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Speciale Melting Pot sul “ghetto” di via Anelli – Padova

Un decennio di ghetto circondato nell'ultimo anno dal muro. Che eredità ci lascia la vicenda di via Anelli?

A dieci anni di distanza la vicenda di via Anelli, il “ghetto” di Padova, ci offre l’occasione per fare un bilancio su alcune questioni chiave che interessano la vita delle nostre città.
Da sempre, il Progetto Melting Pot Europa, ha mantenuto aperta una finestra privilegiata sulle trasformazioni che accompagnavano il trascorrere del tempo in via Anelli.
Le molte storie che abbiamo raccontato, le tappe cruciali della vita del ghetto, e non ultime, le modalità con le quali è stata affrontata la situazione dalle diverse amministrazioni che si sono avvicendate, sono state al centro della nostra attenzione.
Che eredita ci lascia via Anelli?

Con Claudia Vatteroni, dell’Associazione Razzismo Stop di Padova, promotrice del Comitato per il superamento del ghetto di via Anelli, nato nel 1998, abbiamo ripercorso la storia del ghetto, e soprattutto, affrontato alcuni nodi chiave che la sua chiusura ci consegna come irrisolti.

D. Gli ultimi appartamenti sono stati sgomberati. Questo è il migliore epilogo per i dieci anni di battaglie del Comitato per il superamento del ghetto?
R. Oggi tutti sono alla ricerca di accaparrarsi i meriti dello svuotamento. A noi questo non interessa. Ogni conquista appartiene esclusivamente a quanti, abitanti e non, in questi anni hanno alzato la testa e si sono battuti per la dignità loro e di tutta la città. La situazione era ormai insostenibile.
Lo svuotamento dei primi appartamenti, lo ricordo, ha avuto inizio solo dopo l’iniziativa di 12 famiglie che nei primi mesi del 2005 occuparono un complesso di appartamenti lontani dalla zona che stava per essere messo sul mercato privato. Ogni passo è stato frutto delle spinte che incalzavano la politica.
C’è da dire però, per sgombrare il campo dagli equivoci, che ciò che abbiamo chiesto noi, promuovendo anche una ricerca accurata tra gli abitanti, era un piano ben più articolato per la soluzione della vicenda. Mutui agevolati, possibilità di scelta per gli abitanti, diverse modalità di inserimento abitativo.

D. Ed invece?
R. Invece chi è stato trasferito avrà solo dei contratti di locazione della durata di due anni, con conseguenti preoccupazioni per il futuro. Ne riparleremo quando sorgeranno i primi problemi.
E poi, così come è stato portato avanti, il piano dei trasferimenti ha portato alla saturazione del patrimonio pubblico abitativo, ed il dito, ancora una volta, viene puntato contro gli abitanti del ghetto.
Inoltre, per chi ha dovuto sopportare in questi anni i costi degli affitti “in nero” c’è una beffa ulteriore: queste persone non sono state inserite nel piano dei trasferimenti.
Per non parlare di quanti, lavoratori, ma senza il permesso di soggiorno, trovavano alloggio in via Anelli.
Il risultato? Un esodo di molte persone costrette dopo dieci anni, ancora una volta, ad essere messe ai margini.

D. Uno svuotamento a metà dunque?
R. Come sempre, quando la politca fa fronte alle spinte di quanti si battono per migliorare la realtà, lo fa in maniera approssimativa. Questa Giunta, nel preparare lo svuotamento, sembrava più preoccupata di far presto per definire i finanziamenti per la riqualificazione che della dignità degli abitanti.
Svuotare via Anelli poteva essere una occasione importante per affermare i principi della democrazia, dell’ accoglienza, della dignità per tutti.

D. Ed invece?
R. Invece l’operazione è stata affrontata solo per togliersi una grana di torno.
Nessuna nuova politica abiativa, tanto meno urbanistica. Non un centesimo speso in più per l’accoglienza.
La legge sull’immigrazione tuttora vigente continua a produrre i suoi drammatici affetti, così come quella sulle droghe.
Se non si affronta la vicenda da questo punto di vista, di via Anelli ne ritroveremo moltissime ancora nei prossimi anni.
Quella che abbiamo visto è sembrata una operazione elettorale più che un intervento approfondito nella realtà.
E poi, il muro…

D. Ecco, il muro, da quel momento qualcosa è cambiato.
R. Il Ministro Ferrero lo ha definito “necessario”.
E’ lo stesso modo con cui in altri tempi qualcuno giustificò i Gulag. Ogni disegno folle è necessario per la cultura dominante in un dato periodo storico.

