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Testimone dell’«oltraggio alla coscienza dell’umanità» che si consuma alle porte dell’Europa

SOS MEDITERRANEE continuerà a salvare chi fugge dall'«inferno libico»

In venti mesi di missione ininterrotta in mare l’organizzazione umanitaria europea SOS MEDITERRANEE, che gestisce la nave Aquarius in partnership con Medici Senza Frontiere (MSF), ha salvato la vita di 24.388 persone in un totale di 147 operazioni di soccorso. I nostri team sono testimoni diretti della sofferenza dei migranti che fuggono dalla Libia, descritta nei giorni scorsi come un «oltraggio alla coscienza dell’umanità» dall’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’Onu.

Sin dall’inizio della propria missione in mare, nel febbraio 2016, SOS MEDITERRANEE ha allertato la società civile, i media e la classe politica rispetto alle terrificanti testimonianze fornite dalle persone in fuga dalla Libia, raccolte alle porte dell’Europa.

«Pensavamo che quelle donne, quegli uomini e quei bambini soccorsi in mare ci avrebbero raccontato il terribile trauma del viaggio nel Mediterraneo su imbarcazioni fragilissime non adatte alla navigazione in alto mare. Invece, sin dal primo salvataggio, abbiamo dovuto constatare come abbiano riferito prima di ogni altra cosa dell’«inferno libico»: rapimenti, stupri, estorsioni sotto tortura, maltrattamenti e umiliazioni, lavoro forzato, schiavitù di cui erano vittime sull’altra sponda del Mediterraneo», ricorda Sophie Beau, cofondatrice e vicepresidente di SOS MEDITERRANEE.

Le testimonianze dei sopravvissuti tratti in salvo da SOS MEDITERRANEE, confermate dalle visite mediche del team di MSF, partner sanitario a bordo dell’Aquarius, non lasciano spazio a dubbi circa l’entità delle violenze subite dai migranti in Libia.

Torture – «Frusta mattina, pomeriggio e sera. È il nostro pane quotidiano. I libici ci picchiano tutto il tempo, senza motivo. Ci mettono in prigione senza motivo. I carcerieri uccidono le persone, le gettano in una fossa che chiudono solo quando è piena di corpi» (M., Camerun, testimonianza raccolta a bordo dell’Aquarius nell’agosto 2017).

Stupro – «Prendono donne e ragazze, ragazze che erano persino più giovani di me. Le hanno violentate davanti a noi costringendoci a guardare. C’erano i loro padri e i loro fratelli. Chi si opponeva veniva ucciso all’istante» (Y., 17 anni, dal Gambia, testimonianza raccolta a bordo dell’Aquarius nel novembre 2016).

Riduzione in schiavitù – «In Libia gli arabi vengono nelle prigioni per comprare neri da far lavorare. I neri sono venduti per un migliaio di dinari [circa 620 €]» (C., 20 anni, dalla Nigeria, testimonianza raccolta a bordo dell’Aquarius nel febbraio 2017).

Fosse comuni – «Sono stato costretto a raccogliere i cadaveri dei migranti. I corpi vengono messi nelle fosse comuni, a volte la testa era l’unica parte rimasta. Ultimamente c’erano anche i corpi di donne incinte» (L., dal Gambia, 20 anni, testimonianza raccolta a bordo dell’Aquarius nell’Agosto 2017).

Insicurezza – «Il mondo deve sapere cosa sta accadendo in Libia, la situazione è drammatica. Le persone possono essere uccise per niente e se niente verrà fatto moriranno tutti» (A. e Y., 25 anni, dalla Libia, testimonianza raccolta a bordo dell’Aquarius nel settembre 2017).

Respingimenti – «Quando la Guardia costiera libica ci intercetta in mare e ci riporta a terra, ci viene detto che saremo rimpatriati nel nostro Paese. Quello che fanno invece è venderci a qualcun altro» (C., 20 anni, dalla Nigeria, testimonianza raccolta a bordo dell’Aquarius nel febbraio del 2017).

«Sono stato riportato in Libia tre volte. La prima, mi hanno intercettato in mare, arrestato e messo in prigione per sei mesi, la seconda sono stato in carcere per un mese. La terza volta, la marina libica e la polizia mi hanno arrestato e mandato per tre mesi in una prigione di Sabrata. (…) Ci hanno messo in piccole celle, in ognuna c’erano fino a 60 persone. Senza bagno, siamo stati costretti a fare i nostri bisogni a terra. Lo stesso posto dove dormivamo. Le guardie portavano il cibo in un piatto e lo mettevano sul pavimento. Doveva bastare per circa venti prigionieri. Ci picchiavano coi cavi elettrici. Per uscire di là dovevi pagare. Per la mia liberazione hanno chiesto 480 euro. Il prezzo cambia a seconda della persona. In Libia è impossibile vivere, è impossibile scappare, è impossibile tornare nel proprio Paese» (B., dalla Sierra Leone, testimonianza raccolta a bordo dell’Aquarius nel settembre 2017).

Negli ultimi dodici mesi SOS MEDITERRANEE ha ripetutamente denunciato la mancanza da parte dell’Unione europea di soluzioni adeguate alla crisi umanitaria e ripetutamente ha sollecitato i leader europei a riconsiderare la posizione assunta a Malta nel febbraio 2017.

SOS MEDITERRANEE rinnova il proprio appello affinché siano incrementati in modo significativo i mezzi di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, affinché sia assicurato che le persone soccorse vengano condotte in un porto sicuro secondo il diritto internazionale, affinché sia data priorità alla tutela della vita e della dignità, anche in mare, e cessi la criminalizzazione delle Ong, il cui unico scopo è quello di salvare vite nel Mediterraneo.

«Malgrado l’assenza di reazioni da parte dei leader Europei mentre alle porte dell’Europa sono in gioco i principi fondamentali ed i valori umanitari, SOS MEDITERRANEE non può accettare di veder morire in mare esseri umani né di vedere le persone riportate in Libia quando le loro imbarcazioni sono intercettate dalla Guardia costiera libica. Ora più che mai è necessario che l’Aquarius resti nel Mediterraneo centrale per soccorrere coloro che cercano di fuggire dall’inferno, per proteggerli e per continuare a testimoniare la realtà vissuta da uomini, donne e bambini in cerca di protezione», ha dichiarato Valeria Calandra, presidente di SOS MEDITERRANEE Italia