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Sulla porta della Rotta Balcanica: l’accoglienza dei migranti a Nord Est

Un articolo di Angela Tognolini, tratto da The Bottom Up

Photo Credit by Monika Godlewska

I migranti sanno che nel nord d’Italia c’è una lunga frontiera, una porta che separa la penisola dall’Austria, dalla Francia e dall’Est Europa. Sempre di più, questi confini poco prima delle Alpi stanno diventando palcoscenici fondamentali della migrazione che dal 2011 interessa l’Europa. E come si è tanto parlato di Ventimiglia, come ci si domanda cosa succeda a Como e se il Brennero sia aperto o chiuso, così ci si chiede anche: com’è la situazione in Friuli Venezia Giulia?

La situazione, risponde Paola Tracogna, volontaria storica della ONLUS Ospiti in Arrivo, non è buona. Fin dal 2014, il confine con l’Austria a Tarvisio e quello con la Slovenia a Gorizia sono stati la soglia verso l’Italia della rotta Balcanica. “Questo è un confine che vede un doppio flusso” spiega Paola “ci sono persone che arrivano da sud e cercano di lasciare l’Italia per proseguire verso altri paesi europei, dove hanno famiglia o dove sperano di avere migliori chance di lavoro. Ma, soprattutto, ci sono persone che entrano in Italia, dall’Austria e dalla Slovenia, e che è qui che devono essere accolte“.

Foto di Federica Ciccuttini
Foto di Federica Ciccuttini

E il Friuli, malgrado siano passati anni dall’inizio del fenomeno, non sembra ancora pronto ad accoglierle. Paola Tracogna ci racconta come, nei mesi invernali del 2014, decine di migranti, soprattutto afghani e pakistani, abbiano cominciato ad apparire nelle strade di Udine. “Arrivano da Tarvisio, dove attraversano il confine con l’Austria” dice Paola “lì vengono fermati dalla polizia e fotosegnalati, poi invitati a presentarsi alla questura di Udine per fare domanda di asilo”.

Lo stato italiano, però, nel 2014 non aveva approntato nessuna accoglienza per loro. Niente campi, niente dormitori, neanche una tendopoli per ospitare questi richiedenti asilo, che dormivano in strada, all’addiaccio. Eppure, non c’è differenza tra loro e le migliaia di disperati che approdano sulle coste siciliane: sono tutti richiedenti asilo, persone fuggite dai loro paesi, persone le cui storie devono essere ascoltate e valutate, per capire se hanno diritto ad una protezione internazionale. Non c’è differenza tra gli africani che attraversano l’inferno della Libia e gli afghani che percorrono a piedi l’Iraq e la Turchia, brutalizzati dalle guardie di frontiera in Bulgaria, morsi dal freddo in Serbia, ricacciati indietro al confine dell’Ungheria, fotosegnalati dalla polizia austriaca e poi abbandonati nel gelo dei passi montani. Ma questi migranti, che non vengono salvati da nessuna nave di soccorso, sono più silenziosi e passano inosservati. E nel silenzio della loro marcia via terra, lo stato italiano ha cercato a lungo di non vederli, di ignorarli.

Non così la società civile. Alcuni cittadini di Udine hanno visto eccome i giovani uomini che dormivano in strada e hanno deciso di fare qualcosa per loro. Così è nata Ospiti in Arrivo, una onlus indipendente, completamente composta di volontari: lavoratori e studenti, uomini e donne che pensano che l’accoglienza sia un diritto necessario. Dal dicembre 2014, i volontari di Ospiti in Arrivo hanno cominciato a portare beni di prima necessità ai migranti nelle strade di Udine, fornendo anche informazioni di tipo legale sull’asilo. Da allora, l’associazione è cresciuta molto. I volontari continuano ogni sera ad essere presenti in strada, ma ora gestiscono anche un magazzino dove si possono trovare coperte e indumenti e si occupano di numerose azioni di advocacy e di sensibilizzazione. In più, organizzano una scuola di italiano informale per i richiedenti asilo, battezzata dagli stessi studenti Refugees Public School .

Foto di Federico Fabbro
Foto di Federico Fabbro

“Non abbiamo mai voluto sostituirci alle istituzioni” chiarisce Paola Tracogna “il nostro obiettivo è piuttosto di collaborare con loro”. E le istituzioni sembrano aver un gran bisogno di aiuto. Ancor oggi, due anni e mezzo dopo, sistema di accoglienza in Friuli è profondamente emergenziale. Sono pochissimi i posti SPRAR, ci sono molti CAS, molte grandi strutture. I comuni non vogliono accogliere, gli appartamenti non si trovano, le grandi strutture vengono messe in piedi in fretta e furia per fronteggiare l’emergenza e poi rimangono così per anni.

