Era facile, troppo facile prevederlo. Ancora una strage di migranti, “colpevoli”soltanto di avere tentato la via dell’immigrazione irregolare.
E ancora “sbarchi” e il centro di primo soccorso ed accoglienza di Lampedusa colmo ogni oltre limite.
Solo il ministro Maroni continua a ritenere che l’intensificarsi dei controlli di polizia nelle acque antistanti i paesi nordafricani possa sortire un effetto dissuasivo, scoraggiare le partenze, e “bloccare” gli arrivi in Sicilia. Su questa opinione del ministro si basa la decisione di trattenere a Lampedusa tutti i migranti irregolari che vi giungono e il “trasferimento” della Commissione territoriale per i richiedenti asilo da Trapani nell’isola pelagica. Una decisione del ministro, per esaminare nel modo più sbrigativo le istanze di protezione internazionale ed allontanare con la forza tutti coloro che non conseguano il riconoscimento dello status o che risultano “soltanto” migranti economici.
Anche a costo di sacrificare i diritti di difesa riconosciuti agli immigrati irregolari dalla legge, dalle direttive comunitarie e dalle convenzioni internazionali.
Quanto questa scelta di Maroni risulti infondata e potenzialmente disastrosa lo conferma adesso l’intensificarsi degli “sbarchi” a Lampedusa, dove oltre 1800 migranti, un numero mai raggiunto prima, rimangono stipati in un centro che dovrebbe essere soltanto “di prima accoglienza e soccorso”, un centro con 450 posti più altri 450 per i casi di emergenza.
Siamo ormai ben oltre l’emergenza, ma le notizie circolano solo a livello regionale e rimangono tra le brevi di cronaca a livello nazionale, una rigida censura impedisce agli italiani di conoscere la misura del fallimento del governo Berlusconi, anche in materia di immigrazione ed asilo. E la situazione potrebbe essere ancora più grave nei prossimi giorni, come è confermato dal ripetersi degli sbarchi che non potranno certo essere bloccati dalle sei motovedette promesse alla Libia. Anche perché ormai non si parte solo dalla Libia.
A questa situazione esplosiva a Lampedusa, ma assai delicata in tutta la costa meridionale della Sicilia, come confermano gli ultimi sbarchi di Pozzallo e Licata, si aggiunge adesso l’ennesima strage di migranti, ventisei dispersi dopo l’affondamento del barcone sul quale si trovavano, davanti alla costa di La Marsa, una località turistica a venti chilometri da Tunisi. Una ulteriore conferma che anche nei paesi che, a differenza della Libia, sono da tempo dotati di un corpo di polizia marittima e che perseguono maggiormente, in collaborazione con l’Italia, l’obiettivo di arrestare i migranti che intraprendono la rotta verso la Sicilia, la determinazione di chi vuole o deve migrare ed il sistema dei controlli di polizia continuano a produrre tragedie.
Questa volta si trattava di persone in fuga da una Tunisia che sta riducendo alla fame i ceti più deboli e ha represso con la polizia le proteste dei lavoratori, processando e condannando i principali rappresentanti del movimento di lotta. Pur di fuggire e di sottrarsi ai controlli di polizia si parte di notte, su imbarcazioni più piccole, in pieno inverno, su rotte più pericolose, non appena il mare sembra placarsi. E non sempre il viaggio termina in Sicilia.
Altre volte il viaggio, l’illusione di un futuro diverso è assai breve. Le prime notizie su quanto avvenuto davanti alle coste tunisine appaiono discordanti e le diverse versioni fornite dai media, per alcuni il barcone sarebbe affondato a venti miglia dalla costa, per altri invece alcuni migranti sarebbero riusciti a raggiungere la riva a nuoto, confermano soltanto l’imbarazzo delle versioni ufficiali e l’assenza di una libera informazione in Tunisia. Sembrerebbe peraltro che le uniche fonti della notizia appartengano alle forze di polizia.
L’affondamento del natante sul quale erano imbarcati i migranti, a poca distanza dalla costa tunisina, ed il l’immediato intervento di diverse unità navali militari e civili, che già si trovavano nelle vicinanze, farebbero presumere che il naufragio possa essersi verificato in un area comunque sotto il controllo delle forze di polizia marittima, magari dopo un tentativo di intercettazione e di blocco navale. Non si sa se questa “disgrazia” sia stata frutto di un pattugliamento in funzione di contrasto dell’immigrazione “clandestina” o delle condizioni meteo, che secondo i bollettini dovevano essere abbastanza buone. Anche in questo caso la verità, probabilmente, non si conoscerà mai. Ai sopravvissuti verrà fatto capire, come al solito, che è meglio dimenticare tutto, e non provarci mai più.
Rimangono “soltanto”, questo è certo, altre ventisei vittime della Fortezza Europa, vittime delle politiche di contrasto dell’immigrazione (non solo quella cd. “clandestina”), politiche che vietano qualunque possibilità di ingresso legale, ai richiedenti asilo, tra i quali vi possono essere anche tunisini in fuga dal regime di Ben Ali, è bene ricordarlo, ed ai migranti economici in fuga dalla fame e dalla devastazione ambientale.
