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Slovenia – Nel ranch di Dobova

Report multimediale staffetta #overthefortress dal 2 al 5 dicembre 2015

Partiamo con un vecchio furgone carico di vestiti e beni di prima necessità, diretti al campo sloveno di Sentilj, a pochissimi metri dal confine con l’Austria. Un controllo di routine, da parte della polizia stradale a Gorizia, ci fa scoprire che trasportiamo più di 5,5 quintali di materiale raccolto in queste settimana al Centro Sociale Django di Treviso, grazie alla solidarietà di molti cittadini trevigiani.

Arriviamo a Sentilj che ormai è sera e ci rechiamo subito al Campo allestito presso la vecchia dogana, a pochi passi dalla stazione dei treni.
La sensazione è che all’interno del Campo non ci sia nessun movimento. Conosciamo il coordinatore in turno dell’organizzazione non governativa Slovenska Filantropija, che è stata coinvolta dal governo sloveno per la sua esperienza con i richiedenti asilo nella gestione dei “Centri di accoglienza”.
Dejan ci conferma le nostre impressioni: da qualche giorno il Campo è vuoto, fatta eccezione per due migranti più un terzo attualmente ricoverato in ospedale. Grazie a lui riusciamo comunque ad accedere all’interno dei vari tendoni adibiti a dormitorio, refettorio, magazzino alimenti e del vestiario.

Consegniamo una piccola parte del materiale che trasportiamo, in particolare le scarpe, di cui Dejan ci dice che c’è un gran bisogno. La calma consente all’operatore di rilasciarci una video intervista in cui spiega l’attuale situazione. Il Centro di transito di Sentilj normalmente accoglie le persone per una o due notti soltanto, il tempo di riprendere le forze e ripartire verso il Nord Europa, passando il confine con l’Austria a piedi.

Rispetto alle settimane passate, in cui il Campo era attraversato da migliaia di persone, ora da qualche giorno i flussi si sono notevolmente ridimensionati. Probabilmente questa cosa si spiega, almeno in parte, con l’attuale chiusura del confine fra Macedonia e Grecia (mentre scriviamo queste righe abbiamo negli occhi le immagini delle violentissime cariche della polizia greca sui migranti fermati da giorni sul confine). Nonostante il Campo sia vuoto è presidiato militarmente.

La mattina successiva ci rechiamo a Maribor, dove ci sono i magazzini di stoccaggio dei vestiti che poi vengono smistati per essere consegnati nei vari centri di accoglienza nel paese. Una volta svuotato il furgone ripartiamo immediatamente verso Dobova, nel sud del Paese, facendo una piccola deviazione per andare a verificare la situazione lungo la linea di confine fra Slovenia e Croazia. Abbiamo potuto vedere il filo spinato posizionato dal governo sloveno per “canalizzare i flussi di profughi in entrata”. Una cosa terribile come questa non può avere spiegazioni accettabili e razionali. Inoltre, come non bastasse questa barriera, il confine è completamente disseminato di pattuglie della polizia, che lo controllano in maniera serrata e rigida.
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Quando proviamo ad avvicinarci da un accesso secondario lungo una stradina di campagna, veniamo immediatamente fermati. La polizia insinua che il nostro intento sia quello di individuare accessi non controllati per far passare illegalmente le persone. Dopo l’identificazione veniamo allontanati, scortati da una pattuglia.

Venerdì mattina siamo in turno al Campo di Dobova come volontari di Slovenska Filantropija, grazie ai rapporti stretti con loro durante le precedenti staffette #Overthefortress. Senza l’accreditamento è vietato l’accesso. Ancor più che a Sentilj, qui, il primo forte impatto è la presenza massiccia dei militari e delle forze di polizia. Nel parcheggio del campo e nelle aree circostanti sono posteggiati mezzi militari da “stato di guerra” e pattuglie. Il Campo è di fatto gestito dalla Polizia, in collaborazione con la Protezione Civile. Sono presenti l’Esercito, che controlla, la Croce Rossa, che si occupa dell’infermeria e della distribuzione pasti, l’Unhcr, che pare semplicemente presenziare senza poter o voler intervenire più di tanto, e Slovenska Filantropija, che collabora e aiuta.

Una volta entrati incontriamo per la prima volta i richiedenti asilo di passaggio per la Slovenia (nessuno la considera la sua meta finale). Durante la nostra presenza transiteranno un migliaio di persone, in un sali scendi continuo da autobus e corriere. Il contributo dei volontari si limita al riordino dei capannoni usati come refettorio/dormitorio, la distribuzione di cibo (due fette di pane, un frutto e una scatola di sardine, dieta unica anche per donne in gravidanza e bambini) e un’assistenza di base ai migranti.
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Dalla nostra visita, seppur brevissima e quindi non esaustiva, è stato immediato rilevare come l’organizzazione dell’accoglienza sia improntata a garantire un passaggio quanto più rapido possibile per il territorio sloveno. Non è previsto nei campi la presenza di operatori, mediatori, psicologi che garantiscano un sostegno emotivo e relazionale alle persone. Risulta quindi non appropriato parlare di “accoglienza”, quando le uniche cose fornite sono un pavimento dove dormire e poche cose fredde come pasto. In particolare a Dobova, non esiste un capannone adibito a refettorio e i migranti sono costretti a mangiare, dormire e passare il loro tempo nello stesso capannone, buttati a terra con solo delle coperte per isolarsi dal legno. Loro stessi, nonostante la stanchezza accumulata, collaborano nella pulizia e nel riordino.

La polizia decide tutto, senza coinvolgere nelle scelte gli altri soggetti, che si devono adeguare. La pressione che si percepisce è fortissima e qualsiasi iniziativa, anche il solo accompagnare dal medico una persona che sta male, come ci è successo, viene pesantemente repressa con grida e insulti. Abbiamo assistito ad atteggiamenti discriminatori, anche razziali, da parte delle forze dell’ordine che si riferiscono ai migranti come fossero animali.
Impartiscono ai rifugiati le indicazioni battendo con i manganelli sulle transenne, urlando in sloveno in maniera incomprensibile. Nessuna assistenza particolare viene dedicata a donne, anche in avanzato stato di gravidanza, bambini, neonati e persone con disabilità psicofisiche anche gravi.
Ci rimane l’immagine di un piccolo recinto all’interno di uno dei capannoni con dentro 4 bambini e un cartello appeso alla transenna di cui si capiva solo la parola “tubercolosi”. Uno di loro dormiva, rigorosamente per terra, ricoperto da mosche.

La nostra impressione è di essere stati più che in un centro di accoglienza in un ranch, in cui le mandrie di mucche vengono fatte passare da un recinto all’altro, attraverso passaggi transennati, in una logica che non ha niente dell’umanitario. Peccato non fossero animali, ma esseri umani in fuga da guerra e miseria.

Leonardo, Lorenzo e Marta, staffetta #overthefortress – 5 dicembre 2015