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Senegal – Il ruolo delle donne tra tradizione e modernità

di Chiara Barison, dottoranda in politiche transfrontaliere all’Università di Trieste

Thierno è uno dei tanti ragazzi che si possono incontrare a Dakar, un mix tra tradizione e modernità, che mescolano l’acconciatura rasta legata a coda di cavallo, le polo con il colletto alto, la musica hip hop, alla riservatezza e alla timidezza rispetto a certi argomenti, culturalmente tabù. Impossibile parlare apertamente di sesso, omosessualità, emancipazione femminile. E’ curioso vedere come questo paese si stia aprendo alle mode occidentali, mantenendo in maniera forte i valori della tradizione e come vengano assegnati a livello culturale le accezioni di positivo, quando ci si riferisce alle tradizioni del Senegal e, di negativo, quando ci si riferisce ad un’apertura rispetto alla modernità, ritenuta attentatrice ai valori fondanti della società senegalese e vista sempre e solo come importazione dall’Occidente.

Ho incontrato Thierno durante una conferenza stampa per la presentazione di un festival sulla cultura hip hop a Pikine. Ricordo le nostra lunga chiacchierata sui più grandi artisti rap, i nuovi pezzi più suonati, i dj più in voga e ricordo poi il suo stupore nel vedere i miei tatuaggi, a livello sociale categorizzanti una ben definita tipologia di persone, i delinquenti, i libertini e, a livello femminile, le ragazze cosidette ‘facili’. A livello culturale comportamenti ben definiti come l’abbellimento del corpo tramite tatuaggi e piercing, abbigliamento ed acconciature eccentriche, indipendenza decisionale (specie se in riferimento alle donne) sono accettati solo se a metterli in atto sono europei o, in generale, bianchi occidentali. Risultano ghettizzanti nel caso in cui lo facciano dei senegalesi.

Thierno ha i rasta e segue la moda americana lanciata dai rapper, confessandomi di aver avuto numerose fidanzate francesi, bianche, come tiene a precisare; al tempo stesso vede nei tatuaggi qualcosa di negativo, che però accetta su di me, in quanto bianca europea, ma che non potrebbe mai accettare su una ragazza senegalese. Controsensi si un paese in via di cambiamento.
Qualche giorno fa mi ha invitato a casa sua, a Patte d’Oie, per una cena. La promessa era che sarebbe stato lui a cucinare, evento eccezionale in Senegal, dove i lavori domestici e la cucina sono relegati solamente alle donne. Gli uomini che cucinano o che aiutano le donne nei lavori domestici sono rari, anche questo è culturalmente malvisto, in una società patriarcale e maschista. Non solo, come anche Thierno mi conferma, è impossibile vedere uomini andare al mercato a fare la spesa, verrebbero presi per un omosessuali e, di conseguenza, rischierebbero il linciaggio, visto che l’omosessualità in Senegal non è socialmente accettate ed è addirittura considerata punibile per legge.

Thierno è uno dei pochi ragazzi che si avventura tra pentole e fornelli, costretto ad imparare, come dice lui, dopo il divorzio della madre.
L’appartamento è in uno dei tanti immobili di nuova costruzione, spazioso, moderno. Lo guardo mentre prepara il soffritto, spezia la carne e taglia le patate. Dopo aver messo tutto a cuocere prepara con cura la tavola, con una bella tovaglia in cotone bianco, i tovaglioli, i sottobicchieri, i piatti e le posate.
Un rito ben conosciuto ma che risulta decisamente nuovo in questo contesto. Mi rendo subito conto che Thierno fa parte di una delle tante famiglie ‘nuove’ del Senegal, famiglie all’occidentale, che mangiano a tavola con piatti e posate, che non hanno più di due o tre figli, in cui entrambi i genitori lavorano. Rimango appoggiata sulla porta della cucina mentre lo guardo andare su e giù dal salone e preparare tutto accuratamente.
All’improvviso sento le chiavi nella serratura, sento una voce di donna che parla al telefono e all’improvviso vedo spuntare lei, la madre, una donna sui quarant’anni, dalla carnagione chiara, con il cellulare appoggiato all’orecchio, vestita con un bubù tradizionale e la borsa di pelle sotto braccio.
Appena chiusa la telefonata si precipita sorridente da me, salutandomi con due baci e mettendomi decisamente in imbarazzo.
Aida, questo il suo nome, è una donna in carriera, direttrice di un liceo, iscritta ad un corso di marketing in una delle tante università private di Dakar, vive sola con i due figli e la nipote, dopo il divorzio dal marito.
Femminile e giovanile, sembra più la sorella maggiore di Thierno, che la madre. Dopo essersi cambiata si sdraia nel letto e accende televisione a schermo piatto che ha nella camera e inizia una conversazione con il figlio ad alta voce, dalla camera.