E rimane l’arrogante certezza di quei politici che sono convinti, e vorrebbero convincere l’opinione pubblica, che le misure di polizia e gli accordi di riammissione stipulati con i paesi del Nord-africa possano arginare i migranti che tentano di attraversare il canale di Sicilia.
Per questo si invoca l’Unione Europea perché finanzi ancora le missioni nel Mediterraneo di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne e su iniziativa del governo italiano si coalizzano gli stati più chiusi rispetto all’immigrazione, come Malta, Cipro e la Grecia per proporre all’Unione Europea misure ancora più restrittive contro i migranti irregolari. Tanta determinazione smentita dai fatti, con il raddoppio ed oltre degli sbarchi nel 2008, ed un inizio del 2009 che lascia presagire il peggio.
Di fronte a questa arroganza, che va oltre una linea politica, ma diventa sempre più disprezzo della vita dei migranti, continua ad allungarsi la lista dei morti e dei dispersi.
Se il consenso verso questo ministro dell’interno cresce, è evidente che i suoi sostenitori non vogliono affatto la fine dell’immigrazione clandestina in Italia, ma sfruttano la riproduzione di quella clandestinità che riduce a merce i lavoratori migranti ed abbatte le condizioni retributive e le garanzie di tutti i lavoratori, italiani e stranieri.
Altro che contrasto della criminalità, che -anche secondo i dati della Banca d’Italia- è in forte calo, dopo la campagna propagandistica che ha contribuito, oltre agli errori del governo uscente, alla vittoria elettorale del partito di Berlusconi e dei suoi alleati.
Si impone una riflessione sulla morale pubblica e sulle residue possibilità di coesione sociale nel nostro paese, nel quale la crisi viene affrontata sollecitando gli egoismi dei più forti, alimentando le divisioni e la guerra tra le componenti più disagiate della popolazione e gli immigrati. E ormai non si contano più i senzatetto, molti dei quali migranti, che muoiono per le strade, vittime del freddo e dell’abbandono, una strage nascosta come le tante stragi nel canale di Sicilia.
Si voleva offrire agli italiani maggiore sicurezza e ridurre l’immigrazione clandestina. Per questo si sono aumentati i tempi della detenzione amministrativa, si sono inasprite le pene per gli irregolari, e si è ancora ristretta la possibilità di ingresso legale. Presto la situazione diventerà sempre più grave, non solo ai valichi delle frontiere marittime, ma anche sul territorio italiano. L’emarginazione e l’esclusione non risolvono certo i problemi, semmai li aggravano.
E’ sempre più a rischio lo stato di diritto. Dopo le direttive impartite dal Ministro Maroni, se non saranno immediatamente revocate, a Lampedusa non si potrà certo applicare la legge dello stato anche se continua a rimanere territorio italiano, luogo emblematico dove dovrebbero valere sempre le regole e le garanzie dello stato democratico, e non le stravaganti iniziative delle autorità politiche ed amministrative che trattano l’isola come uno spazio extraterritoriale, quasi una piattaforma galleggiante sempre più vicina all’Africa. Con tutti i suoi abitanti, immigrati ed italiani compresi.
Questa ennesima strage, e l’intensificarsi degli sbarchi a Lampedusa e nel resto della Sicilia, malgrado le direttive impartite dal governo italiano che avrebbero dovuto valere come “annuncio” dissuasivo nei confronti dei candidati all’emigrazione clandestina, forniscono la chiave di lettura che permette di valutare la portata presente e futura delle decisioni del governo italiano in questa materia. Un governo italiano nel quale ci sono ministri che vorrebbero stipulare accordi di polizia per praticare il blocco dei migranti nelle acque territoriali dei paesi di partenza, proprio dove hanno fatto naufragio i 26 tunisini dispersi nella giornata di oggi, e creare un successivo “luogo di blocco” a Lampedusa, promettendo (senza potere certo realizzare) il rimpatrio diretto di quanti vi giungano irregolarmente e non ottengano il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione internazionale.
Ancora una volta il tentativo di mostrare la faccia dura ai migranti che vorrebbero entrare in Europa, buono per guadagnare qualche punto nei sondaggi, corrisponde al ripetersi di tragedie dell’immigrazione irregolare e ad una continua riproduzione della clandestinità, al di qua e al di là delle frontiere, una clandestinità indotta dai decisori politici più che dai migranti che ne sono vittime, una condizione imposta e non scelta da persone che non hanno alternative, che alla fine contribuisce a diffondere la precarietà e l’esclusione in tutta la società italiana. E di questo i cittadini italiani, non solo i migranti, dovrebbero avere veramente paura.
Vedi anche:
– Sbarco a Lampedusa, un migrante morto
– Filo spinato a Lampedusa. Ed i diritti di difesa?
– Lampedusa – Anche il sindaco contro il CPT–
– Italia-Egitto: Accordi di riammissione e divieti di espulsione e di respingimento