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Se l’UE vuole ergersi a bastione della democrazia liberale, deve smettere di demonizzare profughi e migranti

Nando Sigona, The Conversation - febbraio 2017

Photo credit: Carmen Sabello (Idomeni, aprile 2016)

I funzionari dell’Unione Europea non hanno esitato a condannare i decreti esecutivi recentemente adottati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, con cui si dispone un divieto permanente di ingresso per i rifugiati siriani e un divieto temporaneo per tutti gli altri rifugiati. E a ragione. Durante un intervento al parlamento europeo, la vicepresidente della commissione UE Federica Mogherini ha dichiarato: “L’UE non rimanderà indietro nessuno che abbia diritto alla protezione internazionale. Questa è la linea che continueremo ad adottare.”

Tuttavia, non bisogna perdere di vista le azioni che l’UE e i suoi stati membri stanno realmente mettendo in pratica sul campo. Ingenti risorse sono state impiegate per impedire l’arrivo di rifugiati e migranti vulnerabili in Europa: la chiusura della rotta dell’Egeo dalla Turchia verso la Grecia, della rotta balcanica dalla Grecia verso la Germania e della rotta del mediterraneo occidentale da Marocco e Senegal verso la Spagna.

La collaborazione con la Libia

Un’importante rotta è ancora fuori controllo: la via del mediterraneo centrale, attraverso la Libia. Questo non perché l’UE non intenda violare i propri principi fondamentali, stringendo accordi con regimi che difficilmente rispettano i diritti umani come Sudan ed Eritrea. La vera ragione riguarda la lotta politica e militare che sta avendo luogo in Libia, che ha come conseguenza una frammentazione del controllo del territorio e delle coste. Sulla carta, la guardia costiera libica esiste, ma la sua capacità di copertura territoriale è molto limitata.

In vista del meeting dei leader europei del 3 febbraio a Malta, che al momento è alla presidenza del Consiglio Europeo, alla fine di gennaio l’UE ha annunciato come le autorità libiche intendano intensificare i loro sforzi per fermare le migrazioni attraverso il Mediterraneo. Anche grazie ad un assegno europeo da 200 milioni di euro, il governo libico – che ha il sostegno delle Nazioni Unite – ha acconsentito a che le navi dell’Unione e della NATO, impegnate nell’operazione anti-tratta Sophia contro l’immigrazione irregolare, operino in collaborazione con la guardia costiera locale in acque libiche. In quella zona si sono verificati molti dei naufragi che hanno causato la morte di migliaia di migranti negli ultimi anni.

Data l’attuale incertezza politica, per il momento far cessare del tutto gli sbarchi potrebbe essere fuori portata. L’eventualità più probabile è che, nel tentativo di ridurre i flussi migratori, le autorità libiche siano disposte a compromettere ulteriormente i diritti umani di rifugiati e migranti vulnerabili.

Una ricerca (.pdf) sulle migrazioni via mare attraverso il mediterraneo, effettuata dal sottoscritto e dai miei colleghi, ha portato alla luce le orribili condizioni di vita dei migranti in Libia. Più del 75% degli intervistati ha raccontato di avere subito violenze fisiche, e più di un terzo (29%) ha assistito alla morte dei propri compagni di viaggio. Molti degli intervistati hanno inoltre raccontato come la polizia e la guardia costiera libiche fossero direttamente o indirettamente coinvolti in quegli episodi di violenza.

Se la chiusura della via mediterranea centrale dovesse significare distogliere lo sguardo di fronte a questa violenza, per rifugiati e migranti la situazione non potrà che peggiorare. Qualora il crescente impegno libico per fermare gli sbarchi dovesse comportare una diminuzione dell’impegno europeo nelle operazioni di ricerca e nel soccorso, si assisterebbe ad un aumento delle morti in mare; questa tendenza è emersa anche negli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, riguardanti le morti e le sparizioni dei migranti nel mediterraneo.

La ‘Fortezza Europa’ e il muro di Trump

Diversi politici dell’Unione hanno espresso la propria condanna morale nei confronti dell’intenzione di Trump di costruire un muro “impenetrabile, alto, bello e potente” tra gli Stati Uniti e il Messico. La Mogherini ha definito il muro di Trump come l’opposto di quello che l’Europa rappresenta, dichiarando quanto segue:
La nostra storia, tradizione e identità sono basate sul celebrare l’abbattimento di muri e la costruzione di ponti.

Abbiamo sentito fare uso di una retorica così demagogica già una volta nel 2015. Quella volta il bersaglio era stato un membro dell’UE, l’Ungheria, in occasione della costruzione di un muro per fermare il passaggio dei rifugiati attraverso la rotta balcanica. Anche queste parole sono giuste ma, oggi come allora, i funzionari dell’Unione sembrano vittime di una comoda amnesia selettiva.

In quel particolare caso, essi si sono dimenticati di come gli stati dell’Unione avessero già in precedenza costruito barriere in Grecia, Bulgaria e perfino a Calais, in Francia, con le stesse tecnologie usata dall’Ungheria. Di fatto, da quel momento in poi gli stati dell’UE hanno costruito muri simili (senza subire rimproveri da parte dell’UE); per esempio ai confini tra Grecia e Macedonia, tra Austria e Slovenia e tra Croazia e Serbia.

Quindi, sebbene la retorica di Stati Uniti e Unione Europea abbia preso strade differenti a partire dall’insediamento di Trump, per il momento i due lati dell’atlantico concordano su molti punti per quanto riguarda il trattamento di rifugiati e migranti.

Stiamo invece assistendo ad un uso di queste categorie umane come artificio retorico in una guerra di parole, che sottende però un più sostanziale cambiamento geopolitico. L’UE si sente minacciata su più fronti, non da ultimo da quello costituito dagli Stati Uniti di Trump, e vuole ergersi a bastione della democrazia liberale nella battaglia globale per conquistare i cuori e le menti della popolazione.

Recentemente, in una lettera ai membri del Consiglio Europeo, il presidente Donald Tusk ha affrontato il problema delle future sfide strategiche dell’UE. Ha spiegato:

Soltanto uniti possiamo essere indipendenti. Dobbiamo fare passi decisi e spettacolari per cambiare le emozioni collettive e riaccendere il desiderio di portare l’integrazione europea ad un nuovo livello.”

Tutto ciò è un segnale di come alcuni stati membri non siano pronti a seguire la guida UE e siano più propensi, genuinamente o grazie ad espedienti elettorali, ad imboccare la svolta populista anti-immigrazione di cui Trump si fa portavoce.

Nando Sigona, The Conversation – febbraio 2017