L’ex caserma Cavarzerani, gestita dalla Croce Rossa, ospita ad oggi circa 530 richiedenti asilo, mentre il numero massimo non dovrebbe arrivare a 350. I richiedenti vivono nelle tende, in condizioni sanitarie inadeguate e senza avere accesso al pocket money, i 2.50 euro al giorno che lo stato passa ai richiedenti asilo. Le attività all’interno di questa tendopoli sono poche, ed è per questo che la Refugees Public School è ancora tanto frequentata. Essendo un’ente indipendente, Ospiti in Arrivo può fare monitoraggio sull’accoglienza in Friuli e far sentire la propria voce critica. “La gestione di questa e di altre strutture non è trasparente” commenta Paola “il prefetto ha detto che ci sarà una gara d’appalto per la gestione della struttura, ma ad oggi non sappiamo nulla”.

Questa situazione di scarsa accoglienza è tanto più sconcertante, se si pensa che gran parte delle persone che arrivano in Friuli hanno un’altissima possibilità di ottenere la protezione. Gli afghani e i pakistani originari delle regioni al confine con l’Afghanistan, roccaforti degli aggressivi gruppi talebani, ricevono quasi sempre la protezione internazionale. Paola ci fornisce un dato molto interessante: nel 2016, tra le decisioni della Commissione e quelle dei tribunali in primo appello, in Friuli c’è stato l’82% di risposte positive. Ma senza progetti di integrazione, attività di volontariato, corsi di formazione e di avviamento al lavoro, tutte queste persone che pur hanno il diritto a restare in Italia, non riusciranno facilmente ad integrarsi. Il fallimento delle istituzioni è allora davvero desolante: un’occasione persa sia per i migranti che per la società a cui potrebbero contribuire.

Ma lo sguardo di Ospiti in Arrivo non si ferma ai problemi da questa parte della frontiera e l’attività di monitoraggio non riguarda solo l’accoglienza in Friuli, ma anche l’andamento della Rotta Balcanica. “Gli arrivi sono diminuiti a causa di tutti i muri sorti negli ultimi tempi” dice Paola, riferendosi all’accordo con la Turchia per fermare i migranti che tentano di arrivare in Europa dal Medio Oriente. Il confine in Serbia è attentamente pattugliato e i migranti passano solo pagando profumatamente le organizzazioni della criminalità organizzata. Tuttavia, la rotta è tutt’altro che chiusa e le persone continuano ad arrivare, soprattutto ora che la stagione sta migliorando. Paola spiega che il confine con la Slovenia a Gorizia è il varco più frequentato. Ad oggi, tra dieci e trenta persone attraversano lì la frontiera ogni giorno, persone per cui non è prevista alcuna accoglienza, se non un pasto caldo fornito da alcuni preti cappuccini.

Foto di Annalisa Mansutti
Foto di Annalisa Mansutti

I migranti che vivono in strada, però, non sono più solo richiedenti asilo appena arrivati in Europa. “Giugno del 2016 è stato una sorta di spartiacque, dopo il quale sono cominciate a cambiare le dinamiche” riflette Paola “tantissimi migranti che trovavamo in strada erano complessi ‘casi Dublino’, richiedenti asilo che erano arrivati mesi e mesi prima in altri pesi europei, e avevano fatto lì domanda d’asilo. Poi avevano ricevuto una risposta negativa e rischiavano il rimpatrio.” Questi migranti tornano dunque in Italia e cercano di fare di nuovo domanda di asilo, sperando di sfuggire all’Unità Dublino, che si occupa di controllare gli spostamenti dei richiedenti asilo all’interno delle frontiere europee. Il tentativo è tutt’altro che insensato. I criteri di determinazione delle domande di protezione sono completamente inconsistenti tra i vari paesi europei. La Germania e la Norvegia, per esempio, spesso negano la protezione ai cittadini afghani. In questi paesi l’Afghanistan è considerato sicuro, malgrado il conflitto con i gruppi islamici continui ad insanguinare il paese da più di 15 anni, e solo un mese fa la presidenza Trump abbia sganciato una bomba sulle gallerie utilizzate dall’ISIS nella provincia di Nangarhar.

Pur con i suoi difetti, la protezione internazionale in Italia funziona meglio che altrove. E funziona in Friuli, dove molte persone ottengono i documenti. Ma è spesso la società civile a prendersi il compito di trovare soluzioni creative e radicali alle sfide delle migrazioni. Ospiti in Arrivo ci ha fornito un esempio coraggioso e di successo, così come mille altre realtà in giro per tutta l’Italia. Ora Paola lavora in una struttura che si occupa di minori stranieri non accompagnati, come molti altri attivisti che sono diventati anche operatori. Alcune istituzioni stanno cominciando a dare delle risposte positive, ma purtroppo davanti ad un futuro incerto, con leggi che si fanno più securitarie, l’iniziativa è sempre più lasciata all’energia dei singoli, uomini e donne che credono nella solidarietà sociale e nella tutela dei diritti. Aspettiamo ancora che le istituzioni siano degne di quanto stanno facendo, dal basso, molti cittadini.

Angela Tognolini