che la situazione ha superato il limite: esattamente come il fiume Isonzo sta pericolosamente oltrepassando i propri argini.

Post redatto in collaborazione con Valentina Brinis.