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di Clara Denia

Lo scandalo del centro di via Staderini: le testimonianze dirette

400 Migranti occupano il centro: 15 milioni di euro in due anni senza nulla in cambio. Ora la buona uscita di 500 euro

Foto di Lorenzo Masi

La penultima circolare del Ministero dell’Interno in merito alla chiusura dell’Emergenza Nord Africa, pubblicata lo scorso 19 Febbraio 2013, stabiliva come termine ultimo per l’uscita dei migranti dalle strutture ENA il 28 febbraio. Per ciò che concerne i centri di Roma, è stato stabilito che le c.d. misure per favorire percorsi di uscita, avrebbero dovuto essere attuate in ogni caso entro il 15 Aprile, al fine di svuotare i centri in tempo e tra queste figurava la “possibile corresponsione di una buona uscita di 500 euro”.
Oggi, un primo gruppo di circa 50 migranti è stato accompagnato presso la Questura di Roma per ritirare i 500 euro.
L’attivazione del sistema di corresponsione della buona uscita è stato concordato giovedì scorso con la Questura, dopo che i migranti del centro più grande d’Italia, situato in Via Staderini 9, a Roma, stufi di non avere notizie certe in merito al loro destino, hanno occupato la struttura per tutta la mattinata.

Silenzio e omertà sui disservizi
La provincia di Roma, dal 2011 ad oggi, si è distinta dalle altre aree territoriali per la poca trasparenza mostrata dagli enti gestori delle strutture reperite per il superamento dell’Emergenza Nord Africa.
Due anni di “silenzio”, in cui l’accesso alle strutture è stato vietato ai giornalisti, ai ricercatori universitari e a chiunque non fosse addetto ai lavori (nonostante la Circolare n. 1305 emanata da Maroni che impediva l’ingresso in CIE, CSPA e CARA, fosse stata abrogata nel Dicembre 2011). Due anni in cui agli operatori è stato imposto il silenzio stampa, riguardo il funzionamento dei centri ed in cui i contatti dei migranti con la popolazione sono stati consapevolmente ridotti attraverso la collocazione delle strutture in luoghi isolati, in molti casi distanti più di un chilometro a piedi dalla prima fermata di bus. Due anni in cui gli scandali riguardanti pestaggi e risse all’interno delle strutture, anche quando riuscivano ad essere captate dai giornalisti, sparivano dal web alla velocità della luce.

Le testimonianze di operatori e migranti, raccolte nonostante questo sistema “omertoso”, hanno delineato una situazione decisamente grave, caratterizzata da una carenza diffusa di servizi di assistenza sociale, sanitaria, legale nonché quasi totale assenza di implementazione di percorsi di formazione ed inserimento lavorativo. Le risorse impiegate nelle strutture, erano spesso poco qualificate e disorientate di fronte alla mole di lavoro da svolgere. Inoltre, le lungaggini burocratiche che hanno caratterizzato l’iter dei richiedenti asilo politico, ulteriormente rallentate da una prima ondata di dinieghi e dai successivi ricorsi, e la conseguente mancanza di documenti per un lungo periodo, tagliarono le gambe a qualsiasi tentativo dei migranti di inserirsi autonomamente nella società di accoglienza.
Le carenze a livello di insegnamento della lingua italiana, servizio teoricamene previsto all’interno delle strutture ENA, ha rappresentato un ulteriore ostacolo all’inserimento dei migranti.

Chi ha speculato
I centri presenti sul territorio della Provincia di Roma facevano capo fondamentalmente a due grandi Consorzi di Cooperative: il primo, composto da Tre Fontane, Domus Caritatis e Arciconfraternita, poi rinominato Casa della Solidarietà ed inglobato all’interno della S.p.a. La Cascina; il secondo facente composto da Eriches 29 Giugno ed il Percorso. Il totale di migranti adulti ancora ospiti presso le strutture dovrebbe essere di circa 1000 persone, inclusi i casi vulnerabili.

Le testimonianze
Un gruppo di ricerca che vede coinvolti diversi membri di Esc Infomigrante, Medici Contro la Tortura e dell’Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione sta attualmente indagando sulle strutture che saranno ufficialmente trasformate in C.A.R.A. al fine di monitorarne l’idoneità in base ai criteri stabiliti dal D.lgs del 28.01.2008, che istituiva lo Schema di capitolato d’Appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati (Allegato 1c, Specifiche tecniche integrative per i CARA).

Purtroppo da alcune interviste rivolte agli operatori, volte a indagare la presenza di servizi di supporto all’inserimento dei migranti emerge una realtà sconfortante.

Risponde C., operatrice presso una delle strutture: “Che servizi vuoi che fornissimo? Nel centro non c’era un telefono fisso, non c’era una fotocopiatrice, non c’era un fax né un computer. Lavoravamo con i computer che portavamo noi da casa, con la nostra chiavetta internet.
Sicuramente c’era un censimento ma io non l’ho mai visto. Ogni tanto venivano avvocati, con mediatori. Siamo riusciti a mandare i ragazzi a fare le tessere sanitarie…ma per il resto sono stati qui ad aspettare i documenti per mesi e mesi. Quando sono arrivati, e quindi in teoria avrebbero potuto attivarsi, muoversi, e provare a cercare un lavoro era tardi. L’accoglienza qui dentro li aveva resi passivi, oppure indirizzati verso fonti di reddito illegali.”

