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Shatila refugees camp

da Beiurt, un articolo di Mazrou Leyla

1949.
13 aprile 1975.
16-18 settembre 1982.
Queste sono tre date fondamentali per Shatila, tre date difficili da dimenticare e che segnano gli avvenimenti storici più importanti che contraddistinguono il campo stesso e l’hanno reso tristemente famoso al mondo.

Il campo di Shatila nasce nel 1949 per accogliere i rifugiati palestinesi della Nakba del 1948, provenienti principalmente dai villaggi di Amka, Majd Al-krum e Yajur. Sin dall’inizio fu posto sotto il controllo e la gestione della UNRWA (United Nation Relief Work Agency for palestinian refugees).

Il 13 aprile 1975 è considerato l’inizio della guerra civile libanese che ha portato allo scontro armato diverse forze e gruppi paramilitari all’interno del paese, dove gli attori principali furono i falangisti (cristiani) e i feddayyn palestinesi.

16-18 settembre 1982 invece è un episodio all’interno della guerra civile libanese quando grazie al consenso e al supporto delle truppe di occupazione israeliane, che all’epoca avevano accerchiato Beirut, alcuni reparti delle falangi cristiano libanesi entrarono nel campo, ufficialmente con l’obiettivo di catturare i feddayn palestinesi presenti al suo interno responsabili di un attentato, in realtà perpetrarono un massacro organizzato dove trovarono la morte tra le 1.000 e le 3.000 persone.

Attualmente il campo si trova a sud della città, schiacciato tra l’espansione edilizia e l’aeroporto internazionale. Ormai è talmente inglobato all’interno della rete urbana che lo si può considerare tranquillamente come uno dei suoi quartieri.
La sua estensione è di solo 1 kmq ma al suo interno vivono, o meglio sopravvivono, quasi 22°000 palestinesi.


Con lo scoppio della guerra in Siria, negli anni, si sono aggiunti circa 3000-4000 siriani. Il loro arrivo, ha generato un certo squilibrio e un peggioramento delle condizioni di vita, ma essendo molti di loro in affitto ha immesso anche una certa quantità di denaro insieme a una notevole quantità di poster di Bashar Al-Assad.
L’enorme densità di popolazione del campo e il loro status giuridico costringono la gente a una vita totalmente precaria. Lo si legge chiaramente negli sguardi stanchi e lo si percepisce nella speranza che pian piano svanisce nel nulla.

Sono circa 70 anni che Shatila esiste, la generazione che è arrivata nel ’48 praticamente è svanita, nuove generazioni nascono e crescono qui, senza fiducia nel futuro e ancor meno nella politica sia palestinese che internazionale.

Fare una passeggiata per Shatila molto spesso assomiglia a una sfida. I suoi vicoli sono stretti e bui, in alcuni il sole è merce rara che non si fa vedere quasi mai, camminando non si sa mai dove mettere i piedi perchè le tubature spesso perdono acqua e se si alza lo sguardo al cielo si è sovrastati da un interminabile ragnatela di cavi, fili elettrici, fili per stendere i panni ed altri ancora di cui ignoro l’utilità.
Gli edifici non sono finiti, sono di mattoni e calce e sono tutti terribilmente vicini ma talmente vicini che anche una finestra sembra più una porta di passaggio da una stanza all’altra.

Quando salgo fino in cima all’ultimo piano del palazzo dove vive il mio amico mi chiedo come questo palazzo si regga su se stesso. Una regola non scritta, consideriamola più una prassi, vuole che chi abita l’ultimo piano di solito sia autorizzato, da se stesso, in caso di necessità a costruire un ulteriore appartamento dal tetto in sù in modo da poter affittare la casa precedente e quindi sopravvivere.
Di questo passo tra un paio di anni avranno degli grattacieli che neanche nella city di Manhattan.

Le due paranoie principali in questa avvilente routine riguardano l’acqua e l’elettricità. L’acqua corrente è un problema enorme e un vero e proprio business non solo nel campo ma in tutto il Libano. L’acqua delle tubature non è totalmente desalinizzata, quindi non è depurata al 100% ed è sicuramente meglio non berla. Naturalmente bisogna aggiungere che molto spesso, dato il sistema idraulico alquanto scadente dove circa il 50% delle risorse idriche si perde, l’acqua finisce e si devono tagliare le forniture perciò in ogni palazzo, Shatila inclusa, troviamo delle cisterne grigie che vengono riempite quasi quotidianamente.
Generalmente 1000l d’acqua costano sui 20$ all’incirca ed una famiglia di 4 o 5 persone li consuma abbastanza rapidamente.

Il secondo problema è la corrente elettrica, in Libano di solito si taglia per 3 o 4 ore al giorno ma quasi tutti sono organizzati con generatori. A Shatila invece si garantiscono solo dalle 4 alle 8 ore di elettricità le restanti ore si coprono grazie a degli enormi generatori che si trovano nelle fondamenta o ai pian terreni. Tutto ciò ha comunque sempre un costo intorno ai 15-20$ al mese.

Uno dei pochi servizi offerti è quello della scuola, che si trova nella parte nord del campo ed è gratuita per i palestinesi.

Certo ognuno del posto è contento che i propri figli/e possano studiare però spesso si rivela un arma a doppio taglio perchè in questo caso, dato che le scuole libanesi sono troppo care, si genera una sostanziale discriminazione e ghettizzazione.
Le condizioni di vita sono degradanti, fatiscenti qualcosa che nel nostro immaginario collettivo si avvicina molto alla Scampia di Gomorra.

Vivere e respirare qui fa capire che sono stati dimenticati da tutti, sono i “dimenticati” di un tempo fin troppo passato dove anche l’indignazione è diventata rassegnazione: si nasce e si muore qui. In una vita parallela. Sognando e ricordando la Palestina.