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Tratto dal sito unimondo.org

Siamo tutti immigrati

Non è facile sporgersi sull’abisso dell’emigrazione. Una sola occhiata ci sconvolge. Per questo preferiamo stare nei luoghi comuni, vivere sul filo della paura più irrazionale e del pregiudizio e ci accodiamo allora a quanti sentenziano che la soluzione è unica: spedire a casa questi marocchini”.

(Felice Scalia)

Siamo tutti immigrati – Gli spostamenti di popoli per terre e mari hanno caratterizzato la storia umana per migliaia di anni: migrazioni di vasta portata o locali, di massa o di singole famiglie. E’ un fenomeno che in qualche misura c’è sempre stato. Basti ricordare le migrazioni bibliche verso e dall’Egitto e quelle che sono state chiamate invasioni barbariche. Nei tempi moderni si sono succedute periodicamente verso l’America e poi all’interno dell’Europa alla ricerca di lavoro. Negli ultimi decenni la mobilità umana nel mondo è in piena espansione, perché ai classici emigranti in cerca di lavoro si sono aggiunte le turbe di chi cerca asilo politico e protezione umana, fuggendo da Paesi devastati da guerre, contrapposizioni etniche e calamità naturali.

Conseguenze disastrose – In taluni casi le immigrazioni ebbero conseguenze disastrose e drammatiche nei paesi di destinazione. L’immigrazione dall’Europa cancellò più del 90 per cento della popolazione indigena delle Americhe. In Australia gli Aborigeni furono vittime di un genocidio simile. In questo secolo, l’immigrazione degli Ebrei in Palestina ha avuto come conseguenza un destino di profughi per tre quarti della popolazione palestinese.

Oggi rischia l’immigrato – Oggigiorno, nella maggior parte dei casi, l’immigrazione non ha le stesse distruttive conseguenze sul paese ospitante. Al contrario, sono gli immigrati stessi a correre rischi. Gli immigrati sono spesso le vittime di violenza razzista e di abusi, sebbene sia stato loro riconosciuti lo status di rifugiato politico perché perseguitati nel loro paese d’origine, o residenti da lungo tempo facciano parte di una minoranza.

L’immigrazione è una ricchezza – L’ignoranza che sta alla base del razzismo non riconosce il grande contributo che gli immigrati portano al paese nel quale vivono. Non è raro che dalle file degli immigrati vengano le più eminenti figure in campo politico, negli sport e nelle arti (ciascuno può pensare a qualche esempio relativo al proprio paese). Ma anche gli immigrati che non assurgono alla notorietà arrecano un grande contributo, economico e culturale, al paese nel quale risiedono. Una ricerca condotta recentemente in Germania mostra che tra il 1988 e il 1992 i lavoratori immigrati hanno contribuito per il 6 per cento al prodotto interno lordo del paese.

Capitali e merci sì, persone no – Nonostante quanto finora evidenziato, molti paesi hanno cominciato a porre restrizioni all’afflusso di immigrati (tranne nel caso in cui l’immigrato sia una persona ricca). La calda accoglienza riservata agli uomini d’affari stranieri in cerca di opportunità di investimento mostra cosa si nasconde dietro le politiche di controllo dei flussi migratori: i potenti possono circolare liberamente, i poveri sono ricacciati nei loro paesi. Questa realtà suggerisce un approccio alternativo all’immigrazione: fino a quando i poveri del mondo sono condannati alla disperazione da un sistema internazionale controllato dai ricchi, i paesi ricchi hanno il dovere morale di lasciar entrare tutti quelli che loro stessi hanno reso poveri.

L’immigrazione in Italia e in Europa – Noi siamo impressionati e preoccupati per i gommoni che attraccano alle coste italiane e per gli extracomunitari nei quali vediamo una minaccia per i posti di lavoro, ma sarebbe bene, prima di tranciare giudizi e lanciare gridi di allarme, che guardassimo allo scenario europeo. Sono 18 milioni i migranti insediati nei 15 Paesi dell’Unione Europea, pari al 5 per cento della popolazione dei residenti. Non però equamente distribuiti, giacché in Germania, Belgio e Austria raggiungono il 9 per cento; in Francia il 6,3 per cento; in Svizzera il 18 per cento; in Italia solo il 2,2 per cento. Di questi, 270 mila sono comunitari o comunque provenienti da Paesi a sviluppo avanzato e non fanno quindi problema. Gli extracomunitari regolari non raggiungono il milione e, se vi aggiungiamo i cosiddetti clandestini, arriviamo al massimo a 1 milione e 250 mila. Sono dati del Ministero degli Interni, della Caritas italiana e del Servizio migranti.

Alle radici del fenomeno – Oltre a quello dei numeri (spesso dilatato per ragioni ideologiche) c’è un altro argomento che bisogna tener presente prima di formulare giudizi ed è quello delle cause che spingono ad emigrare. Non c’entra nulla lo spirito di avventura o la scarsa volontà di lavorare nel proprio Paese. Le odierne migrazioni più che l’affermazione di un diritto ad emigrare, sono il disperato tentativo di sopravvivere a situazioni di miseria e di rischio per la vita. E in questo molta responsabilità va ascritta al sistema occidentale e alla sua globalizzazione, che fa sì che il 20 per cento di privilegiati dell’umanità consumi l’80 per cento dei beni disponibili e che i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Ragioni economiche e sociali – Questi poveri però non sono oggetti inanimati né bestie, bensì uomini, non raramente con tanto di titoli di studio. In Italia a determinare i flussi migratori sono ragioni economico-sociali: il drammatico impoverimento di molte aree del Terzo mondo, la crescente disparità di reddito rispetto ai paesi sviluppati, dunque le necessità della sopravvivenza; ma anche l’intreccio di ragioni ecologiche, politiche, culturali.