Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Carta del 3 dicembre 2007

Togliere alle Poste i permessi di soggiorno

Dei migranti si dice di tutto, ma raramente si dice e si scrive che hanno le idee molto chiare. La manifestazione di sabato scorso in Piazza Cordusio a Milano, davanti alla sede centrale delle Poste italiane, ne è stata la dimostrazione. Durante il presidio [organizzato, fra gli altri, da Rete migrante Milano, Centro delle culture, Partito umanista, Todo cambia, Rifondazione comunista] sono stati tutti molto determinati nel chiedere a gran voce che sia annullato il protocollo fra lo stato e le Poste per il rinnovo dei permessi di soggiorno le pratiche per il permesso di soggirono siano trasferite agli enti locali, comuni innanzi tutto. «Ma secondo loro come facciamo a scaricare il documento da internet?», spiega una signora in piazza. Il malessere è diffuso e la possibilità di sentirsi parte di qualcosa [magari un nuovo paese] è lontana più che mai. Da due anni i migranti sono costretti a fare file estenuanti per pagare 72 euro per il rinnovo del permesso di soggiorno, trafila che certo non migliora la condizione degli stranieri ma di certo quella delle casse dello stato e delle Poste. Se il rinnovo diventasse finalmente una pratica della pubblica amministrazione non ci sarebbe bisogno di sborsare questa cifra e soprattutto si eviterebbe di trattare i migranti come «qualcosa» di anomalo. In modo civile le centinaia di partecipanti al presidio hanno chiesto di avere gli stessi diritti degli italiani autoctoni e così di avere una ragione e una possibilità per migliorare la propria condizione economica e sociale.

Le polemiche non si fermano qui. I toni si alzano quando si parla del decreto flussi 2007 e quando si nomina la legge Bossi-Fini, tanto criticata da questa maggioranza, che ancora non si è deciso ad abrogarla. Sono ancora tanti, troppi, quelli che pensano «gli stranieri vengono qui a rubarci il lavoro» e quindi che la loro presenza sia in qualche modo temporanea. Sempre sabato in Via Paolo Sarpi [la cosiddetta chinatown milanese] hanno sfilato in corteo i cittadini del quartiere stanchi del vicinato cinese. Se il governo iniziasse a spiegare come i migranti siano parte integrante della società italiana – dice qualcuno– forse non ci sarebbero più manifestazioni come quella di via Paolo Sarpi, ma anche quella in Piazza Cordusio. Dopo tre ore di presidio, prima che la manifestazione finisca, un ragazzo prende il microfono e conclude «Voi pensate che io sia contento di essere considerato immigrato, straniero, clandestino? Essere immigrato o essere italiano non è una scelta. E’ solo il caso».

Michela Chimenti