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A cura di Cinzia Gubbini

Si può essere discriminati perché stranieri non di «origine italiana»?

Nell’era Berlusconi e del ministero «per gli italiano all’estero» di Mirko Tremaglia, sì. E non si tratta di un’eventualità. Il soggetto di questa nuova distinzione «di razza», basata odiosamente sul doloroso sradicamento degli italiani costretti ad emigrare in un passato che non fa più memoria, si trova in questo momento suo malgrado in Argentina, si chiama Laura e ha 23 anni.

Questi i fatti: Laura ha frequentato un master in Italia, da giugno a dicembre, a Bolzano precisamente, dove vive sua sorella. Alla fine del corso ha ricevuto un’offerta di lavoro: un contratto di collaborazione coordinata e continuativa in un’azienda altoatesina, come consulente di
qualità.
L’azienda, in base al decreto flussi 2002 varato dal governo, ha immediatamente avviato le pratiche. Ma la brutta sorpresa era dietro l’angolo: il ministero per gli italiano all’estero ha imposto una quota di ingressi a favore degli «argentini di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado di acendenza in linea retta».

Quattromila posti di lavoro, e non sono pochi, riservati ai nostri lontani parenti «considerato che la situazione economica e politica in Argentina ha posto in difficoltà numerosi lavoratori di origine italiana». Ovviamente la situzione politica e economica dell’Argentina, scaturita dalle «ricette» del Fondo monetario internazionale, hanno messo a rischio tutti i lavoratori argentini, di qualsiasi provenienza, e quindi sarebbe stato più di buon gusto riservare uno spazio privilegiato agli argentini in generale. Così non è stato e siccome le contraddizioni politiche non risparmiano da ricadute materiali, ecco che nel decreto flussi 2002 è successo il papocchio.

Per una «svista», forse, o per incompetenza, chissà, o magari intenzionalmente, leggendo bene il decreto flussi 2002 si scopre che dagli ingressi riservati agli immigrati sono escluse le persone
provenienti dai paesi considerati nelle «quote speciali». Cioè i paesi che hanno stretto accordi bilaterali con l’Italia come l’Egitto o il Marocco e, appunto, l’Argentina. Quindi Laura, che non ha orgini italiane, è fuori. Può sembrare assurdo, una discriminazione insensata, ma è tutto vero. L’Ufficio del lavoro di Bolzano ha quindi rigettato la richiesta. Dal ministero del Lavoro, a Roma, arrivano solo mezze frasi: ma no, è ovvio che è un’interpretazione troppo rigida del decreto…
Ma di emettere una circolare correttiva scritta, non se ne parla. E intanto Laura paga gli scotti di una politica insensata.
E, per concludere, una chicca: Laura, in realtà, ha un bisnonno italiano. Partì nel 1885 da Genova con suo padre, il trisnonno di Laura. Venivano da un paesino della Calabria e andavano «in America». Ma in quella famiglia, partita dall’Italia lasciando tutto il poco che avevano, non si è tramandata memoria dell’origine italiana, se non in senso quasi mitico.

Nessuno sa quale fosse il paesino in cui è nato il bisnonno, che, appena giunti in Argentina, è stato fatto registrare nel
paese nuovo, il paese della speranza. Allora in Calabria non c’erano neanche i registri di nascita «forse è segnato in qualche parrocchia», riflette Marco, che ha fatto di tutto pur di trovare un «segno» della dicendenza italica di Laura. Ironia della sorte e della storia, il bisnonno di Laura deve aver pensato che era molto meglio lasciarsi l’Italia alle spalle e riconominciare tutto in un mondo nuovo.
E invece l’Italia si ripresenta, oggi, come un ingombrante residuo.