Ad un certo punto mi invita ad andare nelle sua camera, per parlare un po’, nell’attesa che la cena sia pronta. La guardo e cerco ancora di abituarmi ad una situazione per me nuova. Razionalmente mi rendo conto che non c’è nulla di così sbalorditivo, potrei essere in una delle tante situazioni familiari italiane, francesi, inglesi, tedesche, eppure, qui, in Senegal questa è una nota nuova rispetto alla melodia che ascolto giornalmente.

La guardo e mi colpisce quel suo look così giovanile, quel viso così particolare, incorniciato da un paio di occhiali da vista rossi in cui si nota in bella vista la marca di uno degli stilisti italiani più conosciuti.

Aida è l’altro volto delle donne senegalesi, quella piccola percentuale che cerca a fatica di farsi strada, di imporre la propria emancipazione rispetto ad una tradizione che le vuole relegate unicamente a custodi del focolare domestico.
Dopo avermi parlato del suo lavoro come insegnante prima e direttrice poi, iniziamo a discutere del ruolo delle donne all’interno della società senegalese. Mi conferma anche lei che la sua è una situazione atipica. La donna in Senegal resta ancora in un piano secondario rispetto all’uomo. Le ragazze vengono educate fin da piccole ad assumere il ruolo di mogli e madri, ad essere servizievoli e sottomesse quel tanto che basta per soddisfare non solo il marito, ma anche tutta la sua famiglia.
Le bambine vengono abituate ai lavori domestici e spesso fatte andare a scuola il tempo necessario per imparare a leggere e scrivere, capacità più che sufficienti per una donna.
A livello sociale vengono inquadrate in modo che la realizzazione massima sia il matrimonio. Tutte le energie e i sogni di queste ragazze saranno convogliate proprio su questo e non, per esempio, su istruzione e lavoro, due opzioni raramente prese in considerazione.
La realizzazione sociale maggiore di una donna sarà, dunque, il matrimonio, possibilmente con il miglior partito possibile e, spesso, scelto dalla famiglia, all’interno della stessa, magari uno dei tanti cugini partiti come migranti all’estero.
Persino negli auguri fatti da amici e parenti si prega affinché la donna trovi un marito, ‘bravo, buono e generoso’, che la possa mantenere e che possa essere generoso anche con la famiglia di lei.
La realizzazione della donna passa necessariamente attraverso quella dell’uomo, nell’ottica della sottomissione nei suoi confronti.
In casa è il marito che prende le decisioni per lui, per la famiglia e ovviamente, per la moglie. Essendo in molti casi dipendente economicamente, la donna si trova nella condizione di dipendenza, alla mercé del volere del marito.
A livello culturale è talmente forte l’indottrinamento fatto alle ragazze fin da giovani, che trovano davvero soddisfazione nel momento in cui sono servizievolmente impeccabili verso il marito e tutta la famiglia di lui.
In molti casi i mariti partono all’estero come migranti per periodi medio lunghi e le mogli si ritrovano a casa della famiglia di lui relegate ad uno status di (quasi) domestiche, passando le loro giornate a preparare pranzi e cene per la famiglia allargata e a sbrigare i lavori domestici.
Per ogni piccola necessità devono passare per il marito. Sarà a lui decidere se dare denaro e quanto, se comprare le cose e cosa, se dare il permesso alla moglie di andare a un matrimonio, a un battesimo o anche solo a trovare la famiglia quando questa si trova in quartieri vicini o in una città differente.
D’altronde, come si dice in Senegal, ‘mangia il mio pane e canta la mia canzone’, ovvero, se è il marito che provvede ai fabbisogni della moglie, questa a sua volta dovrà sottostare al suo volere e alle sue decisioni, se no rischierebbe il divorzio, che, non essendo in molti casi tutelato, rischierebbe di farla restare senza mezzi per sopravvivere.
Le donne che decidono di continuare gli studi o di costruirsi una carriera, si ritrovano dunque a dover svincolarsi dal ruolo che la società impone loro, rischiando di essere sanzionate a livello sociale.
Una donna senegalese è realizzata nel momento in cui trova un marito ricco che le costruisce una bella casa, che le da i soldi quando lei chiede e che aiuta economicamente la famiglia di lei.
Non c’è ancora a livello culturale un’idea abbastanza forte che questi stessi bisogni possono essere soddisfatti a partire da una realizzazione propria della donna.
La mamma di Thierno è positiva riguardo al futuro, dice che è solo una questione di tempo e che la situazione attuale della donna senegalese è dovuta soltanto al sottosviluppo. Con il progresso e la modernità arriverà anche per le donne senegalesi il momento del riscatto. Una presa di coscienza che passa necessariamente attraverso l’educazione e la scolarizzazione.