Anché F., operatore presso un’altra struttura, conferma le stesse carenze: “Non è possibile fare nulla. Non si può lavorare. Siamo due operatori in turno con 450 persone. Non si riesce neppure a conoscerli tutti. Un solo ufficio. Un ambulatorio con tutte le medicine ammassate, come fosse un magazzino, senza armadio, tutto a terra. Eppure sono passati quasi due anni dall’apertura. Non esiste un censimento sanitario, non esisono gli strumenti per lavorare. Le risorse umane non sono sufficienti, né sufficientemente preparate. Ognuno dà il meglio di sé ma è completamente inutile rispetto a un’eventuale indirizzamento dei ragazzi verso l’autonomia.”

In proposito va sottolinato che la capienza massima stabilita dal Bando della Regione Lazio per il reperimento delle strutture ENA era di 100 posti, dunque molte di queste (Staderini, Civitacecchia, Ciampino, Castelnuovo, Anguillara, Tivoli) superarono nei fatti il limite al di previsto dalla legge. Inoltre, anche lo Schema di Capitolato del 2008, prevede l’impiego di un numero di operatori adeguato rispetto al numero di ospiti (Allegato 3, Dotazione minima del personale, ai sensi dell’art. 5 del Capitolato),che non fu assolutamente rispettato.

Numerose riflessioni hanno evidenziato la carenza di servizi all’interno delle strutture ed i costi esorbitanti di queste operazioni, evidentemente bilanciati da lauti guadagni da parte degli enti gestori. Si è però parlato poco di pura e semplice “mala gestione”. L’emarginazione dei migranti dal tessuto cittadino ha dato luogo a un circolo vizioso che ha portato all’incremento di fenomeni di microcriminalità e prostituzione, ed a una conseguente impossibilità, da parte degli operatori, di gestirne gli esiti. Generalmente, infatti, le strutture di accoglienza hanno un regolamento, che qualora venga infranto comporta la dimissione dei migranti: il fatto che in emergenza Nord Africa “non si potesse” espellere i migranti, la cui mancata presenza avrebbe comportato il mancato pagamento da parte del committente, ha creato meccanismi di infrazione cronica del regolamento.
Inoltre, va sottolineato che la volontà di contenere cifre così alte di migranti in uno stesso luogo, in assenza della realizzazione di interventi volti a favorirne l’autonomia e di servizi alla persona “reali”, ha fatto di questi centri una bomba ad orologeria, costantemente pronta ad esplodere. Molti operatori riferiscono di essersi trovati in situazioni di pericolo oggettivo, abbandonati in posizioni di “facciata” o “cuscinetto” tra i migranti ed interventi discutibili, trasferimenti continui e inutili, o semplici noncuranze da parte dei responsabili di struttura, in molti casi decisamente inadeguati allo svolgimento del ruolo assegnatogli.

Oggi, a due anni dallo sbarco, i migranti che non rientrano nelle cosiddette “categorie vulnerabili” si troveranno dunque con 500 euro in mano e la sensazione di aver buttato al vento due anni della loro vita, incastrati in un circuito malsano e generatore di dipendenza.

Riferisce A., un ragazzo Sudanese, sbarcato a Maggio 2011 a Lampedusa: “Wallahi (ti giuro), non so cosa dire su questi due anni. Devo pensarci. La sensazione che ho è di non aver nulla in mano. Di esser rimasto sempre in attesa di qualcosa che non è mai arrivato. Io prima lavoravo in Libia, e adesso c’è mio fratello al mio posto, proprio lo stesso lavoro, lavora con il mio capo. Bene, lui con un anno e mezzo di lavoro si è comprato una casa in Sudan, ha potuto sposarsi, ha un bambino piccolo…ed io sono stato qui. Non ho mai potuto lavorare. Ho aspettato tantissimo i documenti. Non ho un lavoro, non ho una casa, ho solo due paia di pantaloni, e tra pochi giorni sarò anche in mezzo alla strada. Che posso dire?”

Va sottolineato che non vi è chiarezza in merito alla possibilità dei migranti espulsi dall’ENA di ricevere accoglienza in strutture di altro tipo. Occorre monitorare i fogli che vengono fatti firmare ai migranti al momento della corresponsione della buona uscita, di cui esisterebbero due versioni. Una prima versione della “ricevuta”, dal contenuto abbastanza prevedibile, comporterebbe la dichiarazione di consapevolezza dell’esclusione dal circuito di accoglienza facente capo alla Prefettura. La seconda versione, sembrerebbe invece sancire la perdita del diritto a ricevere accoglienza su tutto il territorio nazionale (dunque l’impossibilità di rientrare in Centri facenti capo a circuiti diversi dalla Prefettura). Tale misura di “esclusione” qualora venisse attuata sarebbe piuttosto grave ed andrebbe monitorata dal punto di vista legale, in quanto non prevista in sede di “istituizione della buona uscita”.

Ad ogni modo, molti migranti sembrano non volerne più sapere di centri di accoglienza.

Conclude N., ciadiano, sbarcato sempre nel 2011: “Non so, forse è meglio che chiude. Almeno mi troverò per strada e sarò obbligato a trovare una soluzione per sopravvivere. Finché sei qui ti aspetti un aiuto, ogni giorno, ti sembra che ci sia una macchina che si muove per aiutarti, ma di fatto non serve a nulla e resti lì parcheggiato. Meglio sapere di non avere nulla. Così stai più sereno e conti solo sulle tue forze.”

In effetti non c’è molto da dire.
Ciò che salta sempre di più all’occhio è che i migranti non hanno guadagnato nulla da questa esperienza, e che la gestione dell’Emergenza Nord Africa, in particolare alla luce dell’enorme spesa sostenuta, appare un fallimento completo.
L’unica certezza riguarda la necessità di individuare canali ufficiali di monitoraggio di questo tipo di interventi, in modo da poter denunciare puntualmente gli inadempimenti leislativi e le innumerevoli carenze operative e gestionali del sistema di accoglienza, affinché non si ripetano simili fallimenti.