D. Il muro però serviva a contenere lo spaccio dicono
R. La questione del traffico di sostanze, delle narco-mafie, della tossicodipendenza ha a che vedere con le leggi proibizioniste che ne determinano le condizioni.
Non è pensabile poter rinchiudere delle persone come è stato fatto in via Anelli. Il muro, i check point che bloccavano le strade, la politica dell’allarme hanno tremendamente segnato la vicenda del ghetto inasprendo ancor di più i suoi aspetti più crudi, ed ha tracciato un segno indelebile sulle modalità di gestione dei fenomeni sociali.

D. In che senso?
R. Con la scusa del controllo, del pericolo, della paura, l’attuale amministrazione ha messo in campo la più grande operazione di repressione contro i migranti in città. Ma quale accoglienza?
Una amministrazione che si fa carico di un problema come quello del ghetto non è che poi è legittimata a fare qualsiasi cosa.

D. Ed invece?
R. Invece le retate contro i migranti, la politca della tolleranza zero, l’emergenza, sono diventate all’ordine del giorno, sono ormai le basi dell’azione politica del centro-sinistra padovano, che per la verità non si discosta neppure molto dalle linee guida dell’attuale governo. La proposta di legge Amato Ferrero è un fallimento, e tradisce ogni prospettiva di inversione di tendenza rispetto al passato, mentre l’emergenza sicurezza è l’unica chiave con cui si guarda ai fenomeni migratori.
Diciamo che la Giunta padovana Zanonato ha fatto scuola.

D. Padova è stato quindi un laboratorio per il centro-sinistra?
R. Lo è stata. E’ stata il laboratorio di sperimentazione di nuove forme di gestione delle città. E’ un esempio lampante di come la retorica del linguaggio insieme alle azioni repressive si stiano forgiando come nuovi modelli di governo.
Quello che abbiamo davanti è un nuovo assetto di gestione della questione immigrazione. Il muro oggi viene agitato come un simbolo di integrazione da riprodurre in altri luoghi. E’ una follia. Ma quando mai? I muri le barriere, i confini, la retorica e la demagogia sul pericolo, producono solo esclusione.
I migranti in questo quadro sono vittime due volte. Prima della legge che li costringe alla clandestinità, poi delle persecuzioni che devono subire per questo.

D. E la sicurezza?
R. La sicurezza è un concetto stravolto. La politica continua ad agitare emergenze per giustificare le sue azioni, e tutto ciò che viene messo in campo genera ancor più insicurezza. Vogliamo imbottigliarci in questa spirale senza via d’uscita?
Sicurezza significa per prima cosa diritti.
Diritti sicuri, questo è il punto di partenza.
Come possiamo pensare di vivere in città sicure se migliaia di persone vengono messe ai margini? Dove sono le politiche di accoglienza, quelle sulla casa, quelle sul reddito?
Davvero pensiamo che governare una città possa significare farlo attraverso le retate della Polizia, la videosorveglianza, la caccia ai nomadi e ad ogni diversita? La società è piena di contraddizioni, vanno sviscerate e affrontate, non agitate come pericoli.
Prenderle di petto significa andare al cuore dei problemi.

D. Che eredità ci lascia dunque via Anelli?
R. Pesante, molto pesante. Prima di tutto per quanto riguarda gli arretramenti sul piano dei diritti e della mancanza di azioni vere e concrete che entrino approfonditamente nel cuore delle contraddizioni.
Poi, ci lascia una città dove le ronde, il razzismo, la paura del diverso, trovano legittimità nel quadro che la politica ha disegnato.
In fine, ma mi sembra la questione più importante, credo sia stata l’occasione, per la politica, di affermare un nuovo modo di gestire la città. Sempre emergenziale, sempre allarmistico. Fino a quando tutto finisce travolto da questa visione non sarà possibile risolvere nulla.
Così, dopo i migranti di via Anelli, i muri hanno accerchiato le prostitute, gli studenti universitari che si ritrovano per l’aperitivo, i nomadi, anche se stanziali, le voci dissidenti, ogni diversità.
La politica ha bisogno di una via Anelli nuova da raccontare ogni giorno, così oggi l’attenzione, l’allarme, si è spostato su altre zone.
Solo così sembra possibile governare la città.
Noi vogliamo andare verso altre rotte.

D. Il futuro?
R. E’ nelle battaglie che stiamo portando avanti per i diritti sicuri, ovunque i muri che la Giunta ha proiettato in città allunghino la loro ombra.

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