Continuiamo a discutere e alle volte ho quasi l’impressione che stiamo parlando delle donne italiane del dopo guerra. Rifletto e penso che allora è semplicemente una questione di tempo, arriverà anche in Senegal l’ora dell’emancipazione femminile, della presa di coscienza del ruolo decisionale che esse possono giocare all’interno della società, dei posti di potere che possono riuscire ad assumere.

In effetti le donne senegalesi sono ancora relegate in un piano secondario rispetto all’uomo, ma hanno forte il senso della dignità, fiere nella loro sottomissione. Penso allora all’Italia e al percorso inverso che le giovani donne italiane stanno facendo. Mentre qui, in maniera lenta ma costante si stanno proponendo come un’alternativa forte alla dominazione maschile, in Italia, dove godiamo ormai da anni della libertà che le nostre nonne e mamme hanno faticosamente guadagnato scendendo nelle piazze a manifestare, ribellandosi, chi in maniera eclatante, chi con piccolissimi gesti dentro le mura domestiche, la mia generazione sta tristemente e pericolosamente regredendo verso una forma di sottomissione all’uomo che non è quella fiera e dignitosa delle senegalesi, ma è quella volgare e cercata di una società che ci vuole mercificare, che vuole mettere il corpo davanti al cervello, la bellezza fisica davanti alle capacità intellettive. Ecco allora che le donne si ritrovano lì dove gli uomini hanno voluto metterle, mettendo in secondo piano la realizzazione intellettuale e professionale per la cura del corpo nell’attesa che qualche potente le possa sfoggiare come sfoggia un abito firmato.

Guardo la mamma di Thierno, così forte e felice della sua realizzazione ottenuta a fatica in una società maschilista come quella senegalese e mi rendo conto che ho avuto bisogno di venire fino in Senegal, un paese ritenuto ancora in via di sviluppo rispetto all’Italia, per rendermi conto che la generazione di donne che seguirà la mia, dovrà probabilmente fare lo stesso percorso della mamma di Thierno per arrivare ad emanciparsi e a non rischiare di essere dipendente da un uomo o da un ruolo imposto dalla società, ma non in Senegal, in Italia, un paese, ritenuto (e non so fino a che punto in maniera corretta) sviluppato.

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