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Rosarno sola andata, tra incendi e Grande Distribuzione organizzata

C’è chi ancora resta attonito alla vista dell’ennesimo incendio che, la notte scorsa, ha devastato una parte del ghetto di San Ferdinando, zona industriale ai limiti di Rosarno, estremità di una Calabria povera e stuprata dall’ndrangheta più feroce. E tutti, all’unisono, a cantare la solita strofa “noi l’avevamo detto, il ghetto non deve più esistere!“.
Il mainstream nazionale fa passare l’incendio come una notizia di secondo piano, due parole e via. Il mantra resta sempre lo stesso “le istituzioni vigileranno e garantiranno una vita dignitosa a coloro che hanno perso tutto“.
La dignità è restata fuori dal ghetto, il luogo simbolo che raccoglie le innumerevoli contraddizioni di uno Stato, quello italiano, che da sempre, in appoggio alla GDO, applica una politica di laize faire nei confronti di chi, al Sud come al Nord, sfrutta i migranti raccoglitori di frutta e verdura venduta a bassissimo costo sugli scaffali dei supermercati; uno Stato che si limita ad approvare leggi inutili e ad applicare il principio della legalità, attraverso gli sgomberi, come cartina tornasole di interessi economici da capogiro.
Quella della distribuzione e vendita di generi alimentari è un’industria fiorente,un mercato che muove miliardi di euro l’anno retto da migliaia di persone costrette a vivere in vere e proprie bidonville dove la totale mancanza di igiene e la disumanità delle condizioni di vita porta con il pensiero al sistema schiavistico delle grandi piantagioni di cotone dell’America Latina dominata dai britannici.
E chi se ne frega se poi, nella retorica “Made in Italy” del Farinetti di turno, quegli stessi prodotti, grondanti sudore, sangue e sfruttamento, ci vengono venduti a prezzi folli come un brand di una società sempre più ricca e strafottente.
Comprate la vera arancia calabrese, il vero pomodorino pugliese o siciliano, piuttosto che il vino più chic, nelle grandi catene che vendono solo italiano (e solo per chi se lo può permettere). Oscar F. docet.
Nel frattempo si muore di invisibilità tra un rogo in un ghetto o sotto i colpi di qualche “pistola facile” delle forze dell’ordine. Qualche giorno di scandalo poi tutto ritorna nell’oblio!

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Il ghetto di Rosarno, o quel che ne resta, è oggi il punto nevralgico, dopo lo sgombero del ghetto di Rignano, che convoglia la maggior parte dei braccianti africani nel Sud Italia; chi fa il raccoglitore è passato almeno una volta per Rosarno. Quasi tutte le famose “tende blu” del Ministero dell’Interno, posizionate dopo la rivolta del 2010, sono state travolte dalle fiamme, quasi a sottolineare il ruolo inerme di uno Stato corrotto e corruttore.
C’è bisogno di accendere luci di speranza: tra la cenere e le macerie, proveremo a portare un nostro contributo concreto con il prossimo corso di alfabetizzazione che il Collettivo Mamadou terrà, all’interno del ghetto, a partire dal 24 luglio e con la costruzione di una struttura, l’Hospitality school, che sarà un fondamentale passo per il riscatto sociale di chi, da anni e nel totale silenzio, viene sfruttato in nome della ricchezza di pochi.

– Info: Collettivo Mamadou